UN "NAPOLITANO" IN UNGHERIA (di G. La Grassa)

La destra (ipocrita) attacca; la sinistra (ipocrita) si difende, rinnegando. Non è sufficiente che Napolitano depositi fiori sulla tomba di Imre Nagy (martire, secondo le destre, per i fatti d’Ungheria del 1956). A suo tempo, essendo uno dei dirigenti del PCI, il nostro Presidente approvò l’invasione sovietica di quell’ottobre. Oggi, dopo tanti rinnegamenti fatti a partire dal 1989, va contrito alla tomba di Nagy, ma questo non basta alla destra che inzuppa ancora il pane in quei lontani fatti, e continua a blaterare sul “comunismo” assassino.

Coloro che la destra appoggia svisceratamente, i gruppi dominanti USA, hanno organizzato colpi di Stato dappertutto e massacrato milioni di persone (anche negli ultimissimi anni, com’è ben noto a tutti salvo che ai sepolcri imbiancati). Ricordo solo, tanto per fare pendant con l’Ungheria, il colpo di Stato in Cile e l’uccisione di Allende. C’è qualche “brava persona” che osa sostenere non esserci stato lo zampino (zampone) degli Stati Uniti? E si sa quante decine di migliaia di patrioti cileni furono uccisi in quelle giornate a partire dall’11 settembre 1973? Non le 2800 vittime delle “due Torri” di un altro famoso 11 settembre, ma decine di migliaia, forse 100.000; e moltissimi torturati, seviziati, prima della morte. Non mi consta che alcun uomo politico governativo (di destra o sinistra che fosse) abbia mai accusato, e condannato, esplicitamente gli USA per quel massacro (ribadisco che sto parlando di membri del Governo italiano, non di qualche dirigente politico prima di essere assurto agli “onori” governativi). Nessuno, dei vertici del nostro paese, ha depositato fiori sulla tomba di Allende, dichiarando contestualmente da chi era stato realmente ucciso. Solo gli ipocriti, appunto, possono trincerarsi dietro il fatto che gli USA hanno potuto agire per interposta persona, tramite cioè l’esercito cileno; con centinaia di istruttori e agenti dell’esercito e dell’Intelligence americani, con il pieno appoggio logistico, diplomatico, economico-finanziario degli Stati Uniti.

Eppure la sinistra fu comunista (in realtà, come detto più volte, piciista) non smette mai di scusarsi, di chinare la schiena, di battersi il petto, di piangere i morti che ha provocato, perseguendo comunque finalità che – evidentemente solo a parole, oggi lo si capisce sempre meglio – si rifacevano alla volontà di trasformare la società capitalistica, di combattere lo sfruttamento, la guerra tra popoli, ecc. in questa insiti. Tutto rinnegato, ma gli esami non finiscono mai; ed è giusto che sia così, perché in effetti chi può mai fidarsi dei rinnegati? Possono tradire infinite volte.

Personalmente, non mi scuso proprio di nulla, e spero che ci siano molti altri a non farlo e ad avere il coraggio di dichiararlo. E, tanto per allargare ancora il discorso, non chiedo scusa nemmeno per le foibe, altro tema su cui la sinistra non la smette più di piangere. Si tratta ovviamente di “lacrime di coccodrillo”, perché dei morti, di qualsiasi morto, non gliene frega proprio un bel nulla; l’importante è strapparsi i capelli e fingere dolore, in modo da poter acquisire i “buoni posti” che i dominanti affidano ai servi più vili, più infami, i migliori giacché hanno dimostrato di non possedere moralità alcuna né spina dorsale. Come ha detto un tale (spiritoso), i vermi non incespicano mai dato che strisciano soltanto; e quale miglior servo può desiderare allora un padrone affinché sia zelante e puntuale nei servigi?

A me i morti interessano. E non vengo a raccontare che la repressione in Ungheria è stata una “buona cosa”, conforme allo “spirito comunista”; nemmeno vengo a raccontare che nelle foibe sono finiti solo i colpevoli, che non sono stati perpetrati autentici delitti, magari meschine vendette, o eliminazioni per interessi ancora più bassi. Non voglio ripetere la solita solfa della rivoluzione che non è un pranzo di gala. C’è però fra noi qualche manicheo che vede la netta scissione tra il bene, da una parte, e il male dall’altra? C’è qualcuno che si illude circa la possibilità – per un qualsiasi essere umano in una qualsivoglia epoca passata, presente o futura – di trasformarsi in individuo di assoluta moralità, di assoluta bontà, di assoluta generosità, senza viltà, bassezze, miserie varie? Non raccontiamoci storielle! Ci sono limiti che non bisognerebbe travalicare; e, se lo sono, certamente la nostra condanna dovrebbe essere comunque inappellabile. Tuttavia, non si tratterà mai di limiti netti, precisi, decidibili senza alcuna incertezza.

Mi dispiace, ma il giudizio su certi eventi – al di là, lo ripeto, di alcuni casi condannabili sempre e comunque – non può che vedere la preminenza dell’aspetto storico-politico. Il problema è la “scelta di campo”, il mettersi da “una parte della barricata”. Il resto segue, a volte (quasi sempre) anche con dei “mal di pancia”, con amarezze e delusioni varie. Se io scelgo di schierarmi contro l’imperialismo statunitense (o comunque contro la vocazione di quel paese a stabilire una egemonia globale che considero ultranegativa per la stragrande maggioranza della popolazione mondiale), sto ad esempio con decisione dalla parte dell’Iran contro gli USA (e l’Europa che tiene loro bordone, seppur con varie ipocrisie), anche se non ho nulla a che vedere con la cultura islamica, e non vivrei un solo mese in Iran. Sto nettamente con i palestinesi contro Israele; e non mi faccio irretire dall’Olocausto di oltre sessant’anni fa; a quell’epoca, se ne avessi avuto l’età, sarei stato dalla parte degli ebrei con lo stesso spirito e la stessa radicalità con i quali sono oggi contro di loro.

Nel 1956 chi era veramente comunista (un comunista di quell’epoca) non poteva volere che il campo capitalistico sfasciasse il suo avversario per poi imperversare come prima del 1917; non si trattava affatto di un “bell’evento”, non faceva certo onore al comunismo, c’era da discuterne e da rivedere qualcosa di più che semplici bucce. Però senza cedere di un pollice di fronte a chi continuava ad essere per il rafforzamento del capitalismo e imperialismo, di fronte a chi aveva organizzato il colpo di Stato in Guatemala (contro Arbenz) e stava già sostituendo la Francia in Indocina (come si chiamava allora); la quale Francia (con l’Inghilterra) approfittò, non a caso, dei fatti d’Ungheria per tentare di abbattere Nasser e riappropriarsi di Suez. Nessuna insensibilità di fronte ai morti ungheresi; ma per i guatemaltechi o gli indocinesi o gli egiziani, nessun pensiero? E al di là del pensiero dei morti, era accettabile che il capitalismo tentasse di annullare la storia iniziata con l’ottobre del ’17? Non poteva essere questa la scelta di un comunista; e non rinnego nulla di quella scelta.

Dopo, per quanto mi riguarda (e, con me, moltissimi altri), è iniziato un processo (lungo) di ripensamento, mediante il quale mi sono convinto (come, appunto, moltissimi altri) che il “campo socialista” non era garanzia di alcuna avanzata verso il socialismo e comunismo (anzi!). E infine – ma tramite una serie di ragionamenti assai lunghi che non posso qui certo esporre – non fui scontento della fine di tale campo nel 1989. Però con molte titubanze, e conscio che le valutazioni fatte avevano larghi margini di incertezza. Non si trattava certo di rimpiangere il comunismo (mai esistito nemmeno nelle intenzioni) dei paesi investiti dal “crollo del muro”; quest’ultimo poteva invece forse contribuire alla nascita di una radicalmente nuova opposizione al capitalismo e imperialismo, pur se con l’iniziale dilagare della potenza statunitense, l’unica rimasta. Ed infatti, da quel momento in poi, abbiamo avuto un’aggressione americana dopo l’altra, di cui le tappe soltanto più note sono Irak, Jugoslavia, Afghanistan. Si è perfino verificato l’arretramento delle conquiste sociali, del Welfare, qui da noi, nel cosiddetto “capitalismo renano”.

Il possibile effetto positivo del 1989 – una drastica riformulazione della teoria e prassi anticapitalistiche – non mi sembra sia stato minimamente sfruttato; per colpa di comunisti e marxisti dell’epoca “di Marco Cacco”. Mentre i suoi effetti negativi sono tuttora in pieno dispiegamento. Ciò malgrado, non mi pento del favore con cui, tra vantaggi e svantaggi, accolsi quel crollo improvviso (e inglorioso) del falso socialismo (e comunismo). Volerlo nel 1956 mi sembra però assai peggio che demenziale; e in tal senso continuo a giudicare coloro che approfittarono dei fatti d’Ungheria per rinnegare la loro scelta comunista, di cui si erano già pentiti, aspettando solo l’occasione propizia. Così come i rinnegati diessini d’oggi: aspettavano solo l’occasione del “crollo del muro”. Smaniavano per potersi rifare una verginità. Quindi anche per me, il gesto di Napolitano – il portare la corona sulla tomba di Nagy – è assai ambiguo; ma non perché, come pretendono i destri (ottusi reazionari), avrebbe dovuto essere accompagnato da chissà quale altro discorso di abiura e condanna del comunismo; ma perché semmai sarebbe stato necessario chiarire che è un puro gesto di umana pietas, senza alcuna valutazione politica solo positiva (e anticomunista) di un evento, tramite cui i reazionari volevano semplicemente poter dilagare in tutto il mondo, come hanno fatto dopo il 1989.

Questo cumulo di ipocrisie, di rinnegamenti, di abiure multiple e composite, ecc. dovrebbe spingerci a voltare pagina. Il vecchio comunismo è ormai questo impasto tremendo di viltà, di tradimenti, di copertura della propria miserabilità e doppiezza; la sinistra fa a gara con la destra a chi è più disgustoso nel servire il capitalismo e, soprattutto, il peggiore dei capitalismi, quello che promana dagli USA. Approfittiamo del crollo del falso comunismo, cui abbiamo creduto per fin troppo tempo, e mettiamoci al lavoro. Tutto andrà riclassificato e trasformato; basta con destra-sinistra, comunismo-anticomunismo, fascismo-antifascismo, antisemitismo e tutte le altre fandonie ideologiche che un ceto dominante, con i suoi sicari politici, contrabbanda per mantenere un potere sempre più marcio, fatto di infamie, inganni, protervia e uccisioni in massa con “metodi d’alta tecnologia”. Eccidi di una enormità tale da rappresentare un multiplo di quelli (presunti) perpetrati da (presunti) comunisti; e compiuti da ominicchi che hanno soltanto il terrore di perdere i loro privilegi, il loro potere di sfruttamento globale, ecc. Nessuna visione strategica di ampio respiro, nessuna ideologia di “alta levatura” per quanto sviante onde celare un dominio; non c’è alcuna aquila tra questi capitalisti odierni, solo gallinacci starnazzanti, ma pericolosi e in vena di uccidere.

 

PS Ho sentito gli odierni (serali) TG e non posso non fare un’aggiunta. Il Presidente della Repubblica si rammarica per il morto italiano in un attentato in Afghanistan, ma afferma che è “un costo che deve essere messo in conto” nella “lotta per la libertà”. Cominciamo a parlare come Bush; dobbiamo difenderci dal terrorismo; chi muore per combatterlo (perché inviato da comandi militari e politici a combatterlo) è ipso facto un eroe da “piangere”, ma con la coscienza che si tratta di un “costo necessario” (mai che muoia uno di quelli che hanno inviato i soldati; quelli che “stanno sopra” li “piangono” e li “onorano”). Manca poco e troveremo di nuovo scritto : “vissuto è assai chi per la Patria muore”.

Di fronte al fatto luttuoso sono ricominciate le manfrine tra sinistra moderata e radicale (la destra non fa notizia, non desta sorprese). Il TG5 ha chiesto a Bertinotti se è d’accordo con la sua parte politica che chiede il ritiro anche dall’Afghanistan. La risposta, la metto tra virgolette perché queste sono per l’essenziale le sue parole, anche se non esattamente le stesse: “ho una carica istituzionale che non mi consente di emettere un giudizio sulle richieste di una parte politica. Comunque, essendo la guerra orribile [e qui ha fatto un gesto d’orrore che sembrava imparato all’Actor’s Studio, famosa scuola americana di recitazione], spero che il Governo continui nella sua azione di pace, così ben iniziata con la missione in Libano”. Avete capito? Non ha detto “ben iniziata con il ritiro dall’Irak”; no, le missioni di pace del Governo che più piacciono a Bertinotti, che ha in orrore la guerra, sono le spedizioni militari in territori stranieri.

Gli amici mi dicono di star calmo, di sviluppare freddamente i miei ragionamenti, perché gli insulti nuocciono alla presa degli stessi sui lettori. Essendo assonnato, posso seguire il loro consiglio; chiedo però: quando uno sente (e vede) un “essere”, del genere di questo “rivoluzionario da salotto” salito agli alti scranni delle S.I. (Sacre Istituzioni), pronunziare la frase che ho appena riportato, avrebbe o no tutte le ragioni di perdere la calma e di insolentirlo? Siamo uomini o quegli animaletti “che non incespicano mai” (quelli sicuramente non si indignano). Mi fermo qui.

 

26-27 settembre