2011: l’odissea dei traditori della patria

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Giorgio Napolitano si è risentito dell’attacco di Berlusconi che lo ha accusato di avere violato la Costituzione e la volontà popolare costringendolo, nel 2011, alle dimissioni da Capo dell’Esecutivo, per far posto ad un uomo dei poteri forti benvisto dalla finanza mondiale.
“Ossessioni” le ha definite il politico ex comunista.
“Golpe in piena regola” lo hanno chiamato B. ed i suoi tirapiedi. Definire gli intrighi che portarono alla caduta di Berlusconi un Colpo di Stato è forse troppo. Ma è indubitabile che essi furono la concretizzazione di un disegno antidemocratico ed antinazionale le cui conseguenze si manifestano ancora oggi. Da allora l’Italia non si è più ripresa ed è rimasta piegata supinamente a tutti i diktat europei e alle scelte degli alleati atlantici in politica estera. Ha perso qualsiasi autonomia sulle sue decisioni e sui temi fondamentali che la toccano più da vicino, dall’immigrazione alla diplomazia. Non che B. fosse un politico disallineato al campo occidentale ma le sue amicizie personali, con leader del calibro di Putin e Gheddafi, lo portavano spesso e volentieri a scontrarsi con le posizioni di Usa ed Ue su alcuni dossier determinanti. Vedi i corridoi energetici. Chi c’era, dunque, dietro questo nefasto piano? Agenti stranieri e quinte colonne interne, perseguenti il comune obiettivo di mettere definitivamente l’Italia sotto il tallone di ferro dei dominanti globali americano-europei, attraverso coercizioni finanziarie, industriali e politiche. Che qualcosa di torbido sia effettivamente accaduto, checché ne dica Napolitano, lo dimostrano anche le dichiarazioni (depistanti) di Timothy Geithner, segretario del Tesoro Usa fino al 2013: “Gli europei ci approcciarono con cautela, indirettamente, prima di dire agli Usa: Vorremmo che diciate che non sosterrete un prestito del Fmi o qualsiasi ulteriore impegno per l’Italia se Berlusconi rimane primo ministro. Era pazzesco, interessante. Dissi di no”. Geithner, cerca qui di scaricare, more solito, tutte le responsabilità sui tedeschi, a suo dire “in paranoia” per il rifiuto degli establishment dei paesi membri in difficoltà di adeguarsi alle prescrizioni economiche di Bruxelles. Ma è ovvio è che costui utilizzi delle scuse, anche abbastanza banali, per coprire i reali architetti della destabilizzazione italiana, i quali vivono a Washington e non (solo) a Berlino.
Il giornalista newyorchese Alan Friedman ha raccolto, nel suo ultimo lavoro, My way, la “testimonianza” del tycoon di Arcore su questi argomenti. Lo stesso giornalista ne aveva parlato anche in un suo precedente scritto, Ammazziamo il Gattopardo, dove aveva svelato che: “Quando, il 16 novembre 2011, Mario Monti prestava giuramento al Quirinale, gli italiani non lo sapevano, ma a quanto pare l’idea di fare ricorso a Monti era nella testa di Giorgio Napolitano ben prima, già da mesi. Stando ad autorevoli testimonianze, il presidente era intenzionato ben prima del novembre 2011, almeno quattro o cinque mesi prima, fin dall’inizio dell’estate, a cambiare l’inquilino di Palazzo Chigi”.
Detto ciò, Napolitano non può più negare le proprie malefatte, ricadute sulla testa, non di B, ma del popolo italiano nella sua interezza. La storia lo giudicherà per questo e non ne uscirà bene.
Pertanto c’è, contemporaneamente, del vero e del falso in quanto asserito dal Cavaliere. E’ vero che l’ex PresdelRep fu il dominus di tale macchinazione internazionale che doveva portare alla sua defenestrazione da Premier. Ma egli aveva il tempo e la possibilità di sottrarsi ai ricatti con un’azione da vero statista che, invece, non intraprese. Avrebbe potuto denunciare per tempo, di fronte alle pubblica opinione, i suoi “sospetti” senza attendere il fatto compiuto. Non lo fece perché fu complice di quella manovra. Pensò a salvarsi il sedere, con la rinuncia ai suoi poteri governativi, posponendo l’interesse generale ai suoi affari particolari. In lui vinse l’egoismo personale, la paura di perdere tutto, compresa la libertà, e questo chiude per sempre il discorso sulle sue capacità di guida della nazione. E’ stato un pavido, non un condottiero. Peraltro, sapeva in anticipo che l’avrebbe fatta franca, se si fosse tolto di mezzo al cenno di Napolitano, perché così gli era stato promesso da Obama, il quale, durante il G8 di Deauville gli disse chiaramente, rispondendo alle sue lamentele plateali sulle persecuzioni a cui era sottoposto dalla magistratura italiana, “se caschi, caschi in piedi”. Infatti, è ancora lì, in piedi ad intorbidare le acque, fingendo di fare opposizione a Renzi ma appoggiandolo quando rischia di essere affossato dalle minoranze interne al suo gabinetto. E’ un gioco delle parti e B. fa la parte che gli compete, come gli è stato imposto da quelli che continuano a tenerlo per le palle.

Allargando l’orizzonte, vogliamo però aggiungere un pensiero essenziale al nostro ragionamento. Non si deve credere che i complotti e i conseguenti tradimenti dipendano (esclusivamente) dagli individui che si prestano al loro compimento. Alle spalle di questi soggetti operano delle precise dinamiche storiche che si servono dei singoli “agendoli” ben oltre le loro intenzioni. Come scrive La Grassa:

“ll tradimento è il risultato di un processo da ritenersi in qualche modo oggettivo. Ovviamente, l’oggettività non è tale per tutti; solitamente, ciò che per “uno” è tradimento per un “altro” non lo è. Perfino dopo intere epoche, in sede di valutazione storica, spesso si hanno opinioni differenti sui tradimenti di grande portata. Tuttavia, senza entrare nei particolari di concreti esempi storici (tipo il voltafaccia delle maggioranze socialdemocratiche europee nel 1914 o l’8 settembre italico, ecc.), ci sono spesso episodi che poco si prestano a molte distorsioni e mascheramenti, in quanto si verifica, in brevissimo tempo, il mutamento di posizioni da un polo all’altro, per cui restano scarsi dubbi, salvo che ad autentici imbrogliacarte, circa un opportunistico “cambio di casacca” (e di “bandiera”)”…Che cosa significa allora l’oggettività del processo denominato tradimento? Semplicemente che non dipende da una particolare disposizione d’animo di un individuo o di un gruppo di individui. E’ senza dubbio necessario che occorrano determinate condizioni, che il processo abbia assunto una data direzione in base allo scontro tra più individui o fazioni, nel cui ambito sono precipitate specifiche configurazioni dei reciproci rapporti di forza. Il tradimento può anche non realizzarsi perché si è verificato un errore di valutazione di queste configurazioni e di misurazione dei rapporti di forza in oggetto. Tuttavia, devono poter essere individuati in modo realistico, in base ad un non fantasioso calcolo, i possibili sbocchi del processo detto di tradimento.
Proprio il fatto che io sia costretto a parlare di individuazione delle configurazioni, di calcolo realistico delle probabilità, fa capire che non esiste realizzazione di alcun processo se non vi sono i portatori soggettivi dello stesso, i quali devono anche possedere quindi peculiari caratteristiche: quelle che li fa appunto definire traditori. Lamentarsi di questa definizione, o vedervi una semplice indignazione moralistica, significa veramente essere fuori del mondo reale, credere che dati “fatti” accadano per virtù propria. Capisco che ciò è preferito dai traditori, o da coloro che li scusano, perché ci si sente così del tutto non responsabili di autentici delitti”.
Anche se il tradimento nasce dalla direzione e concatenazione degli eventi e dai fallimenti di certe prospettive storiche, non bisogna mai scagionare i Giuda che lo interpretano:
“L’opportunista va disprezzato e, quando possibile, isolato; il traditore, quando possibile, va soppresso, comunque espulso dal consesso civile. Certo, allo scatenamento dell’odio contribuisce pure l’indignazione morale, ma non ce n’è stretto bisogno; è sufficiente la necessità di una lezione esemplare per questa particolarmente grave e di solito socialmente devastante forma dell’opportunismo. Quando non sia possibile la soppressione, si deve comunque denunciare il tradimento con la massima energia e sollecitare l’odio verso i traditori. Nessuna scusante per il fatto che non ci sarebbe tradimento senza quel tipo di oggettività di cui ho appena parlato”.
Detto ciò si capisce meglio tutto il nostro disprezzo sia per Napolitano, l’artefice di quello che abbiamo qui descritto, sia per B., il complice di quanto poi effettivamente accaduto. Quest’ultimo non ha contestato al momento opportuno, e da una postazione privilegiata, le pressioni ai suoi danni contribuendo alle sventure di tutti. Ha baciato il culo del suo carnefice ed è sopravvissuto alla congiura rimettendoci l’onore e la credibilità. Sta sul medesimo piano di Napolitano e quando stigmatizza costui accusa principalmente se stesso. E’ una batracomiomachia tra esseri viscidi e deplorevoli.