RAPIDE RIFLESSIONI SULLO SCONTRO DS-FORLEO di Claudio Lanti Direttore della Velina Azzurra

 

Il post PCI ha vissuto in passato altri due momenti di tensione giudiziaria, superandoli con facilità. La prima volta fu il compagno Greganti  a troncare seccamente il discorso assumendo per se stesso ogni responsabilità. La seconda volta fu la stessa procura di Milano a liberarsi della fastidiosa sostituta Tiziana  Parenti, meteora oggi dimenticata, espellendola dal proprio corpo. 

 

Il caso Forleo  riassume i  due casi precedenti ma appare molto più problematico. Se da un lato Clementina Forleo appare essere solo una nuova Tiziana Parenti, d’altro lato per assumere il ruolo di Greganti, il post PCI ha dovuto mettere in campo i suoi  due nomi più grossi:  Napolitano  e Violante. Vedremo subito che cosa ciò significa.

 

Stavolta le contestazioni  vanno direttamente ai capi DS  e sono di contenuto assai più rilevante rispetto alle magre tangenti sugli appalti alle coop scoperte nel 1992-93.  Il coinvolgimento dei capi DS nelle scalate bancarie  di Consorte e altri è una questione strategica che si trascina  tenacemente  dall’estate 2005, quando per la prima volta il salottino Mieli-Montezemolo, erede del salotto Cuccia-Agnelli,  dichiarò guerra  al post PCI.    Dietro le scalate, la vera faccia nascosta del problema sono le  colossali plusvalenze che si presume siano state dirottate dalla rivendita di Telecom Italia da Colaninno a Tronchetti Provera. L’armadio che si vorrebbe  aprire -o che si  finge di voler aprire-   è quello.

 

L’obiettivo di questa pressione che dura da due anni è facilmente individuabile: è lo smantellamento del vecchio gruppo di comando del post PCI per permettere all’uomo nuovo Walter Veltroni di conquistare senza ostacoli il Partito Democratico.  I tempi parlamentari  dell’autorizzazione a procedere sembrano coincidere con  i tempi costituendi del PD.

 

Il vecchio gruppo di comando  ha risposto che non intende  lasciarsi bonificare. Ma ha dovuto gettare in campo tutte le sue forze residue: Napolitano e Violante rappresentano le  ultime divisioni di elite, la Guardia imperiale  lanciata a difesa della fortezza.  Attenzione: Napolitano ebbe un ruolo strategico come presidente della Camera nella distruzione dei partiti di Tangentopoli. E Violante, sappiamo bene che  il “piccolo Viscinski” (così lo chiamò Cossiga e lui non lo querelò)  è tuttora il guardiano  dell’arca dell’alleanza del post PCI con la magistratura.

 

Napolitano e Violante, dunque,  con tutta la loro capacità rappresentativa,  si sono fatti garanti della  legittimità di posizione di D’Alema, Fassino, Bersani, etc.  Hanno annunciato in pratica che l’autorizzazione a procedere  verrà negata e  proclamato che il partito non si discute: esso è innocente per definizione, è escluso  in partenza da qualsiasi  sospetto. La sua patente di onestà e moralità è garantita dallo stesso esercizio del potere. 

 

Berlusconi, ormai in concorrenza stretta con Fini, si è subito aggregato.  Voterà anche lui  contro l’autorizzazione a procedere, confermando il suo ruolo di ascaro della sinistra conservatrice.  

 

A questo punto sarebbe facile tentazione dire che il re è nudo oppure che il nemico è ormai arrivato  in contatto con la fortezza assediata.  Ma in realtà  all’esterno delle torri c’è solo il caos: non esiste un soggetto politico nemico o alternativo.   Il dramma è che il  potere organizzato continua a indebolirsi, clamorosamente.   Ma, nel Paese svuotato di energie e motivazioni,  non esistono forze capaci di approfittarne. 

 

Che cosa accadrà allora? L’unico dato certo è che da un lato il “sistema” continuerà  a collassare e dall’altro che, per tenersi in piedi,  sarà spinto a ridurre ulteriormente gli spazi di opposizione mirando sempre più -con l’ausilio dei mezzi d’informazione-  all’equiparazione tra  dissenso ed eversione. L’interrogativo da porsi è se avrà almeno la forza necessaria per la repressione.