Μαθθαιoν (Matteo), “dono di Dio” (1a parte) di Giuseppe Germinario
Μαθθαιoν (Matteo), “dono di Dio” (1a parte) di Giuseppe Germinario
Matteo sembra aver trovato decisamente la propria strada, così come il suo lontano omonimo.
L’Apostolo, secondo il resoconto di Marco, decise al momento il proprio percorso; gli bastò prestar fede al “seguimi” del Salvatore; Matteo secondo ha invece preparato per tempo e con sagacia l’itinerario e le tappe per conseguire il proprio ministero lungo un solco ben tracciato da ispiratori di tutto rispetto, dei quali ha saputo per tempo strappare la fiducia. Per stabilire la propria condotta il primo ha dovuto arrabattarsi in un lungo tirocinio nell’interpretazione di parabole, gesti simbolici e qualche rara affermazione diretta del Maestro, gran parte raccolte nel Vangelo,nella “lieta novella”; il Matteo contemporaneo ha dimostrato sin dall’inizio di avere impostazioni, programmi ed idee chiare e definite, segno di sagacia e di capacità di raccolta, ma anche di legami solidi con le componenti profonde dei centri di potere nostrani e soprattutto atlantici. Dulcis in fundo, Levi, cioè Matteo l’Apostolo, dovette volentieri spogliarsi dell’incarico di pubblicano, di gabelliere ed esattore, senza per altro contestare le prerogative di Cesare, prima di svoltare radicalmente nella vita e dedicarsi al rischioso ministero; al contrario Renzi, il Matteo Presidente del Consiglio, per assurgere a nuova gloria si è assunto proprio quell’incarico, giacché l’intenzione sua dichiarata sarà la riduzione del fardello fiscale; in realtà l’attività principale del suo ministero consisterà principalmente, volente o nolente, in un parziale incremento di quel carico, ma soprattutto in una gigantesca redistribuzione, almeno nelle intenzioni e in un quadro di restrizioni, del peso contributivo e delle erogazioni.
Lascio scivolare l’attenzione dal primo Matteo e dal suo doloroso e tragico destino personale per concentrarmi sul percorso del secondo Matteo, prevedo anch’esso alquanto doloroso, ma non per lui stesso quanto per la grande maggioranza dei suoi sottoposti.
Delle condizioni che hanno consentito una investitura tanto folgorante e repentina ho scritto ampiamente in articoli precedenti e ne scriverò ancora in questo articolo.(http://www.conflittiestrategie.it/astri-nascenti-stelle-cadenti-mine-vaganti-di-giuseppe-germinario-3-parte http://www.conflittiestrategie.it/lo-scendiletta)
Queste condizioni, però, definiscono soltanto il contesto della sua azione politica.
Le linee guida adottate ne illuminano invece la condotta; su questo il Governo Renzi rappresenta senza dubbio un salto di qualità, un tentativo di costruzione rispetto all’opera distruttiva di Monti e alla paralisi attendista di Letta; evidenzia, soprattutto, la sagacia dei centri profondi che sostengono l’azione e contribuiscono ad agevolare il contesto operativo anche se la perspicacia non garantisce di per sé l’effettivo controllo della situazione.
Possono sembrare interpretazioni complottiste, ma diversi indizi potrebbero confermarne la fondatezza.
La chiarezza di questi indirizzi è sorprendente rispetto alle ambiguità di questi ultimi quindici anni di vita politica nazionale; riguarda grosso modo tre aspetti dell’azione politica tesa a riorganizzare il nostro paese
LA RIORGANIZZAZIONE ISTITUZIONALE
Si tratta di ricostruire una gerarchia decisionale già poco funzionale nella Repubblica antifascista ma che si è definitivamente affievolita nella seconda grazie in particolare a due fattori:
alla continua destrutturazione di una parte del ceto politico e dei centri decisionali avviata con Tangentopoli, negli anni ’90 e proseguita sino ad oggi da una parte; ad una divaricazione dei centri amministrativi e delle loro espressioni politiche istituzionali (ad es. i ministri) nonché ad una sovrapposizione e contemporanea concorrenza di poteri sovrani seguita alla istituzione in particolare delle regioni nell’attuale conformazione istituzionale dall’altra.
Il primo fattore si è rivelato particolarmente deleterio e disgregativo per il ruolo preponderante avuto da diversi nuclei dell’ordinamento giudiziario e degli apparati investigativi ed informativi; talmente invasivo da destabilizzare anche i centri decisionali più profondi sino ad intaccare pesantemente l’agibilità e le prospettive delle stesse poche aziende strategiche rimaste, in particolare ENI e Finmeccanica. Per la loro funzione istituzionale questi centri, in particolare quelli giudiziari, possono assumere un ruolo meramente distruttivo e, in mancanza di una specifica gerarchia, sono ancora più soggetti alle manipolazioni, alle influenze, alle pressioni e a legami dei diversi centri di potere soprattutto esterni in maniera disarticolata e individualizzata.
Il secondo fattore, per come ha operato, ha contribuito pesantemente ad una progressiva disarticolazione dello Stato. Si è innestato in un processo di articolazione e decentramento avviato nell’epoca giolittiana e proseguito, con la parziale eccezione del periodo fascista, nel dopoguerra. Ha trovato espressione politica e motivazione ideologica, a partire dalla metà degli anni ’70, in una visione sempre più democraticista e localistica del decentramento dei poteri; ha subito una propulsione determinante nell’affermazione endemica, sin dal dopoguerra, di un certo europeismo il quale, per affermarsi e per affermare implicitamente la predominanza americana, ha inteso contrapporre al ruolo negativo degli stati nazionali quello positivo delle realtà locali e regionali. Una concezione che ha travolto quasi tutti gli argini, specie nei paesi più fragili ed esposti geopoliticamente, dopo la caduta del regime sovietico e l’affermazione del miraggio del governo mondiale, altrimenti della “fine della storia”, legato all’ambizione di dominio unipolare degli Stati Uniti.
Un processo accompagnato in sovrappiù dal drastico indebolimento se non sparizione di alcuni centri nazionali di élite fondamentali (le Partecipazioni Statali organizzate in entità giuridiche), dalla crisi ed erosione dell’associazionismo di tipo confederale e generalista in grado di garantire un minimo di prospettiva e coesione politica e dalla sparizione di agenzie nazionali ed istituti (Cassa per il Mezzogiorno) in grado di indirizzare, supportare e gestire politiche territoriali secondo competenze e massa critica sufficienti a rendere gestibili i progetti; quest’ultima ancora una volta agevolata da indirizzi comunitari tesi a scoraggiare politiche nazionali di sviluppo, ridottesi sempre più a semplici incentivazioni monetarie e fiscali e a dirottare verso l’Europa Orientale la maggior parte dei fondi strutturali e di coesione.
L’interazione di queste dinamiche ha prodotto una frammentazione e uno scollamento dei centri di potere e di interessi tale da renderli incapaci di aggregazioni significative e da spingerli alla ricerca particolaristica di legami esterni al paese sino alla creazione di una rete tentacolare dalle innumerevoli opportunità e modalità di intervento e possibilità di intromissione esterni. La condizione ideale che impedisce la formazione di forze politiche capaci di aggregare e dare forza a propositi politici coerenti. Nel male, una frammentazione in particolare eccessiva delle regioni che ha consentito la nascita di gruppi di interesse locali, ma che ha impedito fortunatamente la formazione di forze identitarie sufficientemente forti da minacciare l’integrità del paese.
Il proposito della cordata di Matteo Renzi diventa, quindi, quello di consentire al Capo di Governo di disporre ampiamente della propria compagine governativa e garantire un minimo di coesione e coerenza politica.
In via informale ci è per il momento riuscito; è sufficiente osservare la forza che hanno acquisito i suoi collaboratori diretti rispetto a buona parte dei ministri e delle loro dipendenze amministrative e il rapporto diretto di buona parte della dirigenza amministrativa con il Presidente del Consiglio. Il proposito è formalizzare questo predominio e potere di scelta ed indirizzo.
Il Parlamento, in un ordinamento semplificato e dalla composizione tale da garantire l’azione di governo della compagine vincitrice, deve poi pronunciarsi prevalentemente sugli indirizzi e sulle proposte del Governo con il supporto di una Camera (il Senato) dalla rappresentatività indiretta e dai poteri prevalentemente consultivi se non per la legislazione riguardante le regioni e il loro ruolo nella UE e le modifiche costituzionali; un particolare, questo, apparentemente secondario ma che potrebbe inficiare nei tempi lunghi i propositi di verticalizzazione dei centri decisionali.
La composizione interna degli schieramenti parlamentari deve, inoltre, essere rigorosamente controllata dalla dirigenza nazionale dei rispettivi partiti.
La gerarchia e le competenze delle istituzioni governative e rappresentative centrali e quelle regionali devono essere rispettivamente ripristinate e ridefinite senza sovrapposizioni; le stesse politiche regionali devono essere coordinate e sostenute anche attraverso il ripristino di agenzie nazionali, come nel caso dell’utilizzo dei fondi europei
LA RIORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA
E’ l’altro filone sul quale, parallelamente, procede l’azione del Governo, altrettanto fondamentale rispetto a quella rappresentativa e deliberativa per garantire questa volta una maggiore capacità di orientamento e contrattazione con i centri amministrativi e coercitivi di potere.
Non esistono, per quanto ne sappia, linee guida generali, moduli organizzativi e programmi specifici di intervento espliciti e dichiarati su cui basare i propositi di controllo e riorganizzazione.
I motivi sono diversi:
- la ricerca sul funzionamento della macchina statale, già concentrata prevalentemente sugli aspetti giuridici, è regredita tanto quanto è aumentato il clamore scandalistico e moralistico sull’argomento; ormai è ferma all’opera di Giannini e Cassese e al contributo isolato di qualche loro allievo come Luisa Torchia
- le modalità di istituzione delle regioni ha comportato, a parità di funzioni, la stessa facoltà di adozione di moduli organizzativi diversi sulla cui scelta ha esercitato altrettanta influenza l’azione delle strutture burocratiche della Unione Europea
- il livello di autonomia decisionale ed operativa e di monopolio di conoscenza tecnica e di relazione dei centri di potere burocratico è tanto ampio quanto è fragile, non ostante la millanteria, l’ambizione politica di Renzi nella ricerca di una collocazione autonoma e dignitosa del paese e di formazione di un blocco sociale in grado di sostenere l’acutezza dello scontro politico conseguente
- il costo sociale e politico di una riorganizzazione radicale della macchina amministrativa appare troppo traumatico e insostenibile senza un obbiettivo di reale acquisizione di forza e autonomia politica del paese e di superamento degli attuali vincoli economici di gestione della spesa pubblica e della politica industriale
Appaiono invece singoli propositi espliciti, come l’istituzione di un albo di alti dirigenti rimovibili, intercambiabili, idonei alla gestione dei vari settori, con una formazione più manageriale e la possibilità più ampia di trasferimento del personale; intenzioni surrettizie celate nel programma di “spending review” come il progetto di accentrare a fini di risparmio in una unico spazio, sotto il controllo del prefetto, le sedi periferiche e decentrate dei ministeri, quasi a prefigurare un ritorno sotto altre sembianze all’organizzazione prefettizia pregiolittiana; tentativi di orientare e costringere le strutture istituzionali periferiche attraverso la mera leva finanziaria, ancora in gran parte in mano allo stato centrale
IL PERIMETRO DI AZIONE
Il futuro politico di lunga lena di Renzi e del gruppo che si sta coagulando attorno poggia, a mio parere, sulla riuscita o quantomeno un innesco deciso di questo processo di riorganizzazione; la contingenza politica legata a questo governo poggia soprattutto sulla politica economica e sulla coerenza atlantica della sua politica estera. Questi ultimi aspetti saranno affrontati nella seconda parte dell’articolo.
Quanto al primo, la plausibilità della sua azione nasce ormai dalla constatazione oramai generale della farraginosità del sistema istituzionale e burocratico e dalla consapevolezza di porvi comunque mano.
Nella concreta attuazione del processo di riorganizzazione non esiste, per altro, un modello la cui adozione dipenda da un concetto neutro di funzionalità ed efficienza.
A livello istituzionale la direzione di riforma dipende in primo luogo dalla compattezza e linearità dei centri decisionali dominanti e dagli obbiettivi di fondo che si prefiggono; dalla capacità, quindi, di aggregare e subordinare i centri di livello inferiore, di neutralizzare e contrastare quelli antagonisti, dal grado di estensione del potere, secondo l’accezione data da Huntington, di esercizio effettivo su centri di potere e blocchi sociali integrati quanto più ampi possibile.
In proposito Matteo Renzi rappresenta l’immagine pubblica di centri, questa volta, determinati a seguire una scaletta ben programmata.
La loro forza sta nella loro composizione interna che vede il sostegno, la partecipazione diretta di forze esterne specie americane, sia soprattutto dei democratici, ma anche dei conservatori, nonché di centri economici ed amministrativi e nella capillarità della loro capacità operativa nel nostro paese. L’addomesticamento più o meno coatto di Berlusconi, la campagna giudiziaria contro i centri politici annidati nelle regioni, l’azione distruttiva del Governo Monti, l’addomesticamento ormai praticamente acquisito delle politiche delle aziende strategiche (ENI, Finmeccanica, Telecom, Poste Italiane) all’interno delle rigide compatibilità imposte dal circuito occidentale sono solo alcuni degli aspetti rivelatori della forza e della sagacia acquisita da questi centri profondi.
La progressiva impotenza e sterilità dell’azione chiusa in una difesa sterile e ipocrita di interessi di settori popolari ma ristretti della società, impossibili da gestire all’interno di una prospettiva di assoluta supina fedeltà all’attuale corso della politica americana e di conseguenza europea da parte della vecchia componente piciista e popolare del PD (da Bersani, a D’Alema a Bindi, a Letta), la fibrillazione per ora sterile di forze nel PDL incapaci di affrancarsi dalla evidente complicità di Berlusconi per riuscire quantomeno a contrattare la propria posizione nell’attuale contesto, la vera e propria migrazione all’estero del controllo della gestione di gran parte delle grandi e medie aziende dei settori complementari incapaci di garantire la transizione generazionale e ad una gestione manageriale già compiuta da decenni nelle formazioni dominanti stanno offrendo il contesto adatto ad una ulteriore affermazione ed invasività di questa azione.
L’inedita discrezione con la quale i centri più importanti dell’ordinamento giudiziario stanno ricontrattando la loro posizione ed il loro parziale ridimensionamento, l’erosione del monolitismo che ha caratterizzato l’azione di centri burocratici fondamentali, a cominciare dalla Ragioneria dello Stato, nella fattispecie nella gestione della legge finanziaria sono alcuni degli indizi rivelatori della capacità pervasiva della loro azione politica nella loro opera di destrutturazione e ricostruzione.
A livello degli apparati amministrativi l’intenzione è di assumere un maggiore e più diretto controllo dell’alta dirigenza, di garantire, attraverso una riorganizzazione degli apparati, una maggiore linearità dell’azione attuativa ed esecutiva, di estendere l’effettivo controllo alle propaggini più periferiche ed attualmente estranee alla giurisdizione delle strutture centrali dello Stato.
Ciò non ostante si tratta di un processo tutt’altro che scontato nell’esito trionfale dei risultati da conseguire e dell’estensione del blocco sociale e del potere ad essa connesso a conforto e sostegno degli esiti.
In realtà non esistono procedure decisionali e processi di riorganizzazione istituzionale e burocratica di per sé efficienti; il concetto di prevalente neutralità del criterio di efficienza serve, per lo più, ad assolutizzare, in un conflitto in corso, un indirizzo che in realtà può essere soltanto prevalente. Essi, cioè tali processi e procedure, vanno giudicati come efficienti in funzione della collocazione strategica di una politica, degli obbiettivi da conseguire in successione, della gestione ottimale dei conflitti in corso d’opera tra centri decisionali e relativi gruppi aggregati, dei risultati e delle risorse finali finalmente acquisite e disponibili.
Potrebbe sembrare una disquisizione teorica; in realtà, come vedremo in un secondo momento, rappresenta una chiave interpretativa che metterà a nudo, almeno nelle mie intenzioni, una parte dei limiti di fondo e delle illusioni di cui è vittima Renzi, ma non chi lo sta supportando.
Lo stesso evolversi degli eventi sta evidenziando alcuni limiti legati alla contingenza politica.
Intanto il fattore tempo.
Renzi deve portare a compimento gran parte della riforma istituzionale entro i cinque anni della legislatura oppure azzerare il tutto con le elezioni anticipate e ricominciare da zero il percorso con tutte le incognite del caso; la sua forza legittimante proviene dal controllo del partito di maggioranza e delle leve governative e dal sostegno del ceto politico formatosi intorno alle strutture amministrative locali periferiche, buona parte del quale composto dal nuovo quadro politico intermedio del PD promosso già ai tempi della gestione Veltroni e Bersani; con queste risorse avrebbe voluto una riforma che modificasse e ridimensionasse, tra l’altro il Senato, facendone un istituto rappresentativo di tutte le istituzioni decentrate, compresi i comuni e di consulenza attraverso esperti qualificati; l’istituzione, invece, dalla prossima legislatura di un Senato rappresentativo dei consigli regionali impone la riorganizzazione e la gerarchizzazione delle competenze tra Stato e Regioni, nonché la necessaria drastica riduzione delle stesse durante l’attuale legislatura pena una generale ricontrattazione di tutta la materia alla presenza di una istituzione, il Senato, passibile di rafforzare la deterrenza e il potere contrattuale e la capacità di coordinamento politico delle stesse. Ha preferito invece scegliersi un bersaglio facile ed apparentemente inoffensivo, ma generatore di consensi, le Province, distogliendo l’attenzione ed il momento propizio dal bersaglio grosso, ma più proficuo, delle Regioni.
Renzi continua a reggere per il supporto fondamentale fornito da Berlusconi non solo sul problema della riorganizzazione istituzionale; è una situazione che non può protrarsi ancora per troppo tempo pena il progressivo logoramento e sgretolamento di Forza Italia. Berlusconi si è sobbarcato, con le buone o le cattive, il compito di supportare la costruzione di un nuovo Partito Democratico; dalla reale forza e rappresentatività che riuscirà a conseguire quest’ultimo dipenderà il definitivo sacrificio di Forza Italia oppure la sua rigenerazione sino a ricostruire un partito perfettamente complementare nel sistema rappresentativo. Sarà la cartina di tornasole per valutare, tra l’altro, anche la consistenza, la coerenza e la solidità politica del M5S e della Lega, gli attuali movimenti di opposizione o presunti tali
L’articolazione interna, quindi, del quadro partitico
Il secondo Matteo è riuscito a conquistare la struttura del Partito, ad eccezione della gestione del patrimonio, con un notevole rinnovamento e un buon numero di cooptazioni, come solitamente avviene nelle transizioni; non dispone di un controllo agevole della propria rappresentanza parlamentare, per la maggior parte erede della gestione bersaniana; sta riuscendo, grazie anche alla totale assenza di strategia politica e alla caduta di credibilità di costoro, progressivamente ad addomesticarla senza ammansirne la riottosità. Una condizione che lo obbliga una volta di più ad appoggiarsi a forze esterne al partito ma che deve portare, entro la legislatura, alla formazione di un partito calderone, pena l’inaridimento del processo. per far questo cerca lumi e sostegno nel partito democratico americano con il quale ha instaurato una stretta collaborazione che si concretizzerà anche con prossime iniziative politiche comuni in Italia. Una condizione che non lascia nessuna reale possibilità alle pecorelle smarrite rimaste nel PD con un fardello di trenta anni di grigiore. Di certo abbiamo un leader che non teme di guardare in alto; sembra la perfetta rappresentazione, nel bicchier d’acqua del panorama politico italiano, delle intersecazioni delle dinamiche di conflitto e cooperazione presenti tra centri di potere nello scacchiere mondiale
Una riorganizzazione senza modelli e progetti
Ho già scritto in proposito in alcuni articoli un paio di anni fa ( http://www.conflittiestrategie.it/11313) Le modalità di applicazione di contenimento della spesa non fanno che confermare il compromesso senza reale ambizione cui è destinato a ripiegare il nostro apostolo. Non ha fatto altro che determinare le cifre e affidare ai singoli centri burocratici l’applicazione concreta con modalità autonome ciascuno per proprio conto senza linee guida, indicazione di moduli operativi, ridefinizione delle linee gerarchiche sulla base delle tecnologie di lavoro utilizzate, degli obbiettivi e delle finalità. Identica situazione con gli enti regionali e locali, con l’aggravante per le prime, della disponibilità di ampia autonomia legislativa e regolamentare anche in materia di organizzazione amministrativa; una delle conseguenze è la ripartizione dei tagli tra questi enti a prescindere dai livelli di funzionalità della macchina e di efficienza dei servizi.
E’ l’indizio che Renzi non dispone di un vero e proprio blocco riformatore e tanto meno della ambizione necessaria a costruire un paese più forte ed autonomo nelle proprie scelte; il suo destino rischia di concludersi con un compromesso mediocre con i soliti settori parassitari e complementari rispetto ai circuiti che contano nello scacchiere mondiale.
LE SICUREZZE DI UN NARRATORE
E’ il segno di come Renzi sia vittima di una delle tante illusioni che lo guidano; che la trasparenza delle procedure, l’accesso democratico ai dati, l’informatizzazione delle procedure e degli accessi inneschino di per sé processi virtuosi di riorganizzazione. Singolare per un uomo di potere così spietato la sua sottovalutazione della necessità di regolamentare la cooperazione ed i conflitti tra i centri di potere all’interno dei sistemi decisionali, compresi quelli burocratici e di entrare nel merito delle dinamiche; come pure il fideismo verso le virtù taumaturgiche del controllo del consumatore/cittadino/elettore
Eppure esempi clamorosi di sopravvivenza e coltivazione di gestioni parassitarie e distorte in funzione della sopravvivenza e della perpetuazione di gruppi di potere, del mantenimento di sacche di occupazione improduttiva esistono anche nel nostro paese anche in grandi aziende di servizi, come le Poste, le aziende di trasporto pubblico, ect del tutto in contrasto con le opportunità offerte dai processi di informatizzazione, magari anche efficienti dal punto di vista dei prodotti offerti; figurarsi i margini di azione disponibili in ambienti slegati dalla fornitura di servizi e prestazioni
Si tratta di un primo marchio teso ad incrinare l’alea di un leader provvisto di una innegabile autostima e di una particolare propensione ad ostentare l’abilità nelle proprie esibizioni da giocoliere; una temerarietà che può perderlo, vista la propensione ad aggiungere continuamente nuove carte al gioco con il rischio di smarrire la posizione di quelle giuste.
Intanto, non ostante tutto, è riuscito in un miracolo portentoso; confezionare una veste di riscatto nazionale e di ambizione riformatrice a un partito e a una formazione sino a pochi mesi fa paralizzati e aggrappati al buon cuore dei fratelli maggiori in Europa e in America.
La defezione chiassosa e tronfia di alcuni sponsor originari, in particolare De Benedetti e Della Valle, più che incrinare la forza del leader rivelano l’insignificanza di queste forze contrarie e la reale fonte dell’agibilità di Renzi
In questa prima parte ho instillato qualche dubbio sulle reali finalità dell’azione del buon Matteo e sulle sue qualità di agente di giochi ben più ampi nello scacchiere europeo.
Nella seconda tratterò della sua politica economica ed estera; si vedrà, secondo il mio parere, se Renzi potrà essere considerato realmente un “dono di Dio” di nome e di fatto secondo l’ispirazione ecclesiale a volte untuosa a volte schietta dettata dal Nuovo Testamento piuttosto che un flagello imposto dal Dio terribile e spietato del Vecchio a un popolo e un paese più che suggestionabile dalle tentazioni troppo predisposto a sballottare in balia dei flutti