CAOS NEL MONDO E SBRICIOLAMENTO ALL’INTERNO, di GLG, 20 ott
1. E’ effettivamente noioso e faticoso affrontare la situazione in questo paese allo sbando completo, in mano a due avventurieri, oggi complici sempre più scoperti, quali Renzi e Berlusconi; con dissidi ben calcolati e mirati a mascherare ancora, ma proprio con una foglia di fico, la loro meschina “comunella”, un vero disastro per questo paese allo stremo. Si sta compiendo (forse) il reale passaggio alla seconda Repubblica; quante volte ho protestato di fronte alla balla che “mani pulite” avesse già portato a tale risultato. Non era vero: siamo stati per oltre vent’anni in mezzo al guado. E’ certo che il quadro politico sarà d’ora in poi profondamente diverso da quello durato oltre quarant’anni (1948-1992-3) nella prima Repubblica. Tuttavia, si cerca il solito “equilibrio” con un cosiddetto centro e due ali sulla “destra” e sulla “sinistra”. Per il momento al centro si può solo notare la suddetta complicità tra quella che ancora oggi ci si ostina a chiamare destra (molto minoritaria) e sinistra (apparentemente dilagante).
In realtà, abbiamo per ora solo la netta affermazione circa l’opportunità di giungere ad una sorta di scimmiottatura della Germania della Große Koalition. In realtà – dopo un periodo, in cui non si sa ancora bene se vi è stato il colpo di coda dell’antiberlusconismo demente del ventennio trascorso, o se invece si è accentuata la “persecuzione” dell’ex cavaliere per farlo emergere come vittima e uomo responsabile, che accetta la condanna e gli obblighi che ne sono seguiti (assai morbidi) pur di non mettere in caos il paese – si sta andando verso la destrutturazione della vecchia “sinistra” (il Pd a guida degli ex piciisti passati di campo dopo l’ascesa berlingueriana alla direzione del partito, il viaggio di Napolitano negli Usa del 1978, ecc.) e la sostituzione degli eventuali senatori mancanti a Renzi con la maggior parte di quelli in dotazione a Forza Italia.
Si minacciano elezioni, ma solo per mantenere il Senato così com’è ora con un numero sufficiente di suoi membri, appartenenti alla “destra” berlusconiana, in grado di sostituire la “sinistra” del Pd se volesse mettere in discussione l’attuale governo e le sue scelte apertamente liberiste, annientatrici di quel che resta del povero Stato sociale e di ogni e qualsiasi “patto” tra capitale e lavoro, che partì in anni lontani (1975) con l’accordo tra Agnelli e Lama sulla scala mobile. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, non esiste più la scala mobile, l’accordo sindacati-“padroni” è stato sostituito da una collaborazione sindacale spesso al ribasso; tuttavia, si è sempre cercato di non inasprire i rapporti tra le cosiddette “parti sociali”. Oggi si cerca invece lo scontro perché non si sa in che altro modo affrontare una crisi che non è soltanto “economica”; in ogni caso, non fa parte della cosiddetta “congiuntura”, dell’andamento ciclico, altalenante, della sfera produttiva. E’ una crisi, lo ripeto fin dal 2008, del tipo di quella 1873-96; una “non crisi”, un periodo di riassestamento dei rapporti di forza internazionali (geopolitici) in seguito all’affievolirsi della centralità, relativamente regolatrice, di un sistema politico (e ovviamente pure economico) predominante: allora l’Inghilterra, oggi gli Usa.
2. Le crisi economiche sono state studiate e sistematizzate in base a cicli brevi (Kitchin), medi (Juglar) e lunghi (Kondratieff). Tuttavia, lo sono come se l’economia fosse isolata dalle altre sfere della società e soprattutto dai rapporti di forza tra gruppi sociali e, ancor più, tra grossi sistemi sociali e politici (in genere i paesi, le nazioni, ecc.). E spesso sono ignorate, perché poco conosciute, le interrelazioni tra i confronti/scontri, insomma conflitti, tra paesi e quelli tra gruppi sociali all’interno di ogni paese (con le loro ricadute nell’ambito del mutamento, graduale o drastico e violento, di tipo istituzionale, degli apparati statali, ecc.); nemmeno si è fra l’altro chiarito il rapporto causa/effetto tra conflitti tra paesi e conflitti tra gruppi sociali (e loro organizzazioni politiche, partitiche, ecc.). Una eccezione, credo ancora parziale, è stata quella di Lenin con la teoria dell’“anello debole” della catena imperialistica (cioè dello scontro policentrico), in cui la causa è stata appunto il conflitto acuto (bellico infine) tra paesi, in grado di essere poi sfruttato per la rivoluzione sociale (quindi guidata dalla politica) nel più debole dei “poli” in conflitto. In definitiva, appare ben più pregnante l’analisi dei mutamenti di fase in sede internazionale – monocentrismo, multipolarismo come via di passaggio al policentrismo – che non quella dei cicli economici che ne vengono nettamente “surdeterminati”.
Nella seconda metà del secolo scorso si era affermato un sistema fondamentalmente bipolare, secondo me non ancora ben studiato. Troppo è stato concesso alla credenza che in un polo fosse in atto la transizione ad una nuova formazione sociale. Alla fin fine non sappiamo in realtà cosa dire dell’equilibrio di allora tra due potenze, con un’altra (la Cina) in forte avanzata ma ancor meno ben definita del “polo” detto socialista; un equilibrio che, fino a pochi mesi dalla sua subitanea implosione, fu ritenuto pressoché inalterabile. Alla fine, crollato detto polo in meno di un anno e dissoltosi il suo centro (Urss) dopo nemmeno altri due, si è avuto un periodo assai breve di apparente monocentrismo degli Stati Uniti che, fin dall’inizio, hanno mostrato una singolare incapacità di affermare un nuovo ordine e regolazione mondiale.
I liberisti – che ancora blaterano della smithiana “mano invisibile”, e sono spocchiosi e presuntuosi come non mai – hanno creduto alla vittoria del mercato globale (e ancora adesso simile tesi non è stata messa da parte da studiosi di “esaltante” mediocrità). In realtà, questa presunta superiorità della concorrenza mercantile è stata surclassata dallo scatenamento della potenza statunitense, la quale ha dato vita, sia pure con mutamenti di tattica e forse strategia, a continue aggressioni con modalità di vario genere: dirette o con l’organizzazione di sommovimenti interni, approfittando delle deboli strutture sociali di numerosi paesi (quelli da poco liberatisi del colonialismo e neocolonialismo e quelli del vecchio “polo socialista” dissoltosi), oppure utilizzando quali “sicari” dati paesi del capitalismo avanzato, agli Usa sostanzialmente subordinati dalla fine della seconda guerra mondiale – proprio grazie alla formazione dei due poli – mediante l’istituzione della Nato e più tardi della UE. Alla fin fine, il monocentrismo Usa si è mostrato di fatto inesistente ed è venuta in evidenza una nuova fase di disordine mondiale; altro che globalizzazione del “libero mercato”, il presunto (da liberisti fasulli) luogo della pacifica e virtuosa competizione tra imprese, in cui prevarrebbero le “migliori” con il benessere crescente dell’insieme.
Si è creata una situazione che assomiglia al multipolarismo, anche se ancora una volta dovremo fare attenzione alle sue caratteristiche piuttosto differenti da quelle di analoghe fasi del passato. In ogni caso, nei periodi storici di sua incipiente o tendenziale affermazione si producono differenziazioni tra diverse aree e paesi con creazione di grappoli di questi a varia potenzialità. Si evidenziano potenze, subpotenze (“regionali”), paesi subordinati, quelli colonizzati o quasi, ecc. Per il momento, l’unica vera potenza è rappresentata dagli Stati Uniti. Tuttavia, si è andata accentuando l’incapacità di questo paese di creare una qualsiasi minima regolazione centrale: quella regolazione che, in qualche modo, assicurava in altri tempi il manifestarsi, con qualche parvenza di effettiva realtà, della ciclicità dell’andamento economico secondo le teorie formulate da quella presunta scienza detta economia, di cui non si vuol ancora riconoscere la povertà conoscitiva, salvo che nell’abbondante (ab)uso di matematica e statistica con scadenti imitazioni delle scienze naturali.
Il disordine odierno assomiglia comunque molto a quello tipico delle fasi multipolari; poiché, in effetti, quando poi si afferma il policentrismo si vanno appunto formando i poli fra loro in acuto contrasto, ognuno dei quali ha però una sua (quasi) strutturazione interna con un centro strategico di tipo politico ed economico, che sembra (solo sembra, ma è un’apparenza di forte rilievo) farne un blocco unico. Tali poli, proprio per la loro relativa strutturazione interna, sono via via in grado di stabilire varie alleanze fra loro. Esse mutano certamente con una certa frequenza, ma arrivano infine a consolidarsi nei due fondamentali “nemici” che poi regolano fra loro i conti in sede bellica; e non a caso, tuttavia, perfino durante questo regolamento di conti, all’interno dei due campi antagonisti vi sono continue scaramucce per cercare di modificare i rapporti di forza tra i vari paesi in vista della situazione che si creerà nel dopoguerra. Chi continua ad essere affetto dalla malattia chiamata economicismo non capirà mai nulla di questi periodi con le loro turbolenze; e resterà sempre attonito di fronte alle caratteristiche assunte dall’andamento economico, surclassato da quello della politica (con la ben nota “guerra quale continuazione della stessa”).
3. Recentemente, in questo blog, G.P. ha messo in luce la superficialità di coloro (e sono quasi tutti i commentatori nella fase attuale) che sperano nell’equilibrio creato dal multipolarismo incipiente (e ancora imperfetto, ma non troppo). Questi studiosi, giornalisti, ecc. – ormai affetti dal “buonismo” tipico di una fin troppo lunga fase storica di pace nella nostra area a capitalismo avanzato – pensano all’equilibrio come crescita delle possibilità di mantenere armonia e relativa pace fra i vari paesi. Questi chiacchieroni non si accorgono che il suddetto multipolarismo sta creando un mondo sempre più disordinato perché in fase di accentuata disorganizzazione delle sue varie parti. Il cosiddetto equilibrio è semplicemente l’entropia crescente, la cosiddetta “morte termica”. Il “sistema” complessivo (come il corpo umano che ha raggiunto la “pace eterna” nella morte, divenendo cadavere) sembra in equilibrio tra le varie componenti, nel senso che esse si bilanciano nel caos creato dalla perdita di ogni legame cogente, di ogni connessione organica.
Si ha dissoluzione, dispersione, ma anche interazione casuale e disordinata che conduce all’impossibilità di ricreare una qualsiasi organizzazione “vivente”. Perché la vita è differenza di potenziale tra parti, creazione di poli positivi e negativi tra cui corre l’acuta tensione. La lotta tra gli elementi parziali fa sì che questi infine si riaggreghino, ma con sbalzi di tensione e possibilità di cortocircuiti, dal cui risanamento (mai pacifico e “di equilibrio”) nascono nuove riorganizzazioni. Il cosiddetto equilibrio multipolare è in realtà il massimo della disorganizzazione e scioglimento di legami stabili. Solo ricreandosi il differenziale di potenza e tensione si va al policentrismo in quanto lotta (organizzante) che forma poli più stabilmente strutturati al loro interno; solo che, a questo punto, diventa più facile e meno casuale la politica delle alleanze con la creazione delle coalizioni pronte ad entrare in tenzone definitiva per sopraffarsi.
Chi vuole il multipolarismo come condizione permanente di “pace”, persegue semplicemente la morte e la disgregazione tendenziale del “cadavere”. Il multipolarismo ha valore solo in quanto obiettivo transitorio di dissoluzione di un ordine precedente perché non si accetta più la preminenza organizzatrice di una sua data parte costitutiva, che quell’ordine assicurava a suo esclusivo vantaggio (oggi, chiaramente, gli Stati Uniti). Diciamo semmai che – giacché all’interno di ogni parte (di ogni formazione sociale particolare, di ogni paese), nel periodo dell’“equilibrio” multipolare disorganizzante, si possono sviluppare contrasti tra gruppi sociali antagonisti per la supremazia in quella parte, in quel paese – l’unica possibilità per evitare il conflitto più acuto e di gran “sofferenza”, cioè quello bellico a cui si giunge nel pieno del periodo policentrico, sarebbe di individuare i possibili gruppi antagonisti interni ad ogni paese, riuscendo pure ad innescare un conflitto (quello detto rivoluzione, quindi una guerra civile) che ristruttura quella formazione sociale, quel paese. In un certo senso, e accettando l’affermazione con giudizio, sarebbe come se si riuscisse a provocare una “rivoluzione d’ottobre” prima dello scoppio della guerra e non in conseguenza della guerra.
E’ possibile? Non mi sembra di vedere precedenti storici. Prima dello scoppio della Grande Guerra – da cui appunto originò la rivoluzione presa come detonatore e inizio di una immaginaria transizione dal capitalismo al socialismo – si era sviluppata una trasformazione (negli Usa), mai nemmeno colta se non in superficie, del “capitalismo borghese” in quello degli strateghi del capitale, che infine completò la sua netta supremazia nel “campo capitalistico” con la seconda guerra mondiale; e divenne infine ancor più generale (globale) con gli eventi del 1989-91 (crollo del “socialismo” e dell’Urss, cioè della presunta formazione sociale alternativa). E’ tuttavia evidente che, per evitare il confronto bellico tipico del policentrismo, sarebbe necessaria una robusta trasformazione interna – orientata da un acuto conflitto tra i gruppi sociali antagonisti – di alcuni rilevanti poli (paesi) del sistema policentrico. Non ne basta uno soltanto!
Ve ne sarà la possibilità? Non sono profeta; comunque finora non si è visto nulla di simile. Anche perché sembra difficile individuare nell’assai dinamica formazione sociale contemporanea – già in quella del XX secolo e figuriamoci oggi – una precipitazione interna capace di condurre a quegli addensamenti di gruppi sociali indispensabili a provocare un loro conflitto così acuto da produrre trasformazioni profonde e passaggi (transizioni effettive) da una formazione sociale ad un’altra, in modo tale da disturbare e dissestare radicalmente l’assetto policentrico, con i suoi costituendi blocchi di paesi pronti ad affrontarsi in guerra. That is the question, come direbbe un Amleto moderno. Dobbiamo lasciarla in sospeso, come troppe questioni dell’oggi, in un mondo in cui dilagano le “questioncelle” di “prima evidenza” del capitale finanziario, dell’euro, della UE, ecc.; tutto ciò, insomma, che rappresenta quel rozzo pragmatismo di superficie che ha ormai rammollito la materia cerebrale umana, l’ha ridotta ad un liquido melmoso da cui escono solo schizzi di fango. Non siamo più in grado di pensare nulla di profondo, di nuovo. Ci si rifugia nel banale, nell’ovvio, nell’“albero”; poiché ci si rifiuta di vedere che, dietro, c’è una “foresta”.
4. Torniamo adesso, per finire, alla penosa situazione di questo paese. Lo scollamento tra popolazione e politica mi sembra crescere ed essere già abbastanza netto. Tuttavia, vi è difficoltà a comprendere i disegni dei manigoldi che conducono adesso le danze sotto la direzione – non particolarmente abile, ma bastante data la pochezza di tutto l’insieme – dei due complici, che non a caso, tuttavia, sono costretti a nuove mascherature, a dichiararsi parzialmente insoddisfatti l’uno dell’altro, ecc. La difficoltà di far quadrare i conti (non soltanto in senso letterale), la crisi che non smette (e non smetterà a lungo) di tormentarci, la baraonda esistente in campo europeo oltre che in quello mondiale, producono varie incertezze nel programma che resta, lo ripeto, quello di arrivare – passando per una coalizione dovuta, per questi mentitori, alle loro buone intenzioni di fare gli interessi d’Italia – ad un grosso assembramento al “centro”, a imitazione (parodistica) della DC, che si aggregò in un periodo di uscita dalla tragedia della guerra e fu premiata dall’inizio di una notevole ripresa mondiale e, infine, dal boom italiano di fine anni ’50.
Qui siamo in caduta libera con un governo che s’inventa riforme inesistenti e che peggiorano il già mal fatto. Tuttavia, la forza di questi autentici buffoni è nella confusione esistente pure a livello della società italiana. Nessuno capisce che certe misure, tese a dati obiettivi, ne produrranno di esattamente contrari. Si pensi alla questione del Tfr in busta paga o alla “sanatoria” fiscale (prima chiamata condono con termine ben più appropriato). Misure annunciate, smentite, poi riannunciate ma cambiate – come al solito – per la sanità e per le pensioni. Ormai lo Stato detto sociale è un vero colabrodo. Sempre in vena di parodie, questi dannosi e poco divertenti buffoni hanno reinventato la “lotta di classe”, dove la “borghesia” (i dominanti) sono i lavoratori occupati, quelli con posto detto fisso, mentre il proletariato è rappresentato dai precari e dai disoccupati. Si sta sollevando l’orrore e l’“odio di classe” contro quei “prepotenti” che non vogliono mai cambiare posto, vogliono tenersi quello già occupato da anni; non hanno fantasia, sono pigri e abitudinari, ledendo così gli interessi di chi è sempre con la spada di Damocle della rimozione e sostituzione con altri e dunque si accontenta di essere pagato il meno possibile.
Siamo veramente in brutte acque. Il malcontento esiste, la politica non riscuote più nessun rispetto. Lo scollamento tra popolazione e gruppi impropriamente detti dirigenti è palpabile. Tuttavia, si è riusciti nell’intento di una disgregazione sociale con la creazione di un vorticoso pulviscolo che, trascinato dai venti della demenziale propaganda (pur se poco incisiva), si deposita qua e là, forma mucchietti in cui tutto si mescola e si confonde. Insomma, anche sul piano interno siamo in una sorta di multipolarismo, addirittura del tutti contro tutti senza la capacità di discernere quanto questo premier – un “bamboccione” come qualche tempo fa un “trapassato” l’avrebbe definito; e fra l’altro appoggiato dal fu mostro di Arcore – sia un incapace; salvo quando parla a ruota libera, creando indubbiamente un cumulo informe di vaneggiamenti da cui ognuno può trarre le cervellotiche conclusioni che preferisce.
Oggi ha appunto l’appoggio della “sinistra” – salvo alcuni spezzoni di quella ormai logorata da quasi mezzo secolo di continui tradimenti perfino della sua pochezza piciista – e della “destra”, anche qui con un certo numero di scontenti, tuttavia incapaci di liberarsi dell’“amato leader” da tutti loro creato e che, soprattutto, continuano a balbettare un liberismo mai stato nemmeno tale. Situazione penosissima, adatta a fare dell’Italia una zona di “libero permesso” per tutte le operazioni che il prepotente centro del “mondo occidentale” può ancora utilizzare per preparare un caos teso a fermare l’ascesa delle nuove potenze, in specie russa e cinese almeno in una data zona pur sempre nevralgica.
Il periodo non è tuttavia facile per nessuno; e anche la potenza statunitense dovrà barcamenarsi in crescente affanno. I tempi saranno abbastanza lunghi, ma la tendenza sembra diretta, anche se a zig zag, verso precipitazioni meno sfavorevoli a chi intende superare sia questa situazione internazionale, ancora influenzata dagli Usa e dai suoi sicari europei, sia quella interna italiana dove perfino le forze, appunto oggi al governo o dedite alla complicità appena mascherata da morbida opposizione – cioè Renzi e Berlusconi per usare i nomi di riferimento – sono obbligate a subdole manovre atte a creare confusione e smarrimento in una popolazione multiframmentata, quasi molecolare e per certi versi persino atomizzata.
Qui si aprono dunque necessità di analisi che dovranno assai spesso riadattarsi a situazioni in rapido mutamento, quasi sempre tattico e molto confuso nei suoi reali contorni. E bisognerebbe anche valutare dove, e con chi, è più conveniente aprire collegamenti e contatti, pur se con molta cautela e a volte incertezza giacché è effettivamente complicato orientarsi in un bailamme che va crescendo esponenzialmente. Valuteremo di volta in volta.