LE INGUARDABILI RIFORME

 

All’interno del governo (e della maggioranza che lo sostiene) sono incominciati i litigi sulla riforma delle pensioni. Non credo, tuttavia, che sarà un pratica urgente, per ora se ne parlerà un po’ per vedere se sono possibili margini di manovra e accordi trasversali, soprattutto con i sindacati.

Quest’ultimi ormai rappresentano soprattutto i pensionati e possono calarsi le braghe fino ad un certo punto, comunque cercando sempre di edulcorare in tutti i modi l’amara pillola perchè prima o poi la riforma si farà(il favor legis per i  fondi chiusi rispetto a quelli aperti, essendo i primi gestiti corporativisticamente e quindi appannaggio dei sindacati, potrebbe essere una soluzione per saziare gli appetiti confederali).

I punti sui quali la discussione si fa serrata sono lo scalone voluto dalla riforma Maroni, che ha l’effetto di innalzare l’età pensionabile dai 57 ai 60 anni, oppure la revisione dei coefficienti che avrà l’effetto di decurtare la pensione di un 6-8% (si tratta di un ennesimo invogliamento ad aderire ai fondi integrativi nonostante l’INPS abbia ripetuto che per ora ha i conti in regola). Sia da destra che da sinistra, si parla di una revisione necessaria per calcolare la pensione nel sistema contributivo e Padoa-Schioppa ha fatto già sapere che si tratta di un intervento ineludibile se si vuole assicurare la pensione anche alle nuove generazioni. In realtà, si sta facendo di tutto per rendere il livello delle pensioni talmente infimo da costringere tutti quanti (almeno quelli che possono permetterselo) ad “accedere” ad una pensione integrativa. Già quella faccia di bronzo del Ministro Damiano aveva rivolto un appello, qualche tempo fa, ai giovani, invintandoli a pensare in proprio per il futuro  perché lo Stato non potrà più essere magnanimo come in passato. Ma il problema, caro Ministro, è che con le nuove forme contrattuali flessibili, le quali oltre all’incertezza caustica del rapporto di lavoro hanno avuto l’effetto di ridurre di molto le retribuzioni, diviene praticamente impossibile pagarsi la pensione integrativa. Per altro, se si dà uno sguardo all’andamento dei fondi pensione si potrà notare che questi  garantiscono davvero poco e, al più, restano stabili senza dare guadagni essenziali (ritorna utile il famoso mattone alla Poggiolini che, tuttavia, nulla può contro l’inflazione galoppante). Se poi si pensa al rendimento dei fondi pensioni in paesi dove questi sono già ampiamente rodati (vedi gli Usa) possono venire fuori diverse brutte sorprese: dai meccanismi perversi che aprono una vera e propria guerra tra poveri ( i fondi che finanziano le imprese crescono soprattutto quando quest’ultime annunciano tagli sul personale) alla perdita completa del capitale investito con il fallimento delle imprese stesse (vedi Enron) . Il fatto che a sinistra spingano per questa formula è indice dei più capziosi interessi dei sindacati e delle forze politiche che hanno maggior contatto col lavoro dipendente (tutti attivatesi in questa rincorsa alla costituzione dei fondi, dalle assicurazioni di sinistra ai già esistenti fondi sindacali) che ricercano un solido terreno finanziario per riprodursi (chi non ricorda le infauste parole di Fassino che voleva una banca tutta per sè?) a danno dei lavoratori che si vantano di rappresentare. Nel frattempo c’è tutto un mondo di banche e di affaristi che preme per affrettare i tempi della riforma come le varie merchant bank, le quali hanno già annunciato che innalzeranno il rating dell’Italia non appena il governo agirà sulla spesa sociale, cioè su pensioni e sanità. Proprio su quest’ultima la nuova normativa prevede che il finanziamento del Sistema Sanitario Nazionale ricada quasi interamente sulle regioni, ad eccezione di una quota gestita a livello centrale (che permette allo Stato di finanziare, ad esempio, gli IRCCS dove arrivano finanziamenti a pioggia perché, siano essi pubblici o privati, c’è sempre da accontentare i soliti centri di potere. Dato che gli IRCCS dovrebbero essere centri di eccellenza e fare ricerche serie, sarebbe interessante verificare se il lavoro che mettono in atto sia sempre di elevato valore scientifico); in secondo luogo il sistema sanitario si baserà sulla complessiva finanza regionale senza più specifici vincoli di destinazione su uno o più tributi.

Il nuovo regime dovrebbe così realizzare l’abolizione dei trasferimenti erariali integrativi alle Regioni a Statuto Ordinario e la sostituzione dei trasferimenti con l’aumento dell’IRPEF fino allo 0,4%, la compartecipazione al gettito IVA del 38,55%, l’aumento della compartecipazione all’accisa sulla benzina fino a 0,13€, la perequazione in funzione fiscale, l’attivazione di un sistema di monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza offerti da ciascuna regione. Tutto questo per ridurre il finanziamento pubblico della sanità fino al 6% del PIL (per questo i tickets aumenteranno ancora)con l’obbligo per le regioni di sanare il deficit pregresso.

Insomma, chi dalla sinistra si aspettava qualcosa di “sinistra” è stato servito. Ha ragione La Grassa quando afferma che la sinistra è quella “cosa” che ha sempre tradito.