I VERI STATI CANAGLIA

 

Gli Stati Uniti sono preoccupati per la sicurezza dell’Europa, temono che i futuri missili con testata nucleare dell’Iran e della Corea del Nord possano un giorno arrivare a colpire l’Europa e attentare alla stessa sicurezza degli USA. Il problema è che mentre l’Iran questi missili non li ha ancora (un ancora che per i più ottimisti equivale per lo meno ad un altro decennio) la Corea del Nord sta già negoziando con le potenze occidentali per ridurre il suo “misero” arsenale nucleare (bombe in cambio di aiuti economici). Allora? Allora qualcosa non quadra e l’insistenza americana per lo scudo europeo, con altre basi USA disseminate sul suolo del vecchio continente, deve avere necessariamente altri scopi. I veri obiettivi statunitensi sono la Russia di Putin e la Cina di Hu Jintao.

La cosa scandalosa è che l’Europa non sta mettendo becco nei piani americani di difesa antimissilistica, mentre permette ai singoli Stati di negoziare in proprio aspetti riguardanti gli assetti strategici dell’Europa intera.

Esiste un ventre molle nel nostro continente, dei veri e propri “Stati Canaglia” che pur facendo parte dell’UE a tutti gli effetti, sono sotto diretta influenza di Washington. Ed è proprio in questi paesi che gli USA stanno giocando i loro assi nella manica. Questi paesi si chiamano Romania, Polonia, Repubblica Ceca e, fuori dall’UE ma non fuori dall’area Europea, la Slovacchia ed altre piccole Repubbliche dell’ex URSS.

In Polonia si costruirà una base militare con dieci missili balistici in quanto parte integrante del sistema NMD (National Missil Defence), la difesa antimissilistica satellitare americana. A questa base sarà direttamente collegata un’altra postazione Usa nella Repubblica Ceca che fungerà da sistema radar integrato. Qualora le cose non dovessero filare lisce in questi due paesi esistono già altre candidature che vanno dalla Slovacchia alla Romania (con quest’ultima dettasi già disposta ad ospitare gli americani se gli italiani dovessero respingere la proposta di allargamento della base di Dal Molin).

Vorremmo ricordare che Polonia e Repubblica Ceca stanno anche sostenendo, con ampi contingenti, gli sforzi militari americani tanto in Afghanistan che in Irak. La Polonia ha attualmente novecento soldati sugli scenari irakeni, mentre sono un centinaio quelli cechi. La Polonia ha recentemente inviato mille soldati in Afghanistan mentre la Repubblica Ceca s’appresta a fornire elicotteri e armi alle forze d’occupazione in quel paese.

Tuttavia non si deve pensare che tutti i polacchi e tutti i cechi siano d’accordo con l’azione dei rispettivi governi, anzi! Anche lì, come a Vicenza, stanno organizzando delle proteste veementi per impedire agli americani di piazzare le proprie basi. Ma i governi continuano a decidere sulla testa dei popoli, all’est come altrove. Naturalmente ogni protesta è messa a tacere dall’apparato mediatico di questi paesi “neo-democratici”, i quali lasciano passare solo le informazioni “buone”, quelle sulla crescita economica o quelle sull’innalzamento del PIL. C’è da dire che anche in questi paesi destra e sinistra sono abbastanza trasversali nell’appoggio agli Usa, si distingue qualche voce isolata nei singoli partiti ma il gioco degli specchi riflettenti vale nell’est dell’Europa proprio come nel “cuore” del vecchio continente. Persino i Verdi cechi non hanno avuto nulla da ridire sull’impiantamento delle basi USA, anzi il partito ha rigettato una mozione che richiedeva un referendum popolare sulla questione. Per quel che riguarda i socialdemocratici (oggi all’opposizione) hanno fatto sapere di essere favorevoli alla base radar ed in cambio, il primo ministro ceco, si è detto disposto a dar loro una partecipazione attiva nei più importanti obiettivi della politica di governo (il solito do ut des tra sicofanti, ed in culo alla volontà popolare!). In realtà i socialdemocratici non avrebbero potuto fare diversamente dato che le trattative con gli Usa furono intavolate proprio mentre erano loro al governo (mutatis mutandis è ciò che è accaduto anche in Italia a schieramenti invertiti).

In Polonia le cose vanno anche peggio date le buone relazioni che questo paese manteneva con Theran. L’ex ministro polacco della difesa Sikorski è stato silurato per aver fatto notare questa incongruenza e per aver avanzato delle critiche nei confronti di un governo che voleva svendere la sovranità nazionale.

Naturalmente Mosca sta facendo sentire la sua voce nei confronti dei governi filo-americani che tentano di portarle il nemico in casa. Putin non si è fatto intimorire ed ha lanciato il suo avviso agli Usa e alla loro aggressività geopolitica. Anche Il generale russo Nikolai Solovtsov ha minacciato apertamente i governi di questi paesi ed ha affermato che i siti dove verranno istallati i missili Usa saranno considerati un obiettivo potenziale per i missili russi. Ma la tensione è continuata ancora a salire quando si è appreso che il Caucaso (il riferimento specifico è alla Georgia, qui gli USA hanno favorito l’ennesima rivoluzione arancione) diveniva un’area d’interesse strategico statunitense nella costruzione della difesa missilistica integrata.

Questa situazione rende l’Europa politica ancora più precaria di quello che già è. Donald Rumsfeld, nel 2003, aveva tentato di dividere l’Europa in “vecchia” e “nuova”. La vecchia Europa era quella inetta che ancora troppo legata alla propria autonomia (per quanto timida) non si mostrava disposta a cooperare pienamente con il governo americano. La “Nuova Europa” era invece costituita da tutti quegli Stati che stavano accettando di collaborare con il governo americano nella guerra al terrore fondamentalista senza se e senza ma.

Le poche critiche piovute sugli “Stati Canaglia” europei, soprattutto da parte tedesca, sono state subito rispedite al mittente con argomenti pretestuosi e puerili, il primo ministro ceco è arrivato ad accusare il ministro degli affari esteri tedesco di essere semplicemente invidioso perchè gli USA avevano scelto la Repubblica Ceca per la base scavalcando la Germania.

Anche la Slovacchia ha accettato il posizionamento di una base radar sul proprio territorio, questa opzione secondaria resterà aperta fino a che non arriverà la certezza dell’accordo con Polonia e Repubblica Ceca.

Di fronte a questa situazione si avverte ancora di più l’assenza di una politica unitaria dell’Europa. Francia e Germania non sono andate al di là di piccoli rimbrotti. Angela Merkel si è guardata bene dal sollevare la questione della difesa antimissilistica USA al summit dell’UE a Bruxelles malgrado qualche governo ne avesse fatto richiesta. Nonostante l’atteggiamento americano stia attaccando le regole esistenti sul disarmo nucleare, nessun governo agisce con la fermezza che sarebbe necessaria in casi come questi, così si sta determinando una nuova corsa agli armamenti da parte di tutte le potenze che non vogliono trovarsi inermemente sotto il dominio statunitense. Per di più, questo affronto diretto nei confronti della Russia sferrato dal suolo europeo sta mettendo a rischio le relazioni politiche ed economiche (materie prime ed approvvigionamento energetico in primis) tra l’UE e Mosca. Infine, il fatto che gli americani partano sempre più spesso dai siti europei per le proprie guerre incrementa la responsabilità europea in tali conflitti, tanto che diviene sempre difficile tirarsi fuori unilateralmente.

 

 

DISCORSO SULLA DEMOCRAZIA ED ALTRE FACCENDE (di M. Tozzato)

 

Premetto una sola breve considerazione riguardo all’ultimo ampio intervento di La Grassa sulla democrazia e la Costituzione. Nonostante la consapevolezza generalizzata dell’enorme distanza che separa la democrazia degli antichi da quella dei moderni si continua a parlare, o meglio ad usare espressioni, che danno credito all’esistenza di una democrazia in generale, concetto  universale del tutto astratto, incapace cioè di concretizzarsi , di darsi forma reale in qualsiasi maniera possibile. Per utilizzare una espressione kantiana, che mi pare adatta, si cerca, per lo più, di presentare la democrazia come una specie di idea regolativa che dovrebbe servire per effettuare progressive approssimazioni a forme di organizzazione politica capaci di rispettare la regola generale dell’ eguale accesso agli strumenti, funzioni e ruoli di potere per tutti gli individui facenti parte di una determinata comunità. In realtà   la storia del pensiero e la filosofia politica hanno tutto il diritto di portare avanti uno studio comparato delle istituzioni, del rapporto governanti-governati, della costituzione in forma politica delle classi sociali attraverso forme rappresentative, economico-corporative, tributarie ecc. Nell’epoca contemporanea, però, per gli scopi dell’analisi della società attuale, diventa fondamentale ricostruire, con la maggiore precisione possibile – a partire dall’età moderna e soprattutto dalla prima rivoluzione industriale – le forme storiche in cui “il miglior involucro politico per la formazione sociale capitalistica” si è manifestato. Il costituirsi della democrazia borghese a partire dall’inizio del XIX° secolo e poi la nascita di svariate tipologie di democrazie capitalistiche post- borghesi, certamente in relazione, anche se non precisamente identificabile, con il passaggio di cui parla La Grassa alla società dei funzionari privati ( e “pubblici”) del capitale deve prescindere da qualsiasi illusoria ipotesi di un processo di democratizzazione che magari  iniziando, come proponeva il grande Lukacs,   dalla vita quotidiana possa inverarsi come una specie di anticamera politico-istituzionale del “socialismo”. E certamente è ancora della massima importanza tener conto anche di quello che il filosofo e storico Domenico Losurdo va ribadendo da anni riguardo alla natura fondativa per la cosiddetta democrazia di fortissimi e necessari meccanismi di esclusione, questi sì molto diversi morfologicamente nei vari periodi storici, creati attraverso apparati ideologici e/o coercitivi e mantenuti attraverso la costruzione di consenso tramite controllo delle devianze , intese come possibili embrionali forme di conflitto destabilizzanti per il mantenimento del modello sistemico. La democrazia, ancora con Losurdo che legge Schmitt, ha inoltre bisogno di convivere con tipologie di stati di eccezione a volte, anzi quasi sempre, trasformati e mistificati, tali da divenire condizione per dar luogo a  provvedimenti amministrativi e di polizia “ragionevoli”, “umanitari” ecc. all’interno e/o all’esterno del sistema-paese statuale.

 

E adesso proviamo a impostare alcune osservazioni sul rapporto ISAE dello scorso 27 marzo. L’inizio è veramente “brillante”:<<il possibile ritorno verso dinamiche annuali più robuste>> del PIL, ovvero <<leggermente inferiori al 2%>>, non possono ritenersi<< disprezzabili se si tiene conto del periodo da cui si proviene e del fatto che, data la bassa demografia, tali andamenti corrispondono a evoluzioni di analoga entità nelle grandezze pro-capite.>> Comunque  in qualsiasi rabberciato manualetto di economia  mi pare si possa leggere anche  che, se l’incremento della produttività supera quello del PIL, come credo accada in questo periodo, debba diminuire l’occupazione e quindi, con una dinamica salariale tendente al ristagno, la redistribuzione verso l’incremento dei guadagni da capitale e imprenditoriali a scapito dei ceti dipendenti e del “piccolo lavoro autonomo” risulta decisamente molto forte.

Andiamo avanti:<<La ripresa italiana manifestatasi nel 2006 […] è naturalmente un fenomeno ciclico legato al risveglio europeo e al ritorno, dopo lunga latitanza, della locomotiva tedesca. Essa però trova un fondamento nel processo di ristrutturazione operato negli ultimi anni dalle imprese manifatturiere […] Da un esame dei dati disponibili emergono alcune caratteristiche essenziali, così riassumibili: 1) al contrario dei precedenti episodi di riorganizzazione (primi anni ottanta e inizio decennio novanta) non è stata nell’insieme di tipo labour saving […] ; 2) è stata di tipo inter-settoriale , accompagnandosi ad un certo ridimensionamento dei settori tradizionali (tessile, abbigliamento, cuoio, calzature, mobili e prodotti della casa), a una crescita di altri settori di specializzazione (meccanica strumentale) e di comparti a media tecnologia (alimentari, industria energetica, prodotti intermedi in metallo, carta-stampa) e a un’ulteriore contrazione relativa dell’alta tecnologia; 3) è stata anche di tipo intra-settoriale, comportando, come già avvenuto in passato in occasione dell’acutizzarsi della competizione dei paesi a basso costo, la scrematura delle imprese meno efficienti nelle industrie tradizionali e il conseguente spostamento di queste produzioni su fasce qualitative più elevate, maggiormente al riparo dalla concorrenza delle economie emergenti; 4) nonostante il ridimensionamento del peso dei settori dei beni di consumo del Made- in- Italy, non si è verificata una modifica del modello di specializzazione del paese relativamente ai partner industriali, rivestendo tuttora i comparti tradizionali in Italia, accanto alla meccanica strumentale e ad alcune produzioni intermedie, un ruolo proporzionalmente maggiore rispetto a quanto avviene nelle economie europee e negli altri sistemi con analogo grado di sviluppo; 5) i movimenti inter e intra-settoriali si sono accompagnati a una ricomposizione nella struttura delle imprese esportatrici, con un ricambio […] particolarmente intenso tanto nei settori che hanno sofferto maggiormente la crisi competitiva […], quanto in quelli caratterizzati da una migliore tenuta sui mercati internazionali.>> Speriamo che qualcuno non provi ad avanzare la tesi che il prestigioso Istituto di Studi e Analisi Economica che dovrebbe, penso, fondare i suoi “Rapporti” su una attenta analisi dei dati empirici e contabili, nella sua ricostruzione sintetica delle condizioni dell’economia italiana abbia ricevuto suggerimenti dal blog RipensareMarx e in particolare da Gianfranco La Grassa vista la concordanza da quanto da noi commentato negli ultimi tempi con la ricostruzione, senz’altro “asettica” ma abbastanza chiara, risultante dalla precedente citazione. In effetti, almeno a mio parere, risulta invece di più difficile inquadramento l’affermazione, che nel “Rapporto” viene comunque riportata, riguardo al fatto che <<il rinnovamento nella composizione degli esportatori>> in Italia avrebbe <<interessato soprattutto le grandi unità produttive>>. A meno che parlando di “grande unità produttiva” non si intenda far riferimento a quelle  imprese, cosiddette medie, che sembrano aver sostituito “il piccolo è bello” e il “modello Nord-Est” di qualche anno fa.

 

 

Mauro Tozzato                       04.04.2007