SUL CONTRIBUTO DI BADIALE E SU QUELLO DI COLOMBO
Yurii Colombo, nel suo intervento di risposta a Marino Badiale, mette in evidenza aspetti molto interessanti della discussione in atto, alcuni condivisibili altri, onestamente, non confacenti né al pensiero delle persone chiamate in causa né agli esiti ai quali questo pensiero condurrebbe. Innanzitutto, Costanzo Preve e Gianfranco La Grassa da tempo sostengono che sia il marxismo che il pensiero di Marx stesso devono essere sottoposti ad un radicale ripensamento (dico ripensamento) che non contempla nessun rinnegamento di Marx né, tanto meno, la revisione post-festum della storia e della cultura che il marxismo (dal suo fondatore sino agli epigoni a noi più prossimi) ha prodotto. Questo non vuol dire certo che ci si debba bendare gli occhi davanti agli errori/orrori del comunismo e alle strampalate teorie che spesso si sono richiamate a questa nobile “intenzionalità” (e già anticipo cos’è il comunismo per me tra l’ “Attività” di Colombo e la “Giustizia” di Badiale).
Come dicono bene La Grassa e Preve, è la stessa ambiguità di Marx che ha generato distorsioni (vieppiù crescenti) nei continuatori della sua teoria, aporie che sono cresciute a partire già dalle interpretazioni che ne danno Engels e Kautsky, alla sua morte (vorrei comunque la prova di un pensiero non aporetico se ne esiste uno). Nemmeno Lenin fu capace di esserne totalmente immune ma riuscì ugualmente a sopperire con la pratica ad una certa deficitarietà teorica, il rivoluzionario russo con la sua “analisi concreta della situazione concreta” sconfessò il rinnegato Kautsky e ruppe le uova della rivoluzione bolscevica. Chapeau e silenzio in sala!
Quanto al pessimismo cosmico di La Grassa, è meglio chiarire alcune questioni per non liquidare contraddizioni concrete con affermazioni di maniera tipo “quand’erano marxisti”. La Grassa è certamente pessimista per quel che concerne la possibilità di realizzazione del comunismo così come si è dipanato finora nella testa degli intellettuali (e chi non lo sarebbe dopo tante sconfitte ma soprattutto dopo il perdurare di analisi teoriche irrealistiche). Ma il suo pessimismo cresce, e del tutto giustamente, quando dagli errori del passato non si trae nessuna lezione. Allora cominciamo a non fare i sacerdoti del tempio anche perché altrimenti vorrei porre io una domanda a voi tutti: che cosa vuol dire essere marxisti oggi? E fino a che punto possiamo spingerci nella critica al “maestro”?
Nei suoi ultimi testi La Grassa ha sostanzialmente criticato due aspetti fondamentali della teoria marxiana: 1) la non intermodalità della classe operaia in quanto classe emancipatrice dell’intera società (e già qui c’è il primo errore messo in evidenza da GLG perché Marx fa riferimento al lavoratore collettivo cooperativo “dall’ingegnere al giornaliero” e non alla classe operaia di fabbrica come pensavano gli operaisti) 2) il concetto di modo di produzione che non esaurisce la spiegazione sul sistema capitalistico, e non è un caso che lo stesso Marx si proponeva di trattare la sfera politica (lo Stato) non trovandone però né il modo né il tempo per farlo.
Quanto al primo aspetto credo che sia sotto gli occhi di tutti quello che è accaduto sia in occidente che nella Russia sovietica, siamo all’anno zero della soggettività rivoluzionaria e, personalmente, anche per questioni di età, non ne sento proprio la mancanza (probabilmente non la penserà così chi ha partecipato alle lotte storiche degli anni ’60-70). Sta di fatto che si è provato con tutti e con tutto: operai di fabbrica, operai sociali esplosi nella società ridotta a fabbrica, pazzi, moltitudini, lavoratori autonomi di seconda generazione e chi più ne ha più ne metta.
Per ciò che attiene, invece, al secondo aspetto non si tratta di una mera critica a Marx ma del tentativo di proseguire un lavoro lasciato incompleto dato che il barbuto di Treviri concentrò la propria analisi soprattutto sulla sfera produttiva e, precipuamente, sullo sviluppo incontrastato del capitalismo inglese (de te fabula narratur). Proprio dall’analisi della produzione (rapporti di produzione-forze produttive) Marx coglie due aspetti determinanti per comprendere le modalità di sviluppo del capitalismo e delle sue intrinseche contraddizioni: da un lato, il rapporto tra proprietà privata dei mezzi di produzione-lavoro salariato non proprietario e, dall’altro, il mercato dove la “libera” forza lavoro si vendeva ai capitalisti. Questi aspetti, che La Grassa non contesta affatto ma che ridimensiona quanto ad importanza per la comprensione del capitalismo tout court, vengono riposizionati nell’ambito di un conflitto geo-politico e socio-spaziale che pone l’accento sulle strategie di dominio approntate dai funzionari del capitale. Qui si rende però necessario un nuovo spostamento teorico perché, evidentemente, se il capitalismo contempla soprattutto il conflitto strategico tra classi dominanti a livello mondiale, la contraddizione Capitale/Lavoro-Borghesia/Proletariato comincia a spiegare davvero poco del problema. A chi contesta questa impostazioni vorremmo ricordare che il c.d. proletariato è riuscito ad ottenere qualcosa quando il conflitto tra dominanti si è spostato a livello delle strutture statali (I e II guerra mondiale) e negli anelli più deboli della catena capitalistica (consiglierei di riascoltare un vecchio pezzo di Gaber intitolato “La realtà è un uccello” perché, a quanto pare, a volte un cantautore può capire certe cose meglio di un intellettuale).
Dunque, se questo recuperare i temi lasciati aperti da Marx è un reato di lesa maestà Gianfranco La Grassa può essere considerato un parricida e un antimarxista. Se, invece, come credo, questa è una strada plausibile per andare “oltre Marx” e oltre le due malattie ataviche del marxismo e, cioè, politicismo ed economicismo, il tentativo diviene obbligatorio se veramente si vuole (in un futuro non troppo lontano) pensare di costruire un mondo meno odioso di questo. Forse non siamo nemmeno al flogisto ma sta di fatto che abbiamo bisogno di aria fresca per riprenderci, anche se non ne conosciamo la composizione chimica.
Quanto al comunismo inteso quale mezzo e non fine da Badiale e come Attività da Colombo, scelgo la terza via del Preve di qualche anno fa. Come dicevo all’inizio di questo contributo il comunismo è una intenzionalità che potrebbe mostrarsi non possibile per quanto necessaria. L’intenzionalità comunista ricomprende la ricerca della giustizia sociale, dell’uguaglianza (non me ne vogliate ma non mi preoccupo delle critiche bobbiane), della libertà, le uniche vere ragioni per cui il comunismo diviene desiderabile. E’ chiaro che questo comporta un’attività di rivoluzionamento delle attuali strutture sociali e la costruzione di nuove sulle quali saprei dire davvero poco, tuttavia la storia si è già presa le sue belle rivincite sulle aspirazioni umane e non è detto che non se ne prenda altre.
A questo punto mi sembra inutile riproporre cantilene del tipo “il comunismo è l’abolizione dello stato di cose presenti”, perché se è vero che il capitalismo è una logica sociale complessa dovremmo sapere, già dal giorno dopo, come sostituirla, almeno per non finire di nuovo come l’URSS.