UN INTERESSANTE CONTRIBUTO DA FRANCO DI ORTONA (Ch)

Scrivo questa lettera a commento dell’articolo scritto da Etienne Balibar e da Jean-Marc Lévy-Leblond pubblicato da “il manifesto” il 20 Agosto 2006. Detto articolo tratta della questione medio-orientale ed in particolare di quella israelo-palestinese e mi ha indotto delle riflessioni in quanto penso esso possa essere preso da esempio di come si incorri in errori di prospettiva e di analisi quando si abbandonano certe categorie socio-politiche a vantaggio di altre. Balibar è stato un esponente di rilievo del marxismo e spiace notare come appunto egli abbia potuto, si direbbe quasi abiurare, questo sistema di pensiero. Sono due le questioni che a mio avviso saltano maggiormente agli occhi, vale a dire la questione delle forme di resistenza del popolo palestinese e l’analisi più in generale della situazione politica del medio oriente. Se da una parte gli autori condannano senza mezzi termini la politica di Israele bollandola come coloniale in quanto ha istituito sui diversi territori che controlla una forma di apartheid mortale per la popolazione palestinese, dall’altra ritengono che gli attentati suicidi che hanno caratterizzato la seconda Intifada siano “forme di azione moralmente ingiustificabili, distruttrici e controproducenti”. Ora verrebbe da chiedere quali forme di resistenza potrebbero attuare i palestinesi, considerando la schiacciante sproporzione nel rapporto di forze in campo come riconosciuto dagli stessi autori. A mio avviso questa è la stessa posizione dei pacifisti ad oltranza che ritengono la non violenza essere il vero “demiurgo” della trasformazione sociale. Ora ciò poggia, possiamo senza dubbio dire, più su legittime aspirazioni umane ed i relativi sogni che da esse possono scaturire (sempre necessarie intendiamoci, poichè senza di esse la volontà umana sarebbe ridotta alla stregua di quella degli animali) che su analisi di un certo spessore teorico. Gli autori altresì proseguono sostenendo che la scomparsa dello stato d’Israele non risolverebbe i problemi della nazione palestinese, poiché finirebbe per rendere quest’ultima inevitabilmente dipendente dagli stati arabi petrolieri e/o militarizzati. Ora perché questa situazione sarebbe di per sé ininfluente per la sorte dei palestinesi (in quanto sicuramente non risolleverebbe minimamente le loro condizioni) non si capisce bene. Ciò di cui avrebbero bisogno i palestinesi sarebbe “una metamorfosi di Israele”, “una rinuncia all’abuso della forza”, una sua “riforma morale” e via discorrendo, ma gli autori sono ben coscienti che la situazione attuale è quanto di più lontano ci si possa immaginare da questa prospettiva; ma perché? Perché “la specificità del problema israelo-palestinese è in via di entrare in un conflitto di più vaste proporzioni, dai contorni ancora confusi ma di violenza crescente e sempre meno controllabile dai propri attori: gli Stati Uniti e i loro diversi alleati da una parte; gli stati antiamericani e i movimenti fondamentalisti islamici dall’altra”. Non ci si accorge che il genocidio dei palestinesi così come l’aggressione israeliana al Libano fanno già parte (e da molti anni) di una strategia (geo-politica) americana di ben più ampio respiro il cui obbiettivo è quello di rafforzare la propria supremazia nella zona del mondo che va dal Mediterraneo orientale fino al cuore dell’Asia centrale al fine di tenerne fuori le potenze che gli USA stesse ritengono, allo stato attuale delle cose, potenzialmente essere in grado, in un futuro non troppo lontano, di competere concretamente militarmente ed economicamente con essi, vale a dire la Cina e la Russia.
Gli avversari degli USA non sarebbero da meno quindi, “ chi non vede che le retoriche di Bush e di Ahmadinejad sono l’una lo specchio dell’altra?” Ora sicuramente qualsiasi capo di stato del mondo sogna di sostituirsi a Bush o quantomeno di accrescere il suo potere (e quindi la sua influenza sulle zone strategiche del mondo) tramite la gestione e controllo dei diversi apparati di stato, ma cosa centra questo con quelli che sono realmente i rapporti di forza e di potere a livello planetario? Una attenta analisi strutturale ci dice che l’Iran attualmente è semplicemente costretta a difendersi dalla costante e sempre più stringente minaccia americana alla sua indipendenza ed autonomia, che non è attualmente in corso nessuna sfida o contrapposizione tra potenze per la supremazia mondiale, che esiste una nazione, gli USA, il cui strapotere non è minimamente messo in discussione e che si trova costretta ad aprire vari fronti di guerra perché teme che la sua supremazia possa essere incrinata da altra nazioni fortemente in ascesa, che non esiste più quell’equilibrio mondiale bipolare che l’ URSS assicurava, che stiamo per entrare in una fase di forti tensioni geo-politiche a livello mondiale, foriera, fra l’altro, di enormi tensioni sociali anche nei paesi più sviluppati. I nostri autori quindi auspicano un diverso ruolo dell’Europa volto a reimpostare la politica internazionale sul terreno del diritto al fine, fra le altre cose, di “reclamare l’applicazione di tutte le risoluzioni delle Nazioni unite” Inoltre, continuando in veri e propri voli pindarici, “bisogna che l’Europa contribuisca all’attivazione di uno spazio mediterraneo di cooperazione e di negoziato”….questo consiglio regionale permanente non garantirà di certo automaticamente la pace ma è il solo antidoto alla logica dello scontro di civiltà in grado di far arretrare l’integralismo al tempo stesso che il razzismo post-coloniale, l’antisemitismo e l’islamofobia.” Ora come si possa riporre una minima fiducia in una entità niente affatto definita politicamente qual è l’Europa, enormemente divisa al suo interno e, cosa ancor più rilevante, ancora vassalla degli USA, nonostante qualche sussulto, ma niente più, da parte della Francia e della Germania, come essa si pensa, quindi, possa veramente giocare un ruolo a livello internazionale in futuro, non è a affatto chiaro. Ma cosa ancor più grave, questo consiglio regionale permanente sarebbe l’antidoto alla logica dello scontro di civiltà; quindi, di nuovo in questa parte dell’articolo, si ignora completamente il fatto che la situazione medio-orientale è il riflesso perfetto delle strategie imperialiste messe in atto dalle potenze mondiali, in primis gli USA, che Israele è un gendarme che risponde perfettamente agli ordini nord-americani, e che tale situazione potrà significatamene cambiare solo quando una nuova potenza o gruppo di potenze sarà in grado di contrapporsi allo strapotere degli USA.
Franco, Ortona (CH).