IL REVISIONISMO DI GIAMPAOLO PANSA
Una delle arti in cui noi italiani siamo imbattibili è quella della salita sul carro dei vincitori. Si tratta di una vera e propria arte e non di una semplice “capacità atletica”, difatti, siamo sempre in grado giustificare intellettualmente e con un buon linguaggio edulcorato quello che più semplicemente si dovrebbe definire “tradimento” o che nel politicamente corretto di questa fase, viene definito “sano revisionismo storico”. Questa arte contempla due atteggiamenti polarizzati ma speculari, e cioè: gli osanna per il vincitore e la gogna per il decaduto (le famose monetine a Craxi sono emblematiche in tal senso).
Tra gli artisti del revisionismo si affermano spudoratamente gli uomini di sinistra o della pseudosinistra intellettuale che, per la ossessionata volontà di rimarcare la lealtà al nuovo padrone, fanno le pulci alla storia in modo da confondere le idee e gettare fango sulle bandiere rosse che prima alzavano come dei forsennati e che oggi affossano con altrettanto foia.
Giampaolo Pansa è un vero e proprio “masterizzato” in questo campo. E’ partito dagli episodi in editio minor della resistenza per svelare quanto, anche a sinistra, si fosse cattivi e si ammazzasse crudelmente sia i fascisti che chi li copriva. Spesso i partigiani si guardavano in cagnesco anche tra loro per ovvi motivi ideologici (nonostante il comune nemico nazifascista) ma anche a guerra conclusa fu difficile stabilire chi doveva deporre per primo le armi. Per non parlare delle foibe che lasciano aperte antiche ferite e servono oggi da giustificazione a chi vuole cancellare il contributo comunista alla liberazione dal nazifascismo. Evidentemente è giusto parlare anche di questi episodi, Pansa non lo sa ma ci fa un favore coadiuvandoci, suo malgrado, a spezzare la mitizzazione della resistenza partigiana divenuta un feticcio nella mani di bande rivali chiamate polo delle libertà e Unione, alleate del grande capitale finanziario americano, le quali neutralizzano, nella ritualità delle corone depositate sui monumenti ai caduti, una lotta che fu buona e giusta.
Ma naturalmente gli intenti del suddetto giornalista-storico sono ben altri e guardando alla storia dal buco della serratura si tenta sempre di trovare appigli per escludere qualcuno dagli onori e dagli allori. Siccome il comunismo storico è oggi caduto deve essere cancellato dalla memoria storica dell’umanità, anche quando contribuiva a liberare i popoli e le nazioni dal giogo della dittatura. Le persone intelligenti colgono il messaggio, tra queste ci sono i giullari come Benigni che nel suo pluripremiato film “La vita è bella” fa liberare Auschwitz da un carro americano e non sovietico (di qui l’Oscar della vergogna)
Insomma le ispezioni pansiane degli orifizi del tempo storico scovano sempre episodi torbidi (un po’ merdosi) che tornano utili per il revisionismo odierno. Ma Pansa, in questa sua ginnastica intellettualoide si spinge sempre più avanti e sull’Espresso di questa settimana ha denunciato le atrocità degli anni di piombo lasciandoci l’ennesimo insegnamento. Pansa se la prende in sequenza: 1) con i brigatisti che ridevano, dalle loro celle, in faccia ai parenti di Moro e a quelli degli agenti di scorta morti in via Fani, 2) con gli editori che pubblicano le memorie di queste feroci assassini e li riabilitano all’olimpo degli opinion maker e alla performatività del consumismo odierno 3) con quelli del centro-sinistra che hanno permesso ad un ex di Prima Linea di divenire uno dei segretari della camera dei deputati.
Quanto alle risate dei brigatisti non mi pare che fossero rivolte ai parenti dei morti, ma più che altro alle “coorti di giustizia” che vedevano la sovversione solo nei gruppi di estrema sinistra ma tacevano di fronte alla corruzione e alla violenza di Stato. Si moriva da una parte e dall’altra in una guerra sanguinosa (Cossiga la definisce guerra civile e concede ai brigatisti lo status di guerriglieri) dove lo Stato italiano, con le sue trame più o meno nere, non era certamente migliore del controstato rappresentato dalle BR.
Ovviamente non ci passa nemmeno per l’anticamera del cervello di difendere i brigatisti con la loro ideologia operista da P38 inserita in un partito militare, né, tanto meno, crediamo alla possibilità di abbattere il sistema colpendo all’inesistente cuore dello Stato o al suo meccanismo automatico di pianificazione, definito dalle BR S.I.M. (Sistema Imperialista delle Multinazionali).
Quanto al punto 2, gli editori fanno il loro mestiere e lo fanno pure bene. Le grandi case editrici pubblicano i dissociati e i pentiti (non facciamo nomi perché sono troppi e troppo chiacchieroni, inoltre, se ripensiamo all’incontro tra la Faranda e Cossiga ci viene da vomitare), gli altri, i c.d. “puri e duri”, se hanno da dire qualcosa che non sia un mero pentimento o una richiesta di perdono sono costretti a usare il fai da te. Non mi interessa se questa gente ha torto, ma preferisco sempre chi non sputa fango sugli ex compagni o sulle proprie esperienze passate perché i veri ripensamenti sorgono da percorsi tortuosi e laceranti che non hanno bisogno del tam-tam mediatico. I “rinnegati”, invece, sentono l’impellente bisogno di riabilitarsi individualmente ostracizzando e ripudiando quella dimensione collettiva con la quale si riempivano la bocca ai tempi della militanza armata. Ciò che diciamo per i pentiti di sinistra vale anche per quelli di destra e ciò che diciamo per i non rinnegati di sinistra vale anche per i non rinnegati di destra. Per questi ultimi il rispetto che meritano per non essersi salvati il culo inchiodando gli altri. (si tratta di un giudizio morale e non politico!)
Infine, la retorica di Pansa ci riporta allo sdegno che il suddetto giornalista prova per l’ex di PL, prima divenuto parlamentare e poi segretario alla camera. D’Elia (è questo il nome del parlamentare) è stato eletto nelle liste della Rosa nel Pugno. Si tratta del partito più liberale in politica e più liberista in economia che sia mai esistito in Italia, eppure, l’ex marxista piellino, sta con questa gente. Il pistolero che fu marxista militare è ora acceso sostenitore del liberismo. Allora, caro Pansa di che ti preoccupi? Si tratta di un rinnegato come un altro di cui è pieno zeppo il parlamento italiano. Valeva la pena utilizzare tutta la retorica dei brigatisti sghignazzanti in tribunale per arrivare a dire che non ti piace D’Elia? Potevi semplicemente dire che chi cambia idea così clamorosamente non è degno di sedere tra i banchi di Montecitorio. Ovviamente, questo non lo potevi fare perché a quel punto avresti dovuto guardare ai tuoi mentori e all’area alla quale appartieni. In realtà il vostro revisionismo ha una natura filosofica defondativa, siete stati capaci di rimuovere le stesse revisioni alle quali vi siete sottoposti: voi non avete mai cambiato idea siete nati tutti filoamericani e filoliberisti. Veltroni docet!