I GIGANTI DEL MERCATO NELLA MORSA DI LILLIPUT (di M. Tozzato)
L’articolo che segue, uscito su “il manifesto” dell’11 gennaio 2007 rappresenta un tipico esempio
di quella retorica movimentista dei forum sociali, apparentemente frutto di fantasie e costruzioni immaginifiche del tutto risibili che in realtà nasconde, però, lo strutturarsi, sempre in nicchie molto limitate, di forme marginali e parassitarie di organizzazione economica che con la scusa dei buoni sentimenti solidali mirano proprio ad inserirsi in specifiche pieghe di quel mercato globale di cui si professano critici. Da domani insieme al settimanale “Carta” dovrebbe uscire un libro sul problema della privatizzazione dei servizi pubblici e del suo fallimento negli ultimi quindici anni in Italia. Non dubito che vi si potranno trovare informazioni interessanti, ma sicuramente non mancherà una reale e interessata proposta, mascherata da retorica “buonista”, alla GFeID (Grande Finanza e Industria Decotta) da parte dell’area dell’”impresa sociale” per ricevere quelle attenzioni e quegli spazi che essa probabilmente merita come puntello dei dominanti. Questo supporto può articolarsi in varie maniere a partire dall’economia “low cost”, nelle sue varie forme, per proseguire con forme cooperative sociali (ultradefiscalizzate) che a partire da attività legate, in massima parte agli enti pubblici, di fornitura di servizi produttivi a basso costo si sono allargate alla gestione di spazi marginali, ma non del tutto, del consumo, della distribuzione, del credito collettivo decisamente importante in un società superprecarizzata e con livelli di reddito medio-bassi sempre più differenziati.
Mauro Tozzato 12.01.2007
I giganti del mercato nella morsa di Lilliput
L’egemonia del pensiero neoliberista alle prese con la crescita e la diffusione dell’economia solidale
Jean-Louis Laville
Nei trent’anni di forte crescita economica del dopoguerra (1945-1975), la socialdemocrazia europea ha confidato nella possibilità di un progresso sia economico che sociale, ma il compromesso che ha realizzato ha avuto due punti deboli di fondo. Il primo è stato riconoscere il monopolio della creazione di ricchezza all’economia di mercato. La crescita dei mercati doveva essere massimizzata per favorire le politiche di redistribuzione. In altre parole, la possibilità di politiche di solidarietà era indicizzata alle prestazioni dell’economia di mercato. La seconda debolezza è stata, nell’ambito del welfare state, la posizione degli utenti, a cui da un lato veniva garantito l’accesso ai servizi grazie alla gratuità o alla modicità dei prezzi praticati, ma che dall’altro venivano esclusi dalla concezione dei servizi loro destinati.
Negli ultimi anni l’offensiva neoliberista, confortata dal crollo dei regimi del socialismo reale, si è presentata come una politica senza alternative percorribili e si è appoggiata su queste due ambiguità. Si è sostenuto è che il potenziale dell’economia di mercato era bloccato da un insieme di regole paralizzanti. Le politiche tipiche della fine del ventesimo secolo si sono affidate ai meccanismi di mercato per sostituire regolamentazioni considerate troppo rigide.
Ma quando si pensava di assistere al trionfo culturale del capitalismo e che lo Stato sociale avesse perso gran parte della sua legittimità, una moltitudine di iniziative sono apparse praticando comportamenti solidali nelle attività economiche quotidiane: creazione di nuovi servizi e forme di scambio, produzione, commercio, consumo, risparmio. In tutti i continenti, si moltiplicano le esperienze collettive di agricoltura biologica, commercio equo, consumo responsabile, energie rinnovabili, microfinanza, monete sociali, servizi di prossimità, turismo solidale. Si riallacciano a un progetto di trasformazione dell’economia a partire dal coinvolgimento dei cittadini, e da qui viene lo stretto legame tra i movimenti «altermondialisti» e il riconoscimento delle iniziative solidali. Non è un caso se i dibattiti dei Forum sociali, mondiali come locali o continentali, concedono un spazio sempre più grande a questa «altraeconomia», poiché si tratta di legare la contestazione politica della globalizzazione attuale con le pratiche di cittadinanza economica. Si tratta di smantellare il riduzionismo che interpreta ogni forma di economia a partire dal solo interesse materiale, pur riconoscendo la legittimità dell’economia di mercato.
Lo studio storico ed empirico dei fenomeni economici ha messo in evidenza la loro realtà plurale. Questa diversità va rafforzata attraverso vari strumenti; ad esempio aprendo il servizio pubblico all’espressione dei cittadini che ne sono gli utenti, eliminando le discriminazioni negative di cui sono vittime le associazioni, e facendo posto nella legislazione alle imprese in cui la proprietà non appartiene ai detentori del capitale, ma alle persone che partecipano alle attività. Allo stesso tempo, è necessario inquadrare il mercato in un sistema di regole riguardanti la giustizia e i diritti sociali; così, ad esempio, il commercio equo, attraverso la «Rete europea delle botteghe del mondo», ha proposto un piano d’azione internazionale per le materie prime agricole.
Si aprono così nuovi campi d’intervento per le politiche pubbliche a livello europeo, nazionale e locale. A livello europeo, i poteri pubblici dispongono di uno strumento importante nella forma dei mercati legati alle commesse pubbliche, che rappresentano il 15 percento del prodotto interno lordo dell’Unione: le clausole sociali e ambientali potrebbero essere promosse, invece di accettare come unico principio la concorrenza sui prezzi più bassi. A livello locale, le politiche economiche regionali non possono accontentarsi ad attrarre imprese che si insedino sul proprio territorio; vanno sviluppate nuove politiche a favore dell’economia solidale, capaci di rimediare alle discriminazioni negative di cui sono vittime molte attività che uniscono creazione di posti di lavoro, coesione sociale e democrazia partecipativa. Inoltre è necessario che il messaggio ideologico principale del liberismo – che solo il mercato capitalistico è creatore di ricchezza e di occupazione – venga rimesso in discussione dai politici e dai rappresentanti dei cittadini nelle istituzioni.
Ciò che importa è che, dopo le delusioni delle alternative di sistema e i limiti incontrati dalla socialdemocrazia, si affermi una nuova concezione del cambiamento sociale. Per caratterizzarla, possiamo far riferimento al sociologo socialista Marcel Mauss che, nella sua «critica del bolscevismo», opponeva al volontarismo destinato a sfociare nel totalitarismo, dei cambiamenti che «non impongono assolutamente alternative rivoluzionarie radicali, scelte brutali tra due forme di società contraddittorie», ma che «si fanno e si faranno attraverso processi di costruzione di gruppi e di istituzioni nuove accanto e al disopra delle precedenti». E’ in questa direzione che occorre andare per un’opposizione coerente agli effetti devastanti del capitalismo contemporaneo. La democrazia non saprebbe sopravvivere in una società di mercato. Il nostro futuro è legato alla possibilità di un’economia pluralista con il mercato, cioè alla capacità di non sottrarre più le decisioni economiche alla deliberazione dei cittadini.