FINALMENTE FINISCE UN MITO DEL VETEROCOMUNISMO di G. La Grassa
Il 16 marzo di quest´anno l´Assemblea del Popolo cinese ha approvato – con 2826 voti a favore, 37 contrari e 22 astenuti – la legge di attuazione (in 247 articoli) di quanto inserito nella Costituzione. In tale legge, con meticolosità cinese, si regolano i diritti di proprietà e la loro ereditarietà; con riguardo sia ai titoli, azionari e obbligazionari, sia a imprese con relativi impianti, edifici, ecc. La terra resta statale – una sorta di Demanio – o collettiva in mano alle autorità locali; essa è però data ampiamente in uso (affitto) privato; delle Comuni popolari, già da tempo, non esistono nemmeno le vestigia (si e no il ricordo, non riportato normalmente nei libri di storia editati in Cina).
Gli Istituti di statistica cinesi (tipo il nostro Istat) rilevano che l´economia privata cinese contribuisce per il 65% al Pil e per il 70% alle entrate tributarie.
Chi vuol considerare ancora "socialista" la Cina, e "comunista" il partito unico che la guida, merita sempre più uno spernacchiamento generale. Tuttavia, sia chiaro che approvo la fine di un mito del veterocomunismo e veteromarxismo, che ancora si ostina ad identificare statalizzazione (proprietà pubblica) con il "socialismo"; alcuni fasulli hanno ultimamente parlato delle nazionalizzazioni decise da Chavez in Venezuela come della "nuova via al socialismo" del XXI secolo. Ormai, più "a sinistra" si va e più si trovano ignoranti e smemorati.
Sono soddisfatto della fine del mito e del fatto che la Cina proceda più speditamente sulla via dello sviluppo e dell´acquisizione della "potenza" necessaria, un domani, a contrastare quella statunitense. Tanto più sono lieto, poiché la stessa Assemblea del popolo ha, contestualmente alla legge sulla proprietà privata, approvato l´aumento della tassazione a carico delle imprese straniere (anzi più precisamente: "compagnie a capitale straniero", dunque immagino anche le joint ventures) dal 15 al 25%, mentre ha ridotto quella sulle imprese nazionali dal 33 al 25%. C´è ancora strada da compiere, ma sembra trattarsi di quella corretta.
Nessun commento particolare; solo questa, per me buona, notizia; alla faccia di chi crede ancora alla coppia ideologica privato/pubblico ignorando completamente le critiche (piene di disprezzo) di Marx nei confronti di Lassalle e del suo "socialismo di Stato"; e senza alcuna memoria delle dirimenti analisi di Althusser al proposito, e di quelle di Bettelheim sul sedicente socialismo in URSS.
19 marzo
LA TECNICA E LA RAZIONALITA’ STRATEGICA di M. Tozzato
Sul Corriere del 07 marzo 2007 Emanuele Severino interviene a commentare un recente saggio di Natalino Irti, giurista e filosofo del diritto, che in qualche modo, come ormai da diverso tempo, viene ad interloquire con la sua elaborazione filosofica. Questo articolo mi ha stimolato una riflessione che da tempo mi si presenta alla mente riguardo alla questione oltremodo dibattuta del senso della tecnica. In Heidegger, Severino e altri prevale, nonostante la conoscenza molto profonda che questi autori possiedono della filosofia greca classica, una interpretazione della tecnica che muove dal suo legame con la scienza moderna d’origine seicentesca; prevalentemente, questi autori, nonostante l’ammissione dell’esistenza di rami “tecnici minori”, identificano la tecnica con la scienza (moderna)applicata, con la tecnologia. Severino , ad esempio, afferma che è sua la definizione che anche Irti dà della tecnica in generale: << Apparato di mezzi, predisposti e funzionanti in vista di certi scopi>>. La tecnica come tecnologia si presenta, quindi, come mezzo al servizio della ragione strumentale per intraprendere una attività poietica che sia finalizzata ad un aumento o ad una creazione di utilità. La filosofia di Severino e di Heidegger però porta ad interpretare lo strumento tecnologico stesso come soggetto capace di rovesciare la pretesa umana di dominare l’essente, trasformando se stesso in fine fino a sottomettere l’umanità e le sue produzioni sociali etiche e politiche. In Heidegger, che approfondisce maggiormente il pensiero di Nietzsche, viene adombrata l’idea che la volontà di potenza e la razionalità strategica umane abbiano un loro ruolo, la qual cosa non riesce ad impedire il rovesciamento che subisce l’animale razionale il quale finisce “per girare attorno a se stesso”, dominato da ciò che egli stesso ha prodotto, l’unica via d’uscita rimanendo il comprendere che “l’uomo non è il padrone dell’essente ma il pastore dell’essere”. Un saggio del filosofo francese Francois Jullien (Pensare l’efficacia – Laterza 2006) ci può essere d’aiuto per approfondire la questione. Scrive Jullien:<<A mio parere, la modalità greca di concepire l’efficacia può essere così riassunta: per essere efficace, io costruisco una forma modello, ideale, di cui traccio un piano e che mi pongo come obiettivo; poi inizio ad agire in base al piano e in funzione dell’obiettivo.>> E’ necessario così << l’intervento congiunto di due facoltà: l’intelletto che, come dice Platone, “concepisce in vista del meglio” (che è la forma ideale); poi la volontà che si impegna per fare entrare la forma reale, progettata, nella realtà>>. Ma Jullien a questo punto non ritiene che la questione sia risolta:<<E tuttavia siamo tormentati dall’idea di una dispersione nel passaggio dalla teoria alla pratica, con la seconda che non riesce a portarsi al livello della prima. E’ per questo che Aristotele introduce l’idea di una facoltà intermedia , che chiama phronesis , di solito tradotto con “prudenza”, chiamata a ricollegare la modellizzazione con l’applicazione e quindi a ridurre il divario che di norma le separa>>. Nello stratega Pericle, ad esempio, si <<incarna la prudenza dell’uomo d’azione, che offre dimostrazione di “colpo d’occhio” e “capacità di giudizio” e si dimostra in grado di calibrare le proprie decisioni sulla contingenza della situazione>>. Ma all’origine della civiltà greca, nei poemi omerici, abbiamo anche l’archetipo dell’uomo che utilizza una razionalità diversa e una diversa abilità:<<”Ulisse dalle mille risorse”, Ulisse abile, “astuto”, ingegnoso, polytropos>>. Ma il termine “astuto” deve essere inteso, in questo caso, in una accezione <<strategica, in quanto rimanda al fatto che Ulisse cerca di cogliere in quale senso stia evolvendo la situazione e come trarne profitto>>. La razionalità di Ulisse, continua Jullien, non è quella teoretica classica di Platone e Aristotele ma è <<la metis […] “il fiuto”, così come si parla di fiuto negli affari. […]La metis è […] la capacità di trarre vantaggio dalle circostanze, di vedere come la situazione evolve e sfruttare in essa l’orientamento favorevole […]dare prova di metis significa scoprire i fattori “portanti” in seno alla situazione per lasciarsi trasportare da essi>>. Jullien, a questo punto, mette in evidenza un fenomeno importante nella storia del pensiero greco antico, e quindi occidentale:<<E’ significativo che la nozione di metis […] – così importante , come si è visto, nel pensiero della Grecia arcaica – scompaia dal pensiero greco classico. E anche il termine sparisce dalla lingua greca, cade in disuso, andato, per così dire in prescrizione>>. Infatti, soprattutto a partire da Platone, trionfa l’opzione che fa leva sulla <<forma modello>> e sulla <<sua applicazione, la grande nozione platonica dell’eidos >> con la quale si è <<instaurato il regno della modellizzazione>>. La razionalità strategica è però rimasta protagonista nel pensiero cinese classico, e anche in occidente, negli scritti, nei manuali e nella saggistica relativa all’arte della guerra e nella misura in cui a partire da Machiavelli la politica ha spostato definitivamente il suo baricentro dal “governo” al “potere” (“il politico” in Carl Schmitt) essa impregna l’arte politica alla quale, pur attraverso opportune mediazioni ideologiche, anche la scienza e la filosofia della politica risultano subordinate. Il prevalere nel campo ideologico e culturale della razionalità strumentale ed economica implica che dell’antica parola greca techne venga disconosciuto il significato di arte a favore di quello di tecnologia come scienza (teoria) applicata ; nous (intelletto), episteme(scienza) e eidos (idea) ovvero filosofia e scienza riconoscono il primato della teoria e della sua applicazione tecno-economica. Nell’articolo di Severino citato all’inizio il filosofo italiano dice:<< Oggi, per realizzare i loro scopi, le tecniche del passato (capitalismo, democrazia, cristianesimo ecc.) intendono servirsi, come mezzo, della tecnica guidata dalla scienza moderna, la più potente. E’ allora per più motivi “inevitabile” che esse finiscano per assumere tutte, come scopo, non più il loro, ma l’aumento indefinito della potenza del mezzo che dovrebbe servire a produrre il loro scopo>>. Gianfranco
Ma nel febbraio del 2002
Mauro Tozzato 19.03.2007