Pubblichiamo sul nostro sito (www.ripensaremarx.it) un intervento di Leonardo Mazzei sulla Terza Forza. Mi sento di dire che alcuni dubbi posti dal Mazzei sono più che legittimi, del resto abbiamo più volte sostenuto che, per ora, la TF è ancora al livello della "finzione teorica". Due sono, invece, gli aspetti più discutibili dell’analisi di Mazzei. In primo luogo non abbiamo mai pensato ad una TF "a due volocità" che si muovesse su livelli di realtà diversi, almeno non nel senso in cui li intende Mazzei (esistono, secondo noi, due "dimensioni" della formazione sociale capitalistica che occorrerà analizzare, quella verticale e quella orizzontale, nel senso, rispettivamente, della strutturazione per strati e per segmenti della formazione sociale stessa) per cui noi auspicheremmo (sempre secondo Mazzei) una prima fase nella quale si coadiuvano i dominanti della nostra formazione sociale al fine di riequilibrarne lo “scarto” (di potenza) con quella attualmente (pre)dominante (i funzionari privati del capitalismo americano); mentre solo successivamente (in una fase policentrica a venire) i dominati dovrebbero "approfittare" della debolezza derivante da uno scontro mondiale tra segmenti di "classi decisorie" per la supremazia e, per di più, negli anelli più deboli della catena "egemonista". Sappiamo benissimo che non è così, ma certo vediamo altrettanto chiaramente che senza la riorganizzazione delle classi dominanti in Europa ed in Asia avremo solo un dominio incontrastato degli Usa, ai quali le resistenze dei popoli (per quanto fiere e da sostenere con decisione, proprio come fate voi col vostro lavoro che apprezziamo) fanno il “solletico”. Le resistenze possono spingere gli Usa a cambiare strategia, ad usare più carota e meno bastone per disimpantanarsi da situazioni di stallo (ed è quello che accadrà in Irak ed Afghanistan) ma certo non li faranno arretrare dall’intenzione di allargare le loro sfere d’influenza (con la guerra sempre dietro l’angolo). Si ricorrerà maggiormente alla diplomazia (o alla esportazione della democrazia, il vero cancro della post-modernità capitalistica), ma non è assolutamente detto che questa favorirà i popoli autoctoni perché, come Mazzei ben sa, sono sempre i quisling al governo a stringere accordi per conto dei popoli. Allora, semmai, il nostro problema imminente è quello di tenere insieme entrambe le cose (sincronicamente) ma capire anche (diacronicamente) come si è "evoluta" per rotture interne (la famosa rivoluzione dentro il capitale) la formazione sociale mondiale.
In secondo luogo, quanto all’ antisviluppismo, lascio a Mazzei questa risposta che Gianfranco ha scritto ieri su quanto avanzato in una lettera da Badiale-Bontempelli ( pubblicata qualche giorno fa sul nostro blog) e che Mazzei troverà appena sotto questo mio breve chiarimento. Tuttavia, Leonardo Mazzei merita una risposta più articolata e puntuale (che tocchi anche i dubbi da lui espressi sull’abbandono del concetto d’imperialismo per quello ancora troppo vago di egemonismo) che Gianfranco La Grassa fornirà a breve. Buona Lettura.
Gianni Petrosillo
GIANFRANCO LA GRASSA (ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE AFFERMAZIONI DI BADIALE-BONTEMPELLI)
Caro Gianni,
ho letto la risposta di Badiale alle tue considerazioni. Si potrebbe dir molto sul neoromanticismo di certuni, sul loro mettere "er core" avanti alla razionalità, sulle generazioni recalcitranti di fronte al tramonto del mondo della loro giovinezza, mentre un altro viene (è già venuto) in cui ci si trova spaesati. Ma soprattutto bisognerebbe capire quale catastrofe culturale, e spirituale, abbia provocato lo sprofondamento di ciò che per troppo tempo è stato creduto il "vero" comunismo, ecc. Non ho adesso il tempo per ragionare su tutto ciò. Mi soffermo su un solo punto.
Secondo questi "certuni", lo sviluppo – che implica avanzamento di quella che essi con disprezzo indicano come tecnoscienza – si identifica con il capitalismo; ormai il novecento avrebbe dimostrato che senza capitalismo non c´è sviluppo; ergo, per essere anticapitalisti si deve essere antisviluppo. Mai letta, così papale papale, una apologia del capitalismo, che supera quelle dei liberali, e liberisti, più sfrenati e sfacciati (che so, mettiamo un Paolo Guzzanti o altri del Giornale e di Libero). Se le cose stessero così, mettiamo una pietra sopra ogni tentativo di antagonismo. Sono in realtà tipi come questi ad essere filocapitalisti senza saperlo.
Marx era stato indubbiamente troppo ottimista: aveva pensato – ma non utopicamente, bensì in base ad ipotesi, del tutto realistiche ai suoi tempi, sulla dinamica del capitale – che quest´ultima avrebbe forgiato le condizioni oggettive ma soprattutto il soggetto (il lavoratore collettivo cooperativo "dall´ingegnere all´ultimo giornaliero", trattato come equivalente alla "classe operaia") del rivoluzionamento del capitalismo in direzione del comunismo, con passaggio intermedio per il socialismo. Benissimo, ne prendiamo atto; non c´è più questo ottimismo. Noi (parlo di "quelli del blog") ci assumiamo in pieno la contraddizione (reale, non dialettica) tra sviluppo e trasformazione sociale in direzione di qualcosa che cominci intanto a mettere in discussione il capitalismo, prendendo atto come prima cosa della sua strutturazione nei suoi punti più alti (che quindi indicano e vorrebbero imprimere una determinata direzione allo sviluppo sociale anche del resto del mondo); cioè oggi, di fatto, puntiamo i principali fari della critica verso gli USA.
C´è stato un tempo che, accettando acriticamente l´ottimismo di Marx, si è identificato sviluppo delle forze produttive e costruzione del socialismo; e abbiamo avuto l´URSS, non socialista ma una grande potenza finché ha retto al "grande equivoco", all´abbaglio preso fin dall´inizio per scarsa coscienza critica della contraddizione appena considerata (coscienza del resto impossibile all´epoca). Sia chiaro che io sono comunque contento che sia esistita l´URSS; non sto a piangere sulla sua sorte, ma considero positivo che sia "apparsa nella storia". Adesso, chi si è svaccato per la sconfitta cade nel pieno del sentimentalismo retrò, non vuole più, nei fatti, sconfiggere e trasformare il capitalismo, lo vorrebbe semplicemente evitare bloccandone lo sviluppo. Si dà il caso che in Italia c´è già il capitalismo avanzato – anche se in affanno ma non certo per colpa dei neoromantici, bensì per altri motivi geoeconomico-politici (su cui il blog sta dicendo qualcosa) – e Cina, India, Brasile e tutti i paesi del mondo, anche quelli nella miseria più nera, non vedono l´ora di svilupparsi.
Noi, che siamo in un paese capitalistico decisamente sviluppato – e solo costretto a muoversi nel futuro scontro policentrico restando nell´area del capitalismo egemonizzato dagli USA – dobbiamo assumerci fino in fondo, e senza tanti piagnistei e rimpianti del "bel mondo andato", la contraddizione di cui sopra. O la risolviamo oppure resteremo nell´aurea mediocrità dei servi. Non la risolveremo però certo mediante un solo ideale (cioè nel sogno) "sorpassamento ad un livello più alto"; questi giochetti puramente mentali lasciamoli al famoso filosofo che inseguiva i bambini, impegnati a far girare una trottola, nel lucido e acuto racconto di Kafka. L´unica risoluzione è nel saper continuamente giostrare, per un lungo periodo storico, tra un corno e l´altro della contraddizione. Ce la troveremo tra i piedi per tutto il futuro che siamo in grado attualmente di prevedere. Chi ha paura, si rifugi pure nel sogno; legga però la bella poesia cinese di Po-chu-i sull´uomo che sognò le fate, e saprà così il suo destino.
Saluti