La realtà
La realtà ce l’abbiamo sotto gli occhi, eppure, come diceva Machiavelli, chi giudica solo guardando non sente veramente e sono sempre pochi quelli che sentono davvero mentre tutti sono capaci di guardare, per lo più ingannandosi. È giusto quanto affermato dal fiorentino ma è altresì opportuno non attribuire alla natura che ci circonda il nostro solo sentire, perché quello che abbiamo davanti agli occhi non è mero abbaglio, gli abiti con i quali la realtà si presenta sono sempre “reali” soltanto che quei “vestiti” ci coprono altro di più importante. Per cogliere gli altri aspetti della vita dobbiamo allora andare oltre l’epidermide, al di là delle sue prime manifestazioni, e cercare di comprendere ciò che vi è di più e come funziona, anche se non sarà mai possibile capire tutto ma, di volta in volta, si apprenderanno alcune dinamiche e caratteristiche della stessa, le quali, sempre parti di relazioni e collegamenti più grandi o diversi, saranno parziali e dipenderanno dal taglio del nostro sguardo su di esse. La realtà ha i suoi codici che non coincidono con i nostri che pur siamo sua parte. Tocca a noi sforzarci di trovare le chiavi dei suoi linguaggi, scoprire il suo vocabolario per intenderla un poco, ben sapendo che essa non ha intrinsecamente né leggi da consegnarci, né parole per parlarci, né numeri per definirsi. Proprio per evitare di assegnare alla natura un ruolo che non svolge, diceva Galilei, occorre guardarla perché essa è davanti a noi. Questo non significa che quel che ci appare è, il sole infatti non gira intorno alla terra anche se è quel che vediamo, vuol dire saper cogliere e approfondire tanti altri segnali che contraddicono quella prima percezione subitanea e particolare, senza cercare scappatoie tra dei e ultra-mondi frutto della più fervida immaginazione, anche di intelletti sommi.
Detto ciò, ci spostiamo sulla società umana seguendo le predette indicazioni. Quando certi ciarlatani, oggi molto meno sommi di ieri, definiscono il contesto collettivo in termini moralistici, illudendo che siano il bene o il male a guidare gli uomini o altri valori similari, stanno ingannando i loro simili. Quando costoro antepongono le allucinazioni da perseguire a quel che effettivamente tende l’esistenza non stanno descrivendo il mondo ma stanno costruendo un mondo di falsità utile al soggiogamento, spesso più odioso del necessario. La scienza sociale, proprio come la scienza fisica, dovrebbe invece del tutto “spietatamente”, ovvero conformemente alla “natura” collettiva, trovare le ragioni del nostro evolvere, evitando le scorciatoie che chiudono il discorso rendendolo incomprensibile. Le nostre vite non si spiegano con gli slogan, con le mitologie della libertà o dei diritti, che nulla chiarificano sulla concreta situazione sociale. Parliamo di pace ma siamo sempre in guerra, blateriamo di solidarietà ma siamo accerchiati dalla sopraffazione, siamo tutti uguali eppure si moltiplicano e si complessificano le gerarchie e le scale sociali. Guardiamo a “questi fatti”, in primo luogo, per studiarne motivazioni ed esiti provvisori. Pensate alla politica, per esempio, che qualcuno in questi tempi magri di cervello, ha definito servizio per il cittadino e azione trasparente. Ci si rende conto dell’idiozia? La politica è lotta per la preminenza, è serie di mosse per battere l’avversario, è strategia segreta e, in quanto tale, pertiene a ogni sfera umana. Si fa politica ovunque si deve conquistare qualcosa e immancabilmente su qualcuno. Per questo non vi è mai vero equilibrio se non per fasi transeunti, perché l’equilibrio è solo una breve condizione del costante squilibrio che nutre la vita. L’equilibrio è il sole che gira intorno alla terra. Queste cose non ve le possono raccontare perché altrimenti nessuno crederebbe più alla narrazione delle nostre splendide istituzioni, né a quelle del prete o del capo o, persino, del capofamiglia.
Sotto un estratto da un intervento di Gianfranco la Grassa che speri rafforzi i concetti da me espressi.
Occorre appunto la <<Politica>>, la capacità di effettuare le mosse decisive per ottenere una supremazia. Questa <<Politica>> potrebbe essere attuata da “alti dirigenti” delle imprese se questi limitassero lo sguardo alla produzione delle stesse, alla vendita dei prodotti, all’ottenimento di mezzi finanziari? Nemmeno per sogno! Le imprese, anche di grandi dimensioni, non hanno in se stesse gli apparati indispensabili ad esercitare la <<Politica>>. Per questa decisiva attività occorre <<Il Potere>>. Ahi, ahi, qui si apre un problema che richiederà tanta attenzione e studi ben approfonditi. Partiamo intanto dalla fondamentale, e sempre più attuale, affermazione di un veramente notevole pensatore (Von Clausewitz): “ La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi.”. E la politica di cui qui si parla è appunto la <<Politica>>, la strategia (con le sue “figlie tattiche”) per vincere e conquistare la supremazia, cioè, in definitiva, un vero <<Potere>>, che duri per un certo periodo di tempo.
La “guerra”, intesa in senso stretto, è quell’azione politica in cui si usano mezzi bellici (militari, insomma ci siamo intesi) per lo scontro teso alla preminenza definitiva. E tale scontro riguarda il conflitto tra grandi complessi sociali, tipo i paesi o nazioni dell’epoca moderna, quando si arriva all’ultimo e ormai irrinunciabile atto per prevalere. Quest’atto, nella sua conduzione, esige in modo del tutto essenziale non il semplice possesso di armi superiori a quelle del nemico, ma proprio l’abilità strategico-tattica nella conduzione delle sue singole e varie operazioni. La guerra è dunque “continuazione della politica”, ma è essa stessa pervasa dalla <<Politica>>, nel senso già chiarito. Quest’ultima, dunque, è l’azione decisiva per conquistare una supremazia (una predominanza); cioè per assumere il vertice, il punto più alto, del <<Potere>> in una data “area sociale”, che ha pure connotazioni territoriali. Il <<Potere>> ha dunque sempre come effetto la sua estensione ad una determinata area geografico-sociale.
5. La guerra non è altro che uno dei mezzi, assai violento, per giungere al <<Potere>>; e per conquistare quest’ultimo non basta il semplice sfoggio di violenza, ma proprio la capacità strategica (dunque lo svolgimento della <<Politica>>) in tutti suoi molteplici aspetti. Occorrono menzogna, inganno, raggiro, finta bonarietà e amichevolezza, provocazione e “voce grossa”, conoscenza (quasi sempre indiretta, “spionistica”) delle forze e delle mosse dell’avversario, blocco o sviamento delle stesse intenzioni di quest’ultimo, ecc. ecc. Per lo svolgimento di simili azioni occorrono organizzazioni, chiamiamoli pure “apparati”, del tutto specifici, adatti a perseguire simili scopi. E questi apparati sono in genere quelli della sfera sociale definita politica; oggi lo Stato in primo luogo, dizione sintetica di una organizzazione assai complessa e variegata, che viene spesso, in modo improprio, trattata come si trattasse di un unico “soggetto agente”, quasi avesse una sua personalità specifica, una sua mente, perfino magari un’“anima”.
Per l’organizzazione di simili apparati, e per lo svolgimento delle loro operazioni, certo occorre anche lo strumento denaro. Tuttavia, identificare in questo strumento il vero, supremo <<Potere>> è la più stupida e banale convinzione di coloro che si credono suoi nemici in quel dato momento vigente. Ed esso alimenta simili demenzialità, ne consente del tutto “lietamente” lo sfoggio per dimostrare la sua “tolleranza democratica”; in realtà sa che è esattamente uno dei mezzi per mantenerlo ed esercitarlo al suo massimo grado. Non è la sedicente “dittatura” l’uso più perverso e pericoloso del <<Potere>>, ma proprio l’esaltazione della “democrazia”, il più perfido e subdolo inganno perpetrato dai peggiori fra i suoi detentori. Non a caso, da ormai un periodo plurisecolare, al comando degli Stati Uniti.
Questo <<Potere>>, sia chiaro, non è qualcosa di fisso e stabile. E’ assai mutevole nelle sue forme di manifestazione, nei vari settori in cui deve estrinsecarsi per mantenersi dotato di sufficiente controllo politico nella società tutta e nei numerosi momenti successivi del suo esercizio. Deve affrontare vari conflitti, da alcuni dei quali è anche attraversato e “scosso”. Insomma esso è consustanziale alla <<Politica>>. Quest’ultima mira al <<Potere>>, che non potrebbe mai sussistere senza svolgerla con il massimo respiro possibile. Bisogna essere allora ben consci che al centro di tutto sta sempre il conflitto, sia pure di portata e intensità ben diversa nei differenti ambiti sociali in cui si manifesta e in cui sia la <<Politica>> che <<il Potere>> sono quindi di rilevanza molto varia.
Sia l’una che l’altro investono tutte le sfere sociali: quella economica, quella detta politica (compresa la cosiddetta “amministrazione” degli affari generali di un dato complesso sociale qual è, ad es., un paese o nazione), quella ideologico-culturale (con le sue svariate correnti). Il <<Potere centrale>> di un dato complesso sociale (tipo appunto un paese o nazione) non sta nella sfera economica né in quella ideologico-culturale. Nessuno sottovaluta ciò che forniscono tali sfere come mezzi per il conflitto in quanto “essenza” della <<Politica>> per conquistare il <<Potere centrale>>. Ma forniscono appunto mezzi, non sono attrezzate a detta conquista. Per comandare centralmente occorre una completa pervasività – nell’intero corpo sociale – del <<Potere>> e dunque delle mosse strategiche (la <<Politica>> appunto) per conquistarlo sopraffacendo altre forze in conflitto.
La conclusione di tutto questo ragionamento mi sembra abbastanza evidente, anche se dovrà continuamente essere riconsiderata e precisata. Il massimo <<Potere>> è quello <<centrale>>, esercitato dai vari apparati che si chiamano sinteticamente Stato. Di detti apparati sono certo importanti quelli sempre presi in prevalente considerazione dai marxisti e che svolgono funzioni di “repressione e coercizione”, aspetti non irrilevanti della preminenza di dati gruppi sociali. Apparati decisivi sono pure quelli bellici, dotati di tutta la strumentazione necessaria allo svolgimento della “guerra”, che proprio per questo è stata definita “continuazione della politica con altri mezzi”. La guerra è però uno dei conflitti, anche se deve essere esercitato, in quella specifica metodologia d’azione, con particolare virulenza e dunque con una adatta strumentazione. Ed infatti il conflitto – necessario alla vita e movimento di una qualsiasi realtà, naturale come sociale; anche se con modalità differenti nei diversi ambiti – è il processo per il quale, nella società, è sempre necessaria la <<Politica>>. Senza quest’ultima non si prevale in nessun settore dell’attività conflittuale tra diversi gruppi sociale e anche tra individui.
In forma minima si svolge attività politica, e quindi conflittuale, nella coppia d’innamorati, nella famiglia; e poi in forma via via più accentuata nelle diverse associazioni professionali, nelle imprese (all’interno d’esse e nella concorrenza tra esse), tra i diversi gruppi che lottano per il governo di una data società nazionale, ecc. E infine nel confronto, ben più robusto, tra diverse società del genere (i vari paesi) per il predominio in vaste aree geografico-sociali o nel mondo intero. Ed è in quest’ambito che il conflitto, sempre guidato dalla <<Politica>>, può sfociare infine nella “guerra” quando altre soluzioni sono giunte ad esaurimento. Questo fa capire immediatamente che il conflitto più alto e che predomina su tutti gli altri non si svolge nella sfera economica (dove nel capitalismo si ha la concorrenza interimprenditoriale con i suoi diversi metodi di innovazione nei processi di lavoro e nel lancio di nuovi prodotti, ecc.) e nemmeno in quella ideologico-culturale (per la preminenza di una certa corrente ideale).
I gruppi in competizione nell’economia e nella cultura devono sempre trovare il loro correlato nella sfera politica; altrimenti mai prevarranno. Tutti si impressionano per la corruzione dei politici, per le tangenti provenienti dal mondo produttivo e finanziario. E dunque, per i superficiali, il potere vero spetta a chi ha soldi da spendere per comprare settori della politica. Se in questi settori ci sono degli inetti – o più facilmente gruppi politici servi di altri ben più potenti; tipico caso rappresentato da quelli italiani degli ultimi trent’anni, striscianti ai piedi dei dominanti statunitensi – i gruppi imprenditoriali e culturali hanno ben poco da “giocare”. Possono prevalere in ambiti assai limitati, possono in casi fortunati arricchirsi, ma di potere non ne hanno e la loro stessa ricchezza è sempre in pericolo. In definitiva, il vero <<Potere>>, quello decisivo, spetta a chi sa guidare gli apparati della sfera politica (in primis quelli dello Stato) nello svolgere la <<Politica>> (la strategia e tattica) in grado di battere gli avversari; arrivando appunto, nei momenti cruciali, alla “guerra”.
Per il momento chiudo qui. Anche perché il discorso ben più vasto e che parte dall’inizio della teoria sociale – quella a mio avviso da considerarsi la scientificamente più valida e realistica, formulata da Marx e fortemente deteriorata nella seconda metà del XX secolo da marxisti per modo di dire – l’ho a mio avviso abbastanza ben svolto nel libro di prossima (non vicinissima) pubblicazione: “Per un nuovo percorso teorico”. In esso ho dedicato ampio spazio alla formulazione di quanto qui è soltanto accennato. Rinvio dunque alla lettura del libro, che ben pochi faranno; come saranno sempre pochi quelli che leggeranno questo mio breve scritto. Un’epoca di simile ignoranza non credo sia mai esistita.