RAZIONALITA’ STRATEGICA E RAZIONALITA’ STRUMENTALE

 

Pubblichiamo sul nostro sito www.ripensaremarx.it un contributo teorico di Gianfranco la Grassa dal titolo “Razionalità strategica e razionalità strumentale”. Per chi già conosce la teoria lagrassiana saprà che si tratta dei due principali tipi di razionalità che attraversano la dinamica capitalistica. Mentre la razionalità strumentale agisce a livello di processi produttivi orientandoli al conseguimento di elevati livelli di performatività economica (combinazione ottimale dei fattori produttivi), la razionalità strategica è, invece, quel complesso di azioni orientate alla supremazia, così come sono messe in atto dagli agenti (gruppi) dominanti al fine di allargare il proprio campo d’azione e le aree d’influenza nelle quali si trovano ad operare. E’ ovvio che gli agenti strategici, per approntare le strategie più efficaci agli obiettivi preposti, necessitano di ingenti risorse; quest’ultime sono esitate dal processo produttivo (e dalla sua organizzazione razionale in termini di produttività del lavoro, realizzazione di nuovi output ecc.) nella forma di merci e, dunque, di denaro.

Tuttavia, ed è qui che agisce la mistificazione capitalistica, l’aspetto "strumentale" diviene narrazione ideologica che, ipetroficamente, invade ogni sfera sociale al fine di celare i reali obiettivi perseguiti dagli agenti strategici. Per tale ragione, anche il conflitto strategico resta coperto sotto la forma di questi rapporti “economicamente razionalizzati”. In realtà, una strategia per la “preminenza” è sempre qualcosa di molto più complesso che può comportare arretramenti o grandi balzi, azioni di diversione,  piccoli spostamenti con momentanee perdite di posizioni (e di postazioni) al solo fine di far abbassare la guardia al nemico e colpirlo così con più veemenza. Con l’occhio della massima profittabilità monetaria la “profondità” di queste manifestazioni non potrebbe essere assolutamente colta.

Per questo risulta indispensabile spezzare l’ideologia della razionalità strumentale, quest’ultima ci restituisce l’immagine di un mondo dove la struttura capitalistica risulta meramente “imbalsamata” su rapporti di dominazione/subordinazione verticalistici (la subordinazione del lavoro esecutivo a quello direttivo per il raggiungimento di sempre più elevati standard di profittabilità) ma che ci dice poco del moto autopropulsivo del capitalismo, del motore di tutta la sua dinamica: il conflitto strategico interdominanti (quello che consente al capitalismo di autorinnovarsi senza tendere mai ad una stagnazione irreversibile).

I cosiddetti anticapitalisti dovrebbero aprire un discorso su questi temi, uscire dalla "gabbia d’acciaio" del modo di produzione e ragionare sulla complessificazione della(e) formazione(i) sociale(i), tanto nella sua segmentazione in orizzontale (le diverse formazioni nelle quali si articola la formazione sociale globale) che nella sua stratificazione in verticale (confronto tra gruppi dominanti all’interno di ogni paese e crescente frammentazione sociale che ne consegue) . Ma ora vi lascio al discorso di La Grassa che parte da questi punti per andare “oltre”, verso la costruzione di un diverso indirizzo teorico più adatto a cogliere la palingenesi subita dalla formazione capitalistica, ormai pienamente post-borghese e post-proletaria.