QUALE STRATEGIA DI POTENZA PER IL PAKISTAN (II PARTE)

 

I problemi “etnolinguistici”

 

Sotto l’impulso dei mojahjirs, l’urdu è stato promosso al rango di lingua ufficiale, anche se l’inglese resta la lingua della elite dominante e quindi dello Stato. Sono stati, comunque, profusi molto sforzi per promuovere l’urdu a lingua principale di tutto il Pakistan. La Costituzione del 1973 stabilisce che la lingua ufficiale del Pakistan è l’urdu. Il Generale Zia, al potere dal ’77 al ’88, è stato, per sua parte, uno strenuo difensore dell’urdu imponendo il suo insegnamento fin dalle scuole materne. Questo ha creato forti tensioni linguistiche tra le diverse comunità che compongono il paese. L’identità culturale rivendicata dai Bengalesi illustra perfettamente la situazione nella quale si sono ritrovate tutte le etnie pakistane quando l’urdu fu proclamato lingua nazionale. Il Pakistan orientale aveva, ad esempio, proposto che la sua lingua, il bengalese, fosse scelta come lingua dell’insegnamento, della giustizia e dell’amministrazione per tutta la parte orientale. Del resto, guardando al peso che tale etnia ricopre (il 56,4% della popolazione dichiara che il bengalese è la sua lingua madre contro il 3,37% che dichiara di parlare l’urdu) tali rivendicazioni apparivano più che giustificate. Tuttavia, le istanze dei bengalesi furono presto rigettate in blocco dai dirigenti del nuovo Stato, con base a Karachi, per timore di perdere il potere. Queste diatribe linguistiche furono all’origine della nascita del movimento autonomista della lega di Awami e del suo leader S.M. Rehman. La Lega combatterà contro i poteri costituiti per i ben noti motivi di sottorappresentanza dell’etnia bengalese (nel governo, nelle forze armate, nella amministrazione) nonostante questa fosse accreditata tra le più numerose del Pakistan.. Nel 1971, dopo la repressione del movimento indipendentista bengalese sotto la spinta militare dell’esercito pakistano (in questo conflitto morirono da uno a tre milioni di persone), il Bangladesh riuscì ad acquisire l’indipendenza grazie all’intervento dell’India. Questa separazionetra le due anime del Pakistan è il simbolo del fallimento di un’unità nazionale basata sull’islam. I bengalesi, nonostante fossero anch’essi mussulmani, hanno voluto comunque affermare la loro appartenenza linguistica e culturale contro il potere centrale in mano ai pendjabi. L’idea originaria di un paese unito dalla religione ha fatto un vero e proprio buco nell’acqua perché le appartenenza etnolinguistiche hanno prevalso su quelle confessionali. Nel mosaico pakistano, dopo il 1971, i pendjabi rappresentavano il 56% della popolazione, i sindi il 17%, i pasthun il 16% e i beluci il 3%, senza contare le etnie dell’estremo nord tutte portatrici di altrettante lingue tribali. Tutte queste divisioni hanno fatto e continuano a fare del Pakistan un paese percorso da tensioni interne multiple. Questi conflitti minano la coerenza interna dello Stato e impongono di trovare nuove soluzioni per l’avvio di una vera politica di potenza.

 

Il Pakistan sullo scacchiere internazionale

 

Questo paese, creato praticamente ex-novo, cerca di assicurarsi la sopravvivenza dovendo fronteggiare un vicino davvero ostile come l’India. Già nel 1948 i due paesi si sono affrontati nella guerra del Cachemire. Quest’ultima si è conclusa con una divisione in due parti dello stesso Cachemire e con il tracciamento di una linea di confine (fortemente instabile) tra i duellanti. Nel mezzo della Guerra Fredda, il Pakistan divenne alleato degli USA nella speranza di preservare la sicurezza del paese. L’avvicinamento agli Usa iniziò già prima della decolonizzazione, con Jinnah il quale si era recato al consolato di Bombay per offrire i suoi servigi al governo degli Stati Uniti. Quest’alleanza si concretizzò nel 1954 con la firma di un accordo di mutuo sostegno di difesa che per il Pakistan significò, soprattutto, poter importare massicciamente armi statunitensi. Tuttavia, si è trattato di un accordo piuttosto ambiguo a causa d’interessi dirimenti tra la potenza mondiale e la nascente potenza regionale. Mentre il Pakistan tentava di premunirsi contro l’invadenza indiana, l’altra, gli USA; nella logica dei blocchi contrapposti, cercava di porre sotto la propria egemonia una serie di paesi che avrebbero potuto finire sotto l’ala sovietica.

Il Pakistan s’integrerà velocemente in due sistemi d’alleanze militari:

         L’Organizzazione del Trattato dell’Asia del Sud-Est che con la firma del patto di Manila nel settembre 1954 tenderà a formare un arco di protezione dalle Filippine fino al Pakistan medesimo. Quest’alleanza promossa dagli Usa aveva lo scopo di porre un freno allo sviluppo della potenza cinese in queste regioni

         L’Organizzazione del Trattato Centrale che con la firma del patto di Bagdad va a raggruppare paesi mussulmani come la Turchia, l’Irak, l’Iran…quest’accordo permetteva agli USA di rafforzare una cintura di protezione contro l’avanzata sovietica verso il medioriente e l’Asia centrale.

 

Ma  l’avvicinamento tra Pakistan e Usa è stato sempre mal visto dagli Stati arabi che non avevano voluto riconoscere il Pakistan. Questo paese, che aveva come ambizione quella di essere un grande rappresentante del mondo mussulmano, diverrà presto infrequentabile in virtù tali legami con gli Stati Uniti, nonostante fosse impegnato nel sostegno della causa palestinese. Nell’affare del Cachemire, i paesi arabi-mussulmani non sosteranno mai il Pakistan. Del resto l’India stessa, pur essendo esclusa dai trattati stipulati tra Pakistan e Usa, ha sempre mantenuto il suo statuto di “non allineata” non mostrando, nella sostanza, grande ostilità alla superpotenza statunitense. Nehru intrattenne rapporti privilegiati con Russia e Cina (riconoscendo immediatamente quest’ultimo paese dopo la rivoluzione comunista ed invitandolo alla conferenza di Bandung nel 1955). Ma la rapida disfatta dell’India contro la Cina, nell’ottobre 1962, segnò un’importante cambiamento di strategia. Il Pakistan ne approfittò per avvicinarsi alla Cina in funzione anti-indiana. Nel 1965 l’India e il Pakistan saranno di nuovo in guerra l’una contro l’altro ma la situazione del Cachemire non approderà a nessun cambiamento in seguito a tale conflitto. Nonostante il sostegno più volte proclamato dagli USA nei confronti del Pakistan, la prima stabilirà un embargo sulle armi a danno del pesete mussulmano. La terza guerra indo-pakistana segnerà la disfatta dell’esercito pakistano contro l’insurrezione del Pakistan Orientale (appoggiato dall’India) con il Bangladesh che riuscirà ad ottenere la tanto agognata indipendenza. Il Pakistan, ovviamente, non riconoscerà il Bangladesh per molti anni. Solo con gli accordi di Shimla del 1972, verrà annunciato il regolamento di tutti i conflitti con l’India, attraverso una serie di discussioni bilaterali. Si parlerà dello “Spirito di Shimla”. Più della disfatta dell’esercito pakistano in questa guerra, quello che verrà considerato come una vera e propria umiliazione sarà il tradimento americano e la cessazione del sostegno USA alle aspirazioni di questo paese. La strategia pakistana di avvicinamento agli Usa non aveva soddisfatto, e questo già a partire dal 1954, i pakistani più attenti. Tale strategia aveva permesso il riconoscimento repentino del nuovo Stato ma, in termini di alleanze militari, non aveva garantito nessun reale vantaggio contro l’india, né alcuna pressione internazionale efficace sulla vicenda del Cachemire. Tutto ciò stava compromettendo la solidarietà panislamica sottesa al rafforzamento del paese. L’arrivo al potere del carismatico ZulfuKar Ali Bhutto aprirà la via al cambiamento della strategia pakistana che riprenderà a virare verso il mondo islamico.

 

Il Pakistan: una potenza islamica?

 

All’indomani della secessione del Bangladesh, il Pakistan di Bhutto aveva messo in pratica una strategia di espansione e d’influenza in Asia centrale al fine dell’acquisizione di una migliore “profondità” strategica con lo scopo di creare una vasta zona panislamica di fronte all’India e all’Impero Sovietico. L’islam, parte integrante dell’identità nazionalistica pakistana, dal 1971 rappresenta lo strumento più performativo di tale strategia di potenza e fa da controllo e da sostegno ai principali gruppi jihadisti, i quali costituiscono l’arma più efficace della politica estera pakistana. L’avvicinamento agli altri paesi mussulmani iniziò con la quarta conferenza islamica del febbraio 1974 a Lahore. In seguito a tale iniziativa il Pakistan diverrà un paese “frequentabile” e il riconoscimento del Bangladesh ne sarà l’ennesima conferma. La strategia d’espansione islamica si rafforzerà sotto il regime del generale Zia. Quest’ultimo dopo aver preso il potere, il 5 luglio 1977, ed imposto la legge marziale, sposerà in pieno la necessità di uno Stato islamico forte in contrasto all’idea della costituzione di un mero Stato-nazione. Egli applicherà una violenta politica d’islamizzazione per riformare il paese: applicazione della sharia, giustizia ispirata al corano, sviluppo delle madrasse. La rivoluzione islamica in Iran e l’invasione dell’Afghanistan, da parte delle truppe sovietiche nel 1979, faranno del Pakistan il maggiore alleato degli USA nella regione, con conseguenti aiuti militari ed economici sempre più copiosi da parte di Washington. Il generale Zia non sarà più considerato come un paria e gli americani dimenticheranno persino l’economia della droga con la quale il Pakistan si garantiva enormi entrate economiche.

Il Pakistan riceverà 3,2 miliardi di dollari nel 1981 e più di 7,2 miliardi fino alla fine degli anni ’80. Nel 1981 esso riceverà, altresì, un prestito da 1,6 miliardi di dollari dal FMI e un sostegno finanziario dall’Arabia Saudita, la quale avvierà un vasto programma d’investimenti in tutto il Pakistan. In questo periodo si esacerberà anche la lotta d’influenza con l’Iran, quest’ultimo cercava di esportare la sua rivoluzione islamica facendosi forte del 20% della popolazione pakistana di confessione sciita. Ancora, in questa fase, inizierà la grande emigrazione di lavoratori pakistani verso i paesi arabi.

Tutti questi aiuti, in gran parte americani, favoriranno il potenziamento economico e militare del Pakistan. Con queste risorse verrà finanziata la guerriglia in Afghanistan ma verrà anche garantito il rafforzamento dell’esercito pakistano. Il Pakistan organizzerà, inoltre, l’esercito dei mujahidin, garantendosi il controllo di tutti i gruppi operanti in Afghanistan e favorendone, tra questi, i più radicali in assoluto (pashtun Hezbollah).

Durante la guerra afgana si formerà una rete islamica internazionale con sede in Arabia Saudita che parteciperà finanziariamente alla guerra santa (altri paesi fortemente coinvolti saranno la Giordania e lo Yemen). Dopo la morte del generale Zia (1988) e la caduta dell’impero sovietico, il Pakistan continuerà la sua politica afgana sostenendo anche i taliban, a partire dal 1994. Parallelamente tenterà di applicare la stessa strategia afgana nel Cachemire, sostenendo e finanziando i gruppi jiadisti lì presenti.

Adesso possiamo passare al ruolo specifico che l’ ISS (i Servizi Segreti pakistani) svolge nello sviluppo della politica estera di questo paese dalle mille contraddizioni. (continua…)