la buGIARDA, i traMONTI

La recente intervista di Piero Giarda, attuale Ministro per i Rapporti con il Parlamento con delega aggiuntiva al Dipartimento per l’Attuazione del Programma, apparsa su “La Stampa” (La Busarda) del 10 aprile scorso, rivela più di cento dossier e denunce, la reale consistenza e la missione di questo Governo.
Piero Giarda non è il tecnico “improvvisamente prestato alla politica”, né più né meno di Monti.
È un accademico con importanti incarichi governativi al suo attivo; dal 1986, per dieci anni, Presidente della Commissione Tecnica per la Spesa Pubblica presso il Ministero del Tesoro e dal 1995, per diversi anni, sottosegretario nei Governi Dini, Prodi, D’Alema e Amato sempre presso lo stesso Ministero.
È un accademico, esponente politico con precise competenze, almeno a guardare il suo curriculum, il quale ha operato in momenti cruciali della vita politica del paese dell’ultimo trentennio; proprio la fase dell’adesione alla moneta comune e, successivamente, alla moneta unica (euro) europea.
Una adesione, ci si assicurava enfaticamente allora, indispensabile e propedeutica alla modernizzazione e allo sviluppo del paese, nel pieno rispetto del canovaccio, regolarmente seguito in sessant’anni in tutti i paesi europei, di costruzione “emergenziale” e “furtiva” della Comunità Europea.
Cosa abbiano comportato, al contrario, quelle scelte, lo abbiamo scritto più volte e lo analizzeremo con maggiori dettagli e approfondimenti in futuro, tanto più che quell’europeismo continua ad essere ancora il filo conduttore dell’azione politica pressoché comune.
Nell’economia dell’articolo mi preme sottolineare che si tratta, quindi, di un personaggio il quale dovrebbe possedere ormai tutti gli elementi di analisi, sufficienti proposte risolutive e, soprattutto, una chiara definizione delle finalità strategiche verso cui mirare la riorganizzazione della spesa pubblica, degli apparati e delle strutture amministrative dello Stato.
La presenza di tanto blasone presupporrebbe quantomeno l’esistenza di una analisi puntuale della situazione e la definizione di direttive generali di intervento.
Nell’intervista e, soprattutto, nell’opera concreta del Ministero non appaiono indizi credibili di tutto ciò se non una prima relazione riservata a Monti della quale sarebbe interessante conoscere dettagliatamente i contenuti.
A detta di numerosi studiosi del settore, occorrerebbero almeno un paio di anni per impostare soltanto lo studio preliminare agli interventi; l’intervista lascia intendere come sia ancora tutto da cominciare.
Come ogni immobilista conservatore, Giarda agita lo spauracchio di un’unica possibile traumatica modalità di ristrutturazione per esorcizzarla e proporre come unico e ragionevole antidoto il peggior immobilismo.
Una vera rapida riorganizzazione, secondo i riformatori radicali e seguendo quel che suggerisce il suo cuore di accademico, comporterebbe che “nelle quotidiane sollecitazioni, anche autorevoli, vengono proposti scenari di maggior rigore. In questa visione, si procede smontando o chiudendo in parte i programmi di spesa esistenti: meno scuole statali, più carceri private, più sanità privata, meno polizia di Stato e più vigilantes, fine dei sussidi al cinema, ai giornali e alla lirica, chiusura dei parchi regionali e così via. E’ questo l’approccio dei profeti della spesa pubblica del primo tipo» ; ma “«Chiudere i centri di produzione periferica e svuotare gli uffici pubblici richiederebbe in primo luogo di licenziare immediatamente un certo numero di dipendenti, e questo non so se lo Stato può farlo.”
Ciò che auspica, invece, è che “si tratterebbe di gestire nei prossimi 6 anni, quindi nell’ultimo scorcio della attuale legislatura e in tutta la prossima, i cambiamenti di processo, il turnover dei dipendenti, la chiusura di una quota significativa delle “fabbriche”: scuole, università, prefetture, galere, caserme, uffici del lavoro e della motorizzazione, eccetera. Che, distribuite sul territorio nazionale, provvedono all’attuale fornitura di servizi pubblici. Insomma una visione costruita su un programma pluriennale, con obiettivi precisi, diretta a razionalizzare l’offerta di beni e servizi pubblici, eliminando sprechi e inefficienze Il risultato di scelte consapevoli delle amministrazioni interessate, sostenute dalla mano del governo. E’ questo l’approccio dei profeti della spesa pubblica della seconda specie».”
Due approcci in realtà non antitetici in quanto  “Quelli che ho descritto sono progetti diversi tra loro, ma uno non esclude l’altro.”
In pratica si tratta di mettere in atto quanto già deciso dal precedente Governo. “Questo perché i tagli varati nei passati tre anni, ancora prima dell’intervento sulle pensioni, sono stati molto significativi e dovrebbero esercitare i loro effetti proprio nel 2012 e 2013. Gli interventi sulla spesa hanno riguardato il blocco degli stipendi pubblici, il blocco parziale delle nuove assunzioni, la riduzione della spesa sanitaria, il taglio delle spese per acquisto di beni e servizi e anche la cancellazione o la drastica riduzione di programmi di finanziamento di enti e soggetti esterni alla pubblica amministrazione.” Si tratterebbe di impedire l’indebitamento delle amministrazioni dovuto al mancato rispetto dei tagli decisi e, secondo obbiettivo, “di indurre le amministrazioni centrali a rendere economica la gestione dei servizi pubblici, perseguendo l’efficienza della produzione e l’economicità degli acquisti. Poiché gran parte dei servizi della amministrazione centrale sono ad alta intensità di lavoro e poiché non ci sono soldi per finanziare le innovazioni di processo che sarebbero necessarie, il riaggiustamento della spesa pubblica richiede di razionalizzare le condizioni di offerta dei servizi pubblici sul territorio (dalla scuola ai penitenziari); di considerare l’impiego di personale negli uffici dei ministeri e di assicurare che l’energia, la benzina, le matite e i fucili siano acquistati a prezzi minimi di mercato»”
Sfoltite da alcune pie intenzioni, in particolare le modalità di offerta di servizi, su cui ci sarebbe effettivamente da ragionare, queste dichiarazioni rappresentano la summa di tutte le politiche di spesa pubblica assunte negli ultimi trenta anni, in particolare nelle ricorrenti fasi di crisi del debito:
    Il grosso della spesa è costituito dagli stipendi e dagli emolumenti del personale? La soluzione meno traumatica e più efficace è il blocco degli stipendi, dei contratti e del turn over.
    I servizi offerti sono troppo dispendiosi? La soluzione è l’aumento delle tariffe e la minore capillarità dell’offerta

Riguardo al primo punto, dato un particolare assetto organizzativo, il provvedimento di blocco di stipendi e turn over rappresenta quanto di più deleterio possa influire sulla regolarità dei processi operativi.
Intanto il blocco protratto delle retribuzioni comporta il progressivo appiattimento delle retribuzioni e la progressiva distorsione tra competenze professionali e livelli retributivi; scatena la corsa a sistemi surrettizi di integrazioni quali straordinari, premi individuali legate ad emergenze distribuiti in base al peso delle varie lobby piuttosto che utilizzando criteri oggettivi legati al patrimonio professionale, tanto più in un regime di sempre maggiore contrattazione delle quote salariali.
Il blocco del turn over comporta situazioni di degrado ancora maggiori: innalzamento rapido dell’età media dei dipendenti, mancata trasmissione graduale delle competenze professionali alle nuove leve, impoverimento diseguale dei vari settori a danno di quelli più professionalizzati gli operatori dei quali possono più facilmente trovare alternative di lavoro.
Piuttosto che individuare un modello organizzativo, i processi di lavoro coerenti con lo stato delle tecnologie consentite e le finalità della struttura, si cerca di rattoppare man mano che il ridimensionamento segue il corso naturale e fisiologico con il paradosso apparente di avere apparati al contempo pletorici, comprese le collaborazioni esterne e carenti di risorse.
Parallelamente, passo al secondo aspetto, dal punto di vista della erogazione dei servizi si punta ad alzare le tariffe di fruizione, a tagliare le erogazioni di tipo monetario e a diradare la rete di fornitura con il doppio risultato di mantenere pressoché intatti le strutture, soprattutto quelle amministrative e i centri di potere, il vero oggetto dell’attuale contenzioso politico.
Come per la questione dell’evasione fiscale, ma in maniera ancora più complessa e fuorviante, tutta l’abilità di questo gruppo dirigente consiste nel mascherare una vera e propria battaglia retriva dietro l’approccio moralistico al problema degli sprechi, dell’infedeltà fiscale, del parassitismo che pure esiste.
È il classico modo per dividere il bene dal male e nascondere una politica di subordinazione dietro l’aura di regole ineluttabili legate all’etica delle persone e delle istituzioni.
Il modo per riproporre, quindi, le alleanze più mistificatorie in nome del bene comune.
Non è un caso che sia del tutto assente il dibattito sul tipo e sulle modalità di erogazione dei servizi, un tempo quantomeno oggetto di contesa nella battaglia per le cosiddette “riforme di struttura”; ancora più evanescente quello sulle scelte di collocazione politica e sulla costruzione di un sistema produttivo capace di garantire forza e risorse necessarie a un paese sovrano.
In diverse occasioni ho segnalato, a titolo di esempio, la situazione kafkiana del servizio di tutela dei minori come tipico esempio di strutture che devono alimentare un problema e determinarne il tipo di soluzione per continuare ad alimentarsi e riprodursi a loro volta.
In maniera meno percettibile si può verificare lo stesso approccio negli altri ambiti delle amministrazioni.
Sono comunque realtà dinamiche dove sono in corso conflitti tra propositi e proposte diversi entro cui inserirsi.
Il Ministro Giarda è uno dei campioni nella gestione della palude.
Nell’intervista c’è una affermazione chiave, rivelatrice non solo degli intenti ma della sua filosofia inesorabile: “ Poiché gran parte dei servizi della amministrazione centrale sono ad alta intensità di lavoro e poiché non ci sono soldi per finanziare le innovazioni di processo….”.
Constatazione triplamente fuorviante perché:
1.    molte delle innovazioni di processo richiedono poche o nessuna risorsa aggiuntiva
2.    molte risorse possono essere dirottate dall’interno della stessa spesa pubblica
3.    questo Governo, ancor più dei precedenti, ha dimostrato di saper reperire e depredare ingenti risorse dalle attività produttive e dai patrimoni salvo dirottarle e utilizzarle in modo da indebolire ulteriormente il paese
4.    gran parte dei limiti di risorse cui deve far fronte questo Governo, ancor più dei precedenti e, presumibilmente, meno del successivo prossimo venturo, dipendono dalle barriere che da soli si sono creati i gruppi dirigenti del paese, dei quali Monti è un degno e mediocre alfiere, con la loro collocazione internazionale codina, con l’accettazione delle condizioni attuali di accesso e permanenza nella Comunità Europea, con il fatalismo economicista della globalizzazione e del mercato tuttalpiù regolato da qualche correzione redistributiva.
È la stessa filosofia il cui grigiore informa l’intero Governo.
Nato come “SalvaItalia”, subito rimbrottato perché fosse anche “CresciItalia”, è stato investito dall’alto e dall’Altissimo, in verità in modo posticcio, di una funzione dirompente e salvifica.
A corto di novità effettive, ha dovuto riconoscere quasi subito la condivisione del solco tracciato con la sua vittima complice, pur godendo, nei salotti buoni, degli onori e del rispetto a quest’ultimo negati.
Ha iniziato Monti riconoscendo, quindi, il dovuto a Berlusconi, ha proseguito Passera soffiando dai cassetti i progetti di investimento già pronti per la campagna elettorale del PDL, ha ribadito Giarda mettendo a frutto “ i tagli varati nei passati tre anni”.
Un miracolo dal sapore ecumenico, indotto da una complicità forzata, resa possibile dalla comunanza della Musa Ispiratrice; una musa dotata di argomenti ma anche, all’occorrenza sempre più frequente, degli impulsi da elettrochoc.
In tempi di scelte rischiose, lontani dalle rendite di posizione da bipolarismo, occorre un gruppo dirigente che sappia dare una prospettiva al paese poggiando e valorizzando quelle figure in grado di costruire la forza necessaria e di dare un senso ai sacrifici e ai rivolgimenti richiesti, con proprio “granum salis”, piuttosto che diligente esecutore di letterine e prescrizioni d’oltralpe.
In mancanza si manterranno in auge quelle continue concertazioni tese a ripartire la torta produttiva, di status e soprattutto distributiva sempre più esigua tra lobby organizzate sempre più conflittuali tra loro, ma accomunate dalla disponibilità a sacrificare a “interessi superiori” i beni essenziali e strategici del paese.
Perderanno, quasi certamente, la solennità e il fasto istituzionale della concertazione degli anni ’90, ne manterranno la furbizia degli approcci sottotraccia, organizzati nel gioco truccato dei prossimi schieramenti politici.
Su questo Monti ha ancora tanto da insegnare dall’alto della sua esperienza europea, in particolare quella dei Comitati insediati a Bruxelles.
In un paese così portato alla commedia, più che il surrealismo tragico dell’orchestra sul Titanic che affonda, le goldoniane “baruffe chiozzotte” se non addirittura “i polli di Renzo” di manzoniana memoria.

http://www3.lastampa.it/economia/sezioni/articolo/lstp/449548/