CHICAGO: UN NOME, UNA GARANZIA di G. La Grassa
Il sig.Guido Rossi, ex presidente (da pochi giorni) di Telecom, si è sfogato sul capitalismo italiano dicendo che sembra di essere nella Chicago di fine anni ’20, inizio ‘30 (quelli di Al Capone, ormai immortalato in innumerevoli film). “Il signore sì che se ne intende”, come si diceva in un vecchio Carosello con riferimento al brandy Stock. E’ da vent’anni almeno che il sig. Rossi è dentro non so quanti affaracci di questa (da lui così definita) Chigago. Egli è stato più o meno sempre il referente politico del PCI-PDS-DS, i “pentiti” del “socialismo reale” e miracolati dall’operazione mani pulite, che divennero così il perno del tentativo di creare un nuovo regime; tentativo non ancora riuscito poiché l’elettorato ex DC ed ex PSI ha preferito rivolgersi ai nuovi partiti FI e Lega e alla vecchia AN.
E’ da 15 anni, inoltre, che il sig. Rossi partecipa all’incredibile processo di privatizzazione delle imprese industriali e bancarie controllate dallo Stato (ed è stato anche presidente della Consob, organo di sorveglianza della Borsa che non sorveglia quasi nulla); un processo che ha semplicemente condotto dal monopolio pubblico (inefficiente) a quello privato, altrettanto inefficiente. Con tuttavia un certo peggioramento dovuto ad un fatto ben evidente: il “privato”, essendo monopolistico, non ha affatto desiderio di innovare e rendersi tecnologicamente più avanzato (con aumento della produttività del lavoro), ma nemmeno può mantenere, per ragioni di puro favoritismo clientelare e politico, una pletora di impiegati com’è invece in grado di fare il “pubblico” grazie all’alta imposizione fiscale [sia chiaro che non siamo liberisticamente antitasse; si desidera però che queste stiano a fronte di servizi pubblici sempre migliori, mentre invece, negli ultimi 10 anni, abbiamo assistito allo sfacelo di Poste, Ferrovie e ogni altro settore dell’amministrazione statale. La spesa pubblica serve solo a finanziare imprese decotte ma “amiche” e a favorire le proprie clientele elettorali].
Come hanno ottenuto profitti, o diminuito le perdite, i monopoli privati(zzati)? Oltre a finanziamenti statali concessi dai loro gruppi politici di riferimento – dal processo di privatizzazione in poi, per la maggior parte, quelli di centrosinistra – tali inefficienti aziende hanno licenziato personale, in modo particolare eliminando quello più preparato professionalmente (con salari più elevati), e assumendo lavoratori a tempo determinato, privi di qualificazione e (giustamente) non interessati ad un lavoro del tutto precario e abbondantemente sottopagato. Questo è il capitalismo definito simile alla Chicago anni venti. Ovviamente, il gruppo di comando è costituito da quella che definisco GFeID (grande finanza e industria decotta), con in testa le grandi banche “sanguisughe” (i cui servizi sono i più costosi d’Europa e quindi del mondo; detto dalla UE e da Draghi, non da me!) e la solita “grande famiglia” torinese; più qualche altro imprenditore maneggione, tutti uniti fra l’altro nel patto di sindacato della RCS (Rizzoli- Corriere della Sera, editore del più scadente fogliaccio giornaliero del nostro paese).
Le privatizzazioni sono state in Italia esattamente simili alle cosiddette liberalizzazioni o alla lotta all’evasione fiscale degli ultimi mesi: addosso a panettieri, tassisti, benzinai, parrucchieri, ecc., nel migliore dei casi a farmacisti, avvocati e commercialisti; alle grandi imprese finanziarie è invece consentito di darsi alle fusioni e conglobamenti, e quelle industriali ottengono continui finanziamenti pubblici e nessuno le controlla se portano capitali nei “paradisi fiscali”. Non parliamo dei favoritismi nei confronti delle coop, che sappiamo a quale padrino politico fanno riferimento. Nel mentre i bisonti e “culi di pietra” degli elefantiaci apparati sindacali funzionano da “braccio armato” contro il sedicente ceto medio, che non deve disturbare il grande capitale durante le sue azioni “da anni venti a Chicago” svolte assieme ai vari gruppi del centrosinistra.
La Telecom è stata solo il paradigma di questo costume “alcaponesco”. Finché Tronchetti (e non vi è alcuna intenzione di incensare tale personaggio, sia chiaro!) è sembrato stare al gioco – protestando debolmente per essere stato esautorato dai grandi gruppi finanziario-politici (guidati da Intesa San Paolo con il Governo Prodi al seguito) tramite la nomina al vertice dell’azienda telefonica del sunnominato Rossi, attuale fustigatore dei costumi del capitalismo italiano – tutto andava quasi liscio. E si continuava a tenere sotto pressione il Tronchetti con la solita magistratura “amica”, gli si impediva ogni tentativo di liberarsi dell’azienda evitando il troppo depresso prezzo di mercato delle azioni. Si facevano fallire gli approcci con Murdoch e perfino quelli con la spagnola Telefonica che sembrava poter apportare qualcosa di “industrialmente” positivo. Queste varie manovre erano appunto gestite dal complesso finanziario-politico di cui sopra, coadiuvato dal Governo “amico” (servo!), al fine di poter prima o poi, pur essendo fallito il piano Rovati e qualche altra manovra, tentare di prendersi a basso prezzo il controllo dell’azienda di tlc (con annesso polo massmediatico, ecc.).
La recente mossa di Tronchetti (di puro carattere finanziario e mercantile, senza alcuna pretesa industriale dal suo personale punto di vista) ha fatto entrare in gioco il colosso americano AT&T e un altro messicano, con il risultato, per il momento, di rialzare nettamente il prezzo di mercato delle azioni Telecom. Subito i finanzieri, con il Governo “preoccupato” e che sta tentando di tutto per aiutarli, si sono agitati e vogliono impedire l’arrivo degli americani. Al presente, è inutile fare previsioni o seguire giorno dopo giorno gli sviluppi, tortuosi, della vicenda. Cerchiamo di fissare qualche punto solo per illustrare il merdaio di questo nostro capitalismo, di questo nostro Governo e dell’intero ceto politico (con intellettuali saltimbanchi al seguito).
Innanzitutto, l’immonda sceneggiata dell’italianità “a geometria variabile”. Ci hanno rotto le scatole con l’entrata nell’Europa unita e sempre più allargata, costruendo un’area monetaria comune e adottando l’euro (mediante un cambio evidentemente troppo alto con la lira) che ha ridotto abbondantemente il nostro tenore di vita, in specie per salariati e pensionati. E’ inutile dare la colpa ai soli commercianti e ai mancati controlli nei loro confronti, perché nella stessa situazione sono quasi tutti i paesi europei (Francia, Spagna, Grecia, ecc.); forse la Germania sta un po’ meglio. Si sono inoltre innalzati peana alla globalizzazione, alla benefica concorrenza e competitività nel mercato mondiale, con tanti (presunti) vantaggi per i consumatori. Si è detto che le imprese italiane erano meravigliose nelle loro capacità competitive in questo mercato aperto.
In effetti, quando la AbnAmro (olandese) e il Banco di Bilbao (spagnolo) hanno puntato all’Antonveneta e alla BNL, ci si è scatenati contro Fazio – che intendeva favorire “cordate” italiane – condannando il suo gretto nazionalismo, la sua antistorica difesa dell’italianità delle banche, mentre dovevamo aprirci alla globalizzazione (come minimo in sede UE). In realtà, si volevano solo colpire i cosiddetti “furbetti del quartierino” che avevano osato scalare la RCS. Infatti, quando Benetton (Autostrade) ha tentato di mettersi d’accordo con la spagnola Abertis, abbiamo visto i critici del gretto nazionalismo ululare in difesa dell’italianità. La stessa cosa quando Tronchetti ha tentato con Murdoch e soprattutto con Telefonica. Infine arriva la AT&T e il coro in difesa del “sacro suolo patrio” si è fatto a sinistra assordante. Salvo poi – visto l’ormai alto costo di ogni operazione da parte dei nostri gruppi finanziari, a causa dell’ottimo prezzo offerto dagli americani – cominciare a parlare di associare a questi disgustosi parassiti nostrani qualche impresa europea come Deutsche o France Telecom e, udite udite, la spagnola Telefonica contro cui si erano alzate le barricate un mese o poco più fa (mediante la precisa azione del sig. Guido Rossi, criticato per questo da ben 13 consiglieri di amministrazione della società telefonica su 21, che hanno firmato una lettera scritta da uno di loro, avvocato), quando il tentativo era stato fatto da Tronchetti. Adesso arrivano notizie di trattative tra Intesa e la AT&T; evidentemente i padroni di Prodi hanno visto che è meglio cercare di usare la loro arma preferita, il raggiro e la vaselina, piuttosto che intonare a voce troppo alta: “non passi lo straniero”.
In ogni caso, uno spettacolo indecoroso e da quaquaraqua; perché è inutile che il sig. Rossi – uno dei protagonisti di tutti gli affaracci del nostro capitalismo di questi ultimi decenni – paragoni la GFeID alla banda di Al Capone; abbiamo a che fare invece con semplici magliari. Per capire i nostri capitalisti di infimo livello, inutile vedersi film americani come Scarface o Il nemico pubblico o il più recente Gli Intoccabili; è sufficiente un vecchio nostro film di Rosi, appunto I magliari, con Alberto Sordi che interpretava uno dei più significativi (e laidi) di quegli squallidi personaggi.
Ma va ricordato un altro fatto ancora. La società industriale AT&T, di cui è difficile negare oltre alla potenza anche una certa efficienza e avanzamento tecnologico, si presenta in prima persona; e allora ecco i nostri falsi e mentitori governanti vellicare lo sciocco e superficiale antiamericanismo degli imbecilli della “sinistra estrema”. Nessuno si chiede a chi siano legati i gruppi finanziari che vogliono, via Governo Prodi, impadronirsi della Telecom e da qui puntare, con varie manovre, verso le Generali. Alle loro spalle, ben coperte, stanno la Goldman Sachs – che ha un suo ex vicepresidente (della sezione europea) al vertice della Banca d’Italia, dopo che è stato liquidato, per scarso “spirito internazionalista”, il vecchio Governatore della stessa – e il potentissimo Carlyle Group, che vede ai massimi vertici della sua sezione europea un figlio di De Benedetti, gruppo di cui abbiamo riportato nel sito (www.ripensaremarx.it) precise notizie (impressionanti) tratte da uno studio dell’Ecole de guerre économique francese.
Sostenere che Intesa-San Paolo – con annesse fondazioni bancarie, con l’alleanza (subordinata) di altri finanzieri italiani e con il suo sicario politico (l’attuale Governo) – sia il campione della difesa dell’italianità, è quanto di più falso ci sia; una menzogna tipica dei sinistri che ci governano, dei giornali e media ad essi asserviti, di un ceto di imbonitori, detti “intellettuali”, pagati dai vari finanzieri suddetti (subordinati a quelli americani). Siamo invece in presenza della lotta tra grandi lobbies USA che hanno come campo di battaglia il nostro paese, in quanto esso ha la sua rilevanza per creare sempre più estese zone di controllo atte ad accentuare la presa statunitense sull’Europa, in vista dei difficili compiti “competitivi” che aspettano in futuro la potenza predominante nei confronti di quelle “regionali” asiatiche e della Russia, tutte in forte ascesa.
Altra vergogna della sinistra italiana è il retaggio del vecchio PCI, la cui “diversità” si è rivelata infine come un autentico cancro della società italiana, che adesso sta dilagando in tutto l’organismo. Il comunismo (piciismo) italiano ha solo criticato l’esperienza sovietica per mancanza di “democrazia”, questa purulenta forma della dittatura (democratica appunto) delle classi dominanti; la diversità tra PCI e PCUS stava in realtà nel fatto che, dopo i patti di Yalta, nell’area orientale (con in testa appunto il partito che governava il paese centrale di quel “campo” detto socialista) il potere era accentrato nelle mani di una élite, costituita dai portatori delle funzioni dirigenti fortemente centralizzate dell’organismo formato dallo stretto intreccio partito-Stato; mentre il PCI, trovandosi obtorto collo nel “campo” capitalistico (tradizionale), accettò una funzione subordinata nell’ambito di un chiaro duopolio elettorale (pur con molti altri partiti di contorno), sfruttando ai fini di una coperta, ma non per questo meno importante, compartecipazione al potere (in particolare a partire dalla metà degli anni ’70) la sua ideologia falsamente socialista e comunista, in realtà lassalliana (da Lassalle, sostenitore del socialismo di Stato, trattato a pesci in faccia da Marx e da questi considerato un furfante mestatore oltre che un mediocrissimo pensatore e politico).
Questa derivazione lassalliana, questo essere sempre proni ai poteri dei gruppi dominanti capitalistici italiani (privati e “pubblici” come quelli dell’IRI), ha fatto dell’apparato del PCI, dopo il crollo del “campo socialista” e il cambio della “denominazione d’origine non controllata”, il personale politico migliore per la GFeID, cioè per quel “capitalismo alla Chicago” di cui sopra. Non è un caso che l’autore di simile definizione del nostro capitalismo sia un faccendiere legato ai DS, attivo in tutte le loro varie mene di questi ultimi due decenni (in particolare dal crollo del socialismo reale). Si è trattato di operazioni di privatizzazione che egli avrebbe però voluto (assieme a Prodi) attuare nella forma della public company; poiché tale forma assicura i profitti – e il controllo di “ultima istanza” – ai gruppi finanziari, veri padroni della situazione (soprattutto quando stretti in “patti di sindacato”, forma associativa inesistente in tutti gli altri paesi capitalistici avanzati), mentre lascia largo spazio ai manager, ma non certo a quelli capaci di attuare abili strategie industriali, bensì a quelli dediti solo a operazioni di maneggio e manipolazione societaria onde fare il bello e cattivo tempo, favorire “amici” e danneggiare “nemici”, ecc. Esattamente come ha sempre fatto il faccendiere (vicino ai diesse) di cui sopra, anche nella sua ultima “prodezza” in sede Telecom, dove gli è stato contestato, dalla maggioranza del Cda, un comportamento teso a far fallire l’operazione verso Telefonica, oggi ripresa in considerazione per opporsi alla AT&T (ma dopo che il suddetto faccendiere si è dimesso, perché di fatto estromesso, dato il totale fallimento della sua azione tesa a mantenere bassi i prezzi azionari Telecom, al fine di favorire la messa a punto della conquista dell’azienda, con esborso di pochi “dindi”, da parte dei gruppi finanziari guidati da Intesa San Paolo).
Interessante, e divertente, notare la nemesi abbattutasi sui vari finanzieri e faccendieri in opera. Volendo mantenere sotto schiaffo giudiziario Tronchetti per meglio ricattarlo (e impedire operazioni tese a rialzare i depressi prezzi azionari della Telecom), si è di fatto smantellato l’intero servizio di spionaggio (mediante intercettazioni telefoniche) che era in atto nella società in questione. Tale risultato ha di fatto favorito Tronchetti che ha condotto in gran segreto, senza spioni, le trattative con AT&T e ha sorpreso tutti, scompaginando i giochi di Intesa San Paolo, delle fondazioni bancarie e degli altri finanzieri all’opera (utilizzando il loro controllo sul Governo Prodi); con alle spalle, sempre in modo molto coperto e discreto, la Goldman e il Carlyle Group, tanto americani quanto la AT&T (alla faccia degli antiamericanisti sciocchi o di pura facciata).
Sempre in tema di orripilante ideologia lassalliana, per cui il pubblico (statale) sarebbe migliore del privato per la “collettività”, ricordo che ancora adesso le sinistre (con il pieno appoggio di quelle “estreme”) premono, e sembra con qualche successo, per rilanciare quella che di fatto è una riedizione del piano Rovati, con cui si voleva utilizzare la CDP (Cassa depositi e prestiti) per “trombare” il Tronchetti, di fatto liquidandolo a poco prezzo (quello di mercato delle azioni prima della proposta del colosso telefonico americano). Tale CDP appartiene per il 70 % al Tesoro e per il 30% a varie fondazioni bancarie, in buona parte legate alla solita Intesa San Paolo. La CDP si finanzia soprattutto con l’emissione di titoli, in particolare obbligazioni; un bel sintomo della sua “funzione pubblica” è che queste emissioni non sono garantite dallo Stato; sono a rischio e pericolo dei cittadini sottoscrittori come qualsiasi titolo di impresa privata. In ogni caso, la CDP è totalmente soggetta alle mene dei politici che hanno in mano il Governo; ed oggi si tratta degli “amici” dei vari gruppi finanziari della GFeID, con al vertice il “maggiordomo” politico dell’Intesa che, con il suo “dodecalogo”, vorrebbe costituirsi in (ben meschino) “dittatorello” di quella “Repubblica del mango” che è l’Italia (so che qualcuno mi ha obiettato che il mango è un buon frutto; anche la banana lo è, anzi a me piace mille volte di più; in ogni caso, il termine “mango” sottintende meglio quello che vorrei in realtà usare).
Ultima notazione di questa mentalità da mentitori arruffoni (e magliari) che del “pubblico” fa la maschera di operazioni tipiche della “Italia come novella Chicago”: l’Authority addetta alle telecomunicazioni vuole affrettare (al massimo entro fine anno) la separazione delle rete fissa dal resto della Telecom. E’ chiaro che il valore dell’azienda dipende appunto da questa rete, dove si trova la banda larga per adsl, TV via cavo, ecc. Scorporandola, si tenta di deprezzare ancora una volta la Telecom onde mettere di nuovo sotto schiaffo Tronchetti e la sua operazione che – lo dico adesso ma lo pensavo già prima – non credo sia tesa a veramente vendere agli americani, ma a far salire il valore dell’impresa in oggetto, dunque della partecipazione (di controllo) che Olimpia ha in essa (18%), dunque della partecipazione che Pirelli ha in Olimpia (80% mentre il resto è di Benetton), dunque della partecipazione che Tronchetti ha in Pirelli.
Come vedete, siamo proprio “a Chicago anni venti”; bande in lotta senza alcuna strategia industriale ma solo per motivi di guadagno. Solo che una delle due bande – quella che aveva messo il sig. Rossi alla presidenza di Telecom – sfrutta l’amicizia (leggi: il servilismo) del Governo, muove gli organi di controllo come le Authority, usa la difesa (o non difesa) dell’italianità a suo piacimento, sfrutta la perversa, ma anche menzognera, ideologia del “pubblico” di cui è portatrice la degenerata sinistra nata dalla “diversità” del PCI; nello stesso senso utilizza un antiamericanismo altrettanto falso e da mentitori spudorati, visto che entrambe le bande in lotta hanno alle spalle capitale statunitense (uno più industriale e a viso scoperto, l’AT&T; l’altro più finanziario e nascosto, subdolo e infiltrante, la Goldman e la Carlyle). E sia chiaro: se vince questa seconda banda, andiamo anche verso il possibile controllo di Generali e verso una autentica dittatura dei gruppi finanziari (con i suoi servi preferiti di centrosinistra).
Ancora una volta non si può fare a meno di constatare che siamo tra Scilla e Cariddi; tra una destra e una sinistra assolutamente menzognere e torbide. La prima inneggia falsamente al mito del libero mercato, dell’iniziativa privata; la seconda si trincera dietro sia la finta autonomia dallo “straniero”, sia il “pubblico” fatto passare per interesse collettivo. Abbiamo solo bande alla Al Capone e alla Frank Costello che dilaniano il nostro povero paese. Abbiamo poi anche le soluzioni di “finto mezzo”, del tipo di quelle preconizzate da vecchi DC come ad es. Cirino Pomicino, che se ne intende un po’ di più ed evita di dire spudorate stupidaggini. Tuttavia, abituato al vecchio duopolio di prima di mani pulite, ricordando il periodo di trasformazione industriale dell’Italia con la sua base sociale operaia nutrita ancora di forti ascendenze contadine (che favoriva comunque la prevalenza “democratica”, cioè elettorale, della DC), egli ripropone improbabili operazioni di proprietà pubblica e di mantenimento delle grandi imprese sotto controllo italiano quasi che questo non fosse, se perdura l’attuale quadro politico, un puro rafforzamento di precisi gruppi finanziari (obiettivo che si voleva, e si vuole ancora, attuare tramite la “pubblica” CDP) accompagnato da inefficienza aziendale, da manovre esclusivamente tese a soddisfare le proprie clientele elettorali, ecc.
Per una autentica politica “italiana” occorre ben altro; ed in primo luogo sbarazzarsi integralmente sia di destra che di sinistra, senza mezze misure, senza “buonismi”, senza spirito falsamente democratico (in realtà solo favorevole alle oligarchie peggiori, più devastanti, quelle della GFeID). Basta con la finta italianità (cui essere favorevoli o meno a seconda degli interessi di questi parassiti finanziari e politici); basta con la coppia “privato-pubblico”, questo inganno su cui si basa l’ormai stucchevole “gioco degli specchi” tra destra e sinistra. Occorrerebbe una terza forza: cattiva, senza pietà e radicale nel ripulire il paese da cotanta putredine.
Non mi diffondo adesso su questa orribile storia dell’uccisione dell’interprete di Mastrogiacomo. Siamo alle solite, alla differenza tra “uomo bianco” e “pellerossa”. Una vergogna che, mi auguro, gli afgani (e non solo loro) ci facciano un giorno pagare. E mi ha fatto piacere vedere Berlusconi smussare le polemiche con un intervento accolto con sollievo da Prodi e dal Governo. C’è bisogno di altre prove per comprendere che destra e sinistra vanno a braccetto quando si tratta di ignominia? Per il momento mi limito a questa, a mio avviso tutto sommato consolante, constatazione: sinistra e destra sono unite nell’ipocrisia e nel salvataggio soltanto degli uomini di “razza e civiltà superiori”. Ci fanno trangugiare tanta m…., ma forse, dai e dai, in molti cominceranno ad avvertirne il sapore. Come suol dirsi: la speranza è l’ultima a crepare.
Riporto qui sotto un eccezionale testo. Dobbiamo sperare nei barbari, pur se solo come inizio di una “nuova storia”? In ogni caso, auguriamoci che non vada a finire come nella poesia. O riusciamo, noi, a buttare nei roghi il Senato, l’Imperatore, consoli e pretori e soprattutto retori. O altrimenti dobbiamo augurarci che intanto arrivino i barbari; almeno spaleranno via questa merda, perché essi sanno “sporcarsi le mani”.
Che cosa aspettiamo così riuniti sulla piazza?
Stanno per arrivare i Barbari oggi.
Perché un tale marasma al Senato?
Perché i Senatori restano senza legiferare?
E’ che i barbari arrivano oggi.
Che leggi voterebbero i Senatori?
Quando verranno, i Barbari faranno la legge.
Perché il nostro Imperatore, levatosi sin dall’aurora,
siede su un baldacchino alle porte della città,
solenne e con la corona in testa?
E’ che i Barbari arrivano oggi.
L’Imperatore si appresta a ricevere il loro capo.
Egli ha perfino fatto preparare una pergamena
che gli concede appellazioni onorifiche e titoli.
Perché i nostri due consoli e i nostri pretori sfoggiano la loro rossa toga ricamata?
Perché si adornano di braccialetti d’ametista e di anelli scintillanti di brillanti?
Perché portano i loro bastoni preziosi e finemente cesellati?
E’ che i Barbari arrivano oggi e questi oggetti costosi abbagliano i Barbari.
Perché i nostri abili retori non perorano con la loro consueta eloquenza?
E’ che i Barbari arrivano oggi. Loro non apprezzano le belle frasi né i lunghi discorsi.
E perché, all’improvviso, questa inquietudine e questo sconvolgimento?
Come sono divenuti gravi i volti!
Perché le strade e le piazze si svuotano così in fretta
e perché rientrano tutti a casa con un’aria così triste?
E’ che è scesa la notte e i Barbari non arrivano.
E della gente è venuta dalle frontiere dicendo che non ci sono affatto Barbari…
E ora, che sarà di noi senza Barbari?
Loro erano comunque una soluzione.
(Kavafis, Aspettando i barbari, 1908)
10 aprile