newDUE RISPOSTE, UN CHIARIMENTO, UNA DELIMITAZIONE DI CAMPO (di G. La Grassa)

SIAMO FINALMENTE RIUSCITI A PUBBLICARE L’ARTICOLO DI GIANFRANCO LA GRASSA, VI INVITIAMO PERTANTO AD ANDARE SUL NOSTRO SITO www.ripensaremarx.it

PUBBLICHIAMO UN LETTERA APERTA DI ROBERTO BUFFAGNI A FRANCA RAME (Riteniamo i contenuti di questa lettera condivisibili ed in linea con quello che da sempre abbiamo sostenuto in questo blog circa un recupero di coerenza, su temi delicati come il rifinanziamento delle missioni di guerra, da parte di quei parlamentari che si dicono pacifisti ).Qualcuno fa notare che la Rame non è stata eletta nei Ds ma con Di Pietro, poco male perchè la tradizione dalla quale proviene la senatrice è la stessa dei diessini.

Gentile Signora Rame,

l’alternativa che Lei mi propone nel sondaggio (votare sì e dimettersi, votare sì, non dimettersi, e lavorare per la pace) non è un’alternativa, e quindi non esprimo il mio voto.

Sia dal punto di vista politico, sia dal punto di vista morale, la questione vera non sono le Sue dimissioni: la questione è il voto a favore o contro la prosecuzione della guerra afghana.

Nell’azione politica (come del resto – Lei lo sa bene – nell’azione scenica) quel che conta non sono le intenzioni, sono i risultati.

Se Lei vota a favore della guerra in Afghanistan, pur qualificando questo voto con tutti i dubbi, i distinguo e le buone intenzioni del mondo, Lei è politicamente e moralmente corresponsabile di quel che in Afghanistan avviene ed avverrà: guerra imperialistica di aggressione, uccisione di civili, eccetera.

Lei mi dirà: ma se voto contro, cade il governo Prodi e torna Berlusconi.

D’accordo, signora. Torna Berlusconi. Per gli afghani cosa cambia? Per i soldati italiani, cosa cambia? Per la politica estera italiana, cosa cambia? Secondo me, niente (tranne forse una leggera diminuzione del tasso di ipocrisia).

Vuole estendere e accentuare la sua egemonia mondiale, Berlusconi? Vuole ridisegnare la mappa del Medio Oriente? Vuole circondare la Russia? Vuole imporre il suo stile di vita e la sua cultura all’orbe terracqueo? A me non pare. Mi pare semmai che questi obiettivi siano efficacemente perseguiti dal Suo alleato politico che risiede alla Casa Bianca (sì, signora: George W. Bush è Suo alleato politico, anche se Le sta antipatico).

Quanto poi alla "conferenza internazionale" proposta da D’Alema, Lei sa (o se non lo sa, lo dovrebbe sapere, visto il ruolo che ricopre) che una conferenza di pace vera e propria è affatto impossibile, perchè vi si dovrebbero invitare anche i talebani (ai negoziati di pace si invita soprattutto il nemico, sennò con chi si tratta?); e finchè non vi saranno costretti dai fatti, gli USA non accetteranno mai.

Ci sono solo due leve politiche di cui l’Italia disponga per avvicinare il momento in cui si aprirà una vera conferenza di pace, e sono queste:
1) ritirare l’appoggio politico e militare agli USA. Quanto più indebolita politicamente e militarmente sarà l’alleanza che ha invaso l’Afghanistan, tanto più si approssimerà la trattativa di pace, perchè si avvicinerà il momento in cui i Talebani saranno sul punto di vincere, e gli USA di perdere.
2) rinforzare al massimo l’appoggio politico e militare agli USA. Quanto più rafforzata sarà l’alleanza che occupa l’Afghanistan, tanto più si approssimeranno le trattative di pace, perchè sarà più vicino il momento in cui gli USA saranno sul punto di vincere, e i Talebani di perdere.

(Detto per inciso, io consiglierei l’alternativa 1, perchè a parer mio, molleranno prima gli USA dei talebani, gente coriacea che ha motivazioni trascendenti, zero paura di morire, e combatte per la libertà e l’indipendenza del suo paese e del suo popolo.)

Si potrà forse (è molto improbabile, ma possibile) convocare una conferenza di alcuni paesi confinanti con l’Afghanistan per discutere come mettere sotto controllo il problema.

Ma il problema qual è, signora? Il problema è che gli afghani non ci stanno a farsi invadere. Non ci sono stati con Alessandro Magno e con Breznev, vuole che ci stiano con Massimo D’Alema e con Bush? Io non credo.

La guerra, signora Rame, è il momento della verità della politica.

Perchè quando si tratta di decidere sulla guerra, ci sono solo due posizioni: o a favore, o contro. I forse, i vediamo, i però non sono ammessi. Una volta deciso per il sì o per il no, mille altre decisioni sono possibili e necessarie: ma prima, c’è il "sì sì, no no".

Un’altra volta, nella storia della sinistra italiana, i parlamentari e i partiti si sottrassero al momento della verità. Ricorda i libri di scuola, o i racconti dei nonni?

Fu nel 1915, signora Rame, quando sull’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale il Partito Socialista prese la posizione "Nè aderire nè sabotare", cioè non prese posizione.

Naturalmente, la guerra ci fu. Morirono 600.000 italiani, tra i quali parecchi elettori del partito socialista. A quattro anni di distanza dal 1918, ci fu la marcia su Roma. Turati scappò in Francia.

Il "nè nè" non si era dimostrato, insomma, una scelta saggia: perchè non era una scelta.

Anche la Sua, signora Rame, non è una scelta. Nè lo è la posizione adottata dal suo partito.

La vostra fuga dalle responsabilità politiche e morali è soltanto meno appariscente di quella del partito socialista di Turati, per due semplici ma non banali fatti:

a) che le bombe cadono sulla testa degli afghani, e non sulla testa degli italiani, i quali dunque se ne possono fregare, salvo (quando siano particolarmente sensibili) manifestare con bandiere arcobaleno, sospingendo bambini in carrozzina che rischiano al massimo di prendersi un raffreddore, non uno spezzone incendiario.

b) che oggi l’esercito italiano non è di leva, e quindi, quando tornano a casa le bare avvolte nel tricolore, ai parenti in lacrime non siete obbligati a dare troppe spiegazioni. Basta il normale cordoglio ufficiale, con commovente cerimonia pubblica e messa celebrata da Vescovo o Cardinale, e il normale assegno dell’assicurazione + pensione di reversibilità alla vedova. Se poi riuscirete a far passare i DICO, la pensione arriverà – giustamente – anche al convivente, maschio o femmina che sia. In fondo,insomma, il morto nessuno l’obbligava ad arruolarsi, no? Rischio professionale.

Ma questa vostra fuga dalle responsabilità politiche e morali, questo vostro Otto Settembre di Sinistra che si iscrive nell’antica tradizione dell’inesorabile cinismo ipocrita italiano, non è meno grave, nè meno foriero di conseguenze, politiche e morali.

Il suo partito si è messo all’angolo da sè, signora Rame.

Ha furbescamente e ipocritamente scelto la non violenza per acclarare che di rivoluzione non se ne parla più: una posizione (ragionevolissima) che non può esprimere con chiarezza senza rinunciare al simbolo e alla bandiera identitaria che gli porta voti e giustifica la sua stessa esistenza.

Ma la non violenza non è una linea politica: è una posizione di testimonianza morale e/o religiosa valida esclusivamente per gli individui disposti a morire piuttosto che uccidere, oppure una tattica di lotta politica che in certi casi è praticabile con speranza di successo (Ghandi contro gli inglesi) in certi casi no (guerra fra Stati, ocupazione di potenza straniera e resistenza necessariamente armata: a meno che Lei non creda che gli USA se ne andrebbero dall’Afghanistan se i Talebani rispondessero con la disobbedienza civile).

Così, quando il suo partito si trova al governo e quando la storia lo renda inevitabile, è costretto a decidere, come qualsiasi altro partito, se e come impiegare le forze armate, che per definizione non possono praticare la non violenza.

Come decide, allora, il Suo partito? Decide che vota le operazioni guerra, ma le chiama operazioni di pace.

Decide "sì ripeto no", perchè sa di non avere una strategia politica praticabile, tranne una: raccogliere i voti di chi non si riconosce nel marchio dei DS, è nostalgicamente affezionato al marchio "comunismo", ma avendo subito una sconfitta epocale sotto quella bandiera, "ha già dato", e mai si sognerebbe di ricominciare daccapo con i proclami rivoluzionari.

E a chi non abbia una strategia politica praticabile, resta un solo obiettivo politico: assicurarsi i mezzi della propria riproduzione (vulgo, tirare a campare).

I mezzi della riproduzione del suo partito, signora Rame, sono esclusivamente l’accesso al finanziamento pubblico dei partiti, e la possibilità di distribuire un po’ di posti di governo e sottogoverno, dai Ministeri alle presidenze di circoscrizione. Finiti quelli, finisce anche la Rifondazione del Comunismo.

Ed ecco svelato il segreto di Pulcinella del vostro voto sulla missione afghana.

(Non del Suo: sono persuaso della Sua buona fede, ma non saprei se considerarla un’attenuante come la minore età, o un’aggravante come lo stato di ubriachezza. Nel caso dei dirigenti del Suo partito, invece, sono persuaso della malafede, e a ulteriore aggravante del reato ci sono i motivi, futili e bassi insieme).

Per farla corta, Signora Rame, voi vi trovate nella stessa identica situazione di Clemente Mastella, e vi comportate esattamente come lui: con la differenza che Mastella lo sa e lo dice, voi fate finta di non saperlo (o addirittura davvero non lo sapete, come credo sia il Suo caso) e per non dirlo vi inventate delle bubbole spaziali, quali la Diga contro il Berlusconismo, il Fronte Popolare contro Previti, e altre consimili sciocchezze, che un giorno, passata la sbornia delle bugie e della falsa coscienza, vi faranno amaramente vergognare.

La ringrazio per avermi seguito sin qui, e la saluto cordialmente.
Suo

Roberto Buffagni

 

 

LA STRATEGIA GEOPOLITICA AMERICANA (IL MAR CASPIO)

 

L’11 Settembre 2001 deve necessariamente essere considerato come una data di fondamentale importanza per la storia recente, se non altro perché è proprio a partire dagli accadimenti verificatisi nel “settembre nero” americano che si viene “legittimando” l’’intensificazione della strategia del governo USA contro i cosiddetti Rogue States. Per questa ragione si può considerare tale data fatidica come un vero e proprio spartiacque – non certamente per la spettacolarità mediatica dell’accaduto o per i 6000 morti seguiti allo schianto e al successivo crollo delle Twin Towers (se si vuole sono solo un’ennesima “statistica” e nemmeno così prorompente se paragonata ai milioni di morti provocati dalle ultime guerre statunitensi) – poiché è da quel preciso momento che il “terrorismo” si materializza con tutta la sua carica nel cuore dell’impero, diviene “cosa pulsante” che dissolve, nella testa degli americani, la mera evenemenzialità mediatica con la quale avevano sin qui percepito la guerra e la morte portata nelle “case” altrui (a distanza di migliaia di miglia da casa propria). Per milioni di americani, i quali fino a quel momento si erano limitati ad aderire passivamente ad una propaganda un po’ “esotica” condotta dai vari presidenti americani (dal Bush padre passando per Clinton fino al Bush figlio), la guerra ha smesso di essere una sequenza da film o da telegiornale stile Fox News ed ha riportato alla mente episodi del passato (come Pearl Harbor) ancora ben conficcati nella memoria storica di questo popolo che ha imposto agli altri molte sventure ma che ne ha subite davvero poche. Senza un episodio di tal fatta (lasciando perdere le dietrologie sul coinvolgimento di apparati governativi Usa o della stessa CIA, ovviamente da non escludere) sarebbe stato difficile far digerire al popolo americano il sacrificio (anche economico) derivante dalla conduzione di una strategia di “guerra perpetua” in ogni parte del globo. Insomma, è a partire dall’11 Settembre che il governo Usa ha potuto agire con le mani libere senza dover più fornire tante giustificazioni circa il suo operato. Anzi, persino le menzogne più palesi possono scorrere, da quel punto in poi, senza incontrare resistenza alcuna ed anche quando si rivelano per quello che realmente sono, e cioè spudorate bugie (come le armi di distruzione di massa in Irak o il coinvolgimento diretto dei Taleban nell’attacco alle Torri gemelle) sono immediatamente sostituite dalle madre di tutte le “ragioni” (ragioni solo per gli Usa e i suoi alleati, s’intende), ovvero quelle dipanantesi dalla difesa ad oltranza del “west way of life” contro il regno del terrore islamico. Saddam Hussein non ha le armi di distruzione di massa? Poco male perché in quanto mussulmano non poteva che essere in combutta con Al Quaida e quindi il regime era necessariamente un potenziale nemico dell’occidente (poi non stiamo a qui a puntualizzare sul fatto che Hussein era sunnita ed abbastanza laico da rappresentare un argine vero contro l’integralismo religioso islamico). Gli Afgani non c’entravano nulla con le Torri Gemelle? Pazienza, essendo talebani avrebbero potuto benissimo compiere quel gesto e poi davano protezione al principe del male Usama Bin Laden. Così la guerra preventiva trova a posteriori le sue giustificazioni passando attraverso diverse menzogne graduali, dalla guerra al terrore internazionale sino alla barbarie dei costumi derivante dall’applicazione della legge islamica che impone ai difensori della civilità l’impiantamento, a suon di bombe, della democrazia di tipo occidentale per far risorgere questi popoli come civiltà superiori (il cui grado di civiltà è inversamente proporzionale al grado di sottomissione al paese predominante, più si civilizzano più sono schiavi). Quest’ultima idiozia, tra le tante baggianate raccontate dagli americani, è davvero la più insopportabile. Intanto, di guerra in guerra, gli Usa si sono costruiti degli avamposti privilegiati in tutte le aree strategiche dell’orbe terraqueo, sia per il controllo delle materie prime sia (soprattutto direi) per tenere sotto stretta sorveglianza alcune potenze risvegliatesi dal loro lungo sonno post guerra fredda. Insomma, appare vieppiù chiaro il disegno geostrategico americano – dietro la coltre ideologica dell’esportazione della democrazia (la migliore forma della dittatura “borghese”) e della guerra al terrorismo – che ha come obiettivo l’allargamento della propria sfera d’influenza e la collocazione delle proprie guarnigioni nelle aree più critiche dello scacchiere mondiale.

C’è da dire che questo disegno Usa viene da lontano, cioè dai primi anni ’90 e dal governo di Bush padre, il quale ha subito intensificato la propria presenza in diverse zone del mondo con un’attenzione particolare per l’Eurasia e per il bacino strategico del Mar Caspio, individuando quest’ultima zona come una delle più importanti per i futuri assetti mondiali. Questa regione è determinante dal punto di vista delle risorse energetiche (ma non solo), quali petrolio e gas. E’ facile anche intuire che per gli Usa era vitale controllare l’intera fascia caspica per ragioni che non sono solo di approvvigionamento energetico. Il governo americano voleva impedire che, nella prospettiva di una futura riorganizzazione politico-militare ed economica, la Russia (l’unica potenza dell’area con un consistente potenziale militare) potesse avere ad un tiro di schioppo imponenti risorse naturali e per di più in un’area così delicata dove s’ingrossano gli appetiti indipendentisti delle “canaglie” mediorientali. In secondo luogo si temevano, altresì, eventuali accordi tra Russia e Iran, sia per lo sfruttamento comune di tali giacimenti energetici (la linfa per l’approntamento delle strategie geopolitiche) sia perchè il Mar Caspio è in comunicazione diretta con il Mar Bianco, il Mar Nero e il Mar Baltico e, attraverso una fitta rete di canali e vie d’acqua interne, questo mare costituisce una porta verso l’Europa settentrionale (dove si stagliano i campi petroliferi di Baku, sulla penisola di Apseron). Gli altri paesi che si affacciano sul Mar Caspio sono le ex-Repubbliche sovietiche dell’Azerbaigian, del Kazakistan, del Turkmenistan e dellUzbekistan.

La dissoluzione dell’URSS ha consentito, proprio a partire dagli anni ’90, alle multinazionali americane (Unocal, Chevron, quest’ultima dirige il Consorzio dell’oleodotto del Caspio, ma anche Exxon e Amoco) di estrarre il gas e il petrolio a prezzi stracciati grazie alla compiacenza dei governi quisling delle Repubbliche dell’ex-Urss in completo disfacimento politico ed economico. A questo punto chi ha una visione strettamente economicistica penserà che il più è stato fatto al solo scopo di favorire queste imprese con grande capacità di “contrattazione” economica, le multinazionali senza scrupoli che con i loro sovrapprofitti sono capaci di corrompere i governi ed affamare, conseguentemente, interi popoli (cosa che è incontestabile del resto). Noi, invece, siamo un po’ meno economicistici e vogliamo  capire come l’agire politico e l’agire economico (sfere diverse dove si muovono differenti “soggetti” dominanti ma tra loro strettamente intrecciati (G. La Grassa, “DUE RISPOSTE, UN CHIARIMENTO, UNA DELIMITAZIONE DI CAMPO”, www.ripensaremarx.it)) s’intersechino fino a garantire la predominanza (e la forza di penetrazione geostrategica) di un paese (e di una formazione sociale particolare) contro altri segmenti dominanti (paesi portatori di altrettante formazioni sociali peculiari ). Di fatti, per poter agire indisturbate, le suddette multinazionali hanno necessitato dello stabilimento di relazioni politiche privilegiate tra il governo americano e i governi (assai deboli e poco recalcitranti) di queste ex colonie societiche. Adesso non vorremmo perdere tempo a chiederci se è nato prima l’uovo o la gallina, l’unico fatto certo è che politica ed economia (gli agenti politici e quelli economici americani) si sono mossi nell’alveo di una strategia comune  (il che non significa affatto che gli agenti dominanti della sfera politica e di quella economica del paese predominante siano arrivati concordemente all’elaborazione di quella strategia, quest’ultima è sempre il precipitato di conflitti aspri tra fazioni di decisori nell’ambito di un contesto di promiscuità territoriale che il più delle volte coincide con la nazione) per estendere la propria influenza su un altro paese e su un altro segmento di classe (sub)dominante. Probabilmente, non viene prima né l’uovo né la gallina, ma i dominanti della sfera economica (produttiva e finanziaria) non possono occuparsi anche dei rapporti più strettamente politici per cui è ovvio che spetta (non su mera committenza) agli agenti della sfera politica (ed ideologica) agitare il bastone e/o la carota contro le “classi” decisorie degli altri paesi. Ne consegue che la visuale migliore nell’azione geostrategica, nel movimento tellurico tra segmenti (in orizzontale)di classi dominanti, è prerogativa peculiare degli agenti della sfera politica. Agli agenti economici spetta reperire quante più risorse possibili per “pagare” (in cambio di un lauto tornaconto) la realizzazione di tali progetti strategici.

Ma torniamo ai rapporti tra il governo Usa e i governi delle province ex-sovietiche. Durante la presidenza Clinton  sono stati stretti molti accordi militari con questi regimi (senza che ci si preoccupasse troppo della forma di governo, democratica o meno, di questi paesi). Dopo l’11 settembre, e con il rifiuto opposto dall’Arabia Saudita agli Usa circa l’utilizzazione delle basi dislocate sul suo territorio al fine di attaccare l’Afghanistan, l’amministrazione Bush si è prodigata per accelerare il processo di “enclavizzazione” di paesi come l’Uzbekistan, il Tagikistan e per impiantare qui nuove basi militari sotto il comando USA.

Nel 2002 le manovre statunitensi si sono concentrate sull’Azerbaigian (dove sono presenti riserve pari a circa 20 milioni di barili di petrolio). Il segretario Usa, Mira Ricardel, ha offerto il proprio aiuto al governo azerbaigiano per rinforzarne la capacità navale e proteggere così la sua zona di pertinenza territoriale ed economica. Ma proteggere da chi? Ci sono solo due potenze nell’area tanto “pericolose” per l’indipendenza azerbaigiana e queste sono Russia e Iran. Appare palese, allora, che gli americani abbiano voluto alzare “scudi” militari di protezione per arginare le mire dell’Iran, ma, soprattutto, della Russia putiniana finalmente rinata al suo ruolo di grande potenza orientata all’egemonia sull’Eurasia. L’Europa che ha fatto contro questa ingerenza militare statunitense nei confronti dell’Azerbaigian? Naturalmente si è schierata al fianco del padrone americano e della Nato.

Gli Usa, padroni di questa fase monocentrica, stanno penetrando nell’Eurasia senza trovare alcuna resistenza (eccettuando quella opposta dalla Russia), con l’imprimatur di un’Europa completamente inerte e senza nessuna prospettiva politica di lungo respiro. Il problema più grosso per il nostro continente è rappresentato proprio dalle ex-repubbliche sovietiche che dal socialismo pianificatore sono passate al liberismo più sfrenato sotto il diretto controllo economico (e l’appoggio militare) di Washington. Gli americani si servono di questi paesi per i propri piani espansionistici, sia in termini di appoggio logistico sia in termini di vero e proprio aiuto militare. Il 6 febbraio 2003 la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca firmarono un documento di appoggio incondizionato, nell’ambito del Club degli Otto (Spagna, Italia, Portogallo, Regno Unito e Danimarca) agli Usa. Una settimana più tardi vi si accodarono Romania, Slovacchia, Lituania, Estonia, Bulgaria e Lettonia. Quando il 20 marzo del 2003 scoppiava la guerra contro l’Irak gli Usa avevano già a disposizione una coalizione di appoggio a tale iniziativa di aggressione. E l’Europa? Sempre più accodata e senza alcuna presa di posizione autonoma. Sembra che l’entrata delle ex repubbliche sovietiche nell’Ue non abbia fatto altro che peggiorare la nostra situazione di sudditanza. La Bulgaria (nuovo membro dell’UE) si offrì di accogliere i soldati americani quando questi lasciarono le loro postazioni in Germania. Quando anche la Turchia si rifiutò di concedere le proprie basi per attaccare l’Irak, fu in Bulgaria che gli americani concentrarono le loro truppe per sferrare l’attacco contro il regime di Hussein. La Romania, invece, siglò un accordo separato con gli Usa garantendo l’immunità ai soldati americani che si fossero trovati sul suo suolo. Gli sgherri statunitensi possono ora rifugiarsi in questo paese per evitare di essere giudicati da qualsivoglia corte penale internazionale. Stiamo parlando di un paese che fa parte dell’Unione Europea e che solo per questo avrebbe dovuto essere sbattuto fuori a calci nel culo (l’accordo parla di immunità contro qualsiasi atrocità che i soldati Usa possano commettere: il genocidio, l’aggressione, i crimini contro l’umanità ecc.).

Tutti questi atti di gravissima ingerenza impediscono all’ Europa di avere un’autonoma progettualità politica, economica e militare. Gli Usa ci controllano dietro la porta di casa e i nostri governanti non alzano un dito contro tutti questi affronti alla sovranità dei popoli europei. E’ come se ci avessero messo un cane da guardia in casa, addestrato a sorvegliare non per nostro conto ma contro i nostri liberi movimenti nello spazio che ci appartiene. Quante altre umiliazioni dovranno ancora subire i popoli d’Europa a causa delle proprie meschine classi dirigenti?