SENZA PIU’ STORIA NE’ TRADIZIONI di G. La Grassa

 

Togliatti disse una volta che il PCI “veniva da lontano e andava lontano”; e da allora furono in molti nel PCI a ripetere questa frase a pappagallo. La prima parte era vera, la seconda si è rivelata fallace. Il crollo del socialismo reale ha coinvolto anche il PCI che si vantava della sua “diversità”, rivelatasi alla fine nient’altro che l’incubatrice della sua totale degenerazione in una “sinistra” particolarmente banale, meschina, corrotta, ma soprattutto senza più né storia né tradizioni.

Non si sa se ridere o restare mesti mesti nel leggere le ultime dichiarazioni di Fassino (del resto precedute da molte altre, e di vari dirigenti diessini, da un bel po’ d’annetti a questa parte). Immemori di quanto inveito e urlato contro il corrotto socialismo craxiano, adesso i diessini vorrebbero farci credere che sono i suoi migliori eredi; e se intendessero dire eredi di quel socialismo craxiano da loro insultato e definito con i più turpi epiteti, saremmo tutti d’accordo, perché non c’è forza politica più marcia dei DS. Ma no, essi adesso parlano di Craxi come di un grande statista e di un socialista lungimirante. E allora non ci siamo proprio, perché non possono far finta di non averlo affossato, in fondo perseguitato (con la “loro” magistratura; è ormai ora di finirla anche con la menzogna di “mani pulite”). Personalmente, non ho mai pianto per questo, né mi sono indignato, lo dico apertamente; mi indigno però adesso nel sentire questi ipocriti che si dichiarano ammirati del craxismo e loro seguaci ed eredi. Questo fa schifo, è veramente troppo, non si può essere così falsi e infami.

Ridicolmente, Fassino è tornato anche su Stalin dichiarando il suo orrore per i gulag, i morti, ecc. Non intendo minimamente, in questo contesto, cercare di fare una lezione di storia. Rido semplicemente, e nel contempo manifesto il massimo disprezzo per questi ominicchi che, invece di lasciar perdere avvenimenti mille volte più grandi di loro (e certo tragici, perché la tragedia è cosa grande, che piaccia o meno), pretendono di usarli oggi, in un contesto di viltà e pochezza come non mai nella nostra storia (di “povero paese”), per dimostrare che sono “degni” di governare e di “indicarci la via”. Che siano degni di governare, assieme a gente come Prodi & C. e con alle spalle una classe dirigente economico-finanziaria di livello ultra-mediocre, non c’è alcun dubbio. Tuttavia, fa senso che vogliano darsi una tradizione “democratica” solo negando che “vengono da lontano” (come disse Togliatti). Così facendo, dilapidano solo una storia e delle tradizioni, ma non ne creano affatto di nuove. Dimostrano di essere ormai senza più “credenziali” di alcun genere; quelle che hanno comunque – pur se io le rifiuto – le socialdemocrazie o anche le democrazie cristiane di altri paesi europei. Questi nostrani – ex PCI ed ex DC – sono ormai il nulla, o meglio l’infamia più pura, il rinnegamento di ogni principio, di ogni valore, di ogni radice. Volteggiano nel vuoto, scheletrici fantasmi com’è appunto il segretario diessino che si mette a far lo “storico”. Che Fassino lasci la storia – perché ormai di storia, e anche lontana, si tratta – a chi è capace di fare questo mestiere, quanto meno senza servirsi di certi avvenimenti dei tempi che furono, meno laidi di questi, per la bassa cucina di una politica da maneggioni degenerati. Non hanno più alcuna eredità cui richiamarsi, sono orfani e derelitti, poveri cascami di una cultura e ideologia in pieno disfacimento.

 

Qualcuno di loro, di questi immemori ex piciisti, ciancia ancora di classe operaia o di classi lavoratrici. Inutilmente. E’ uscito da poco uno studio dell’IRES-CGIL* – che credo serio e che comunque non può certo essere sospettato di partigianeria anti-sinistra – sul voto della classe operaia e dei pensionati, cioè dei ceti più popolari del nostro paese. Si tratta del voto alle ultime elezioni politiche vinte dal centrosinistra sia pure per soli 25.000 voti (non però al Senato dove ne ebbe 250.000 in meno).

 Secondo lo studio in questione, al nord gli operai hanno votato in maggioranza abbastanza netta per il centrodestra; al sud la maggioranza è stata minima ma sempre favore dello stesso schieramento. Solo al centro – grazie soprattutto alla abbuffata nelle regioni (Emilia, Toscana, Umbria, Marche) di antico insediamento del PCI, con clientele assai consolidate – la maggioranza degli operai ha votato a sinistra. Complessivamente, in sede nazionale, vi è stata una lieve maggioranza per il centrosinistra. Quanto ai pensionati, hanno votato in maggioranza per il centrodestra al nord, al centro e al sud.

Ormai è chiaro che gli ex piciisti, senza più storia né tradizioni, hanno una base sociale totalmente mutata rispetto a quella del partito d’origine. Niente più rappresentanza maggioritaria dei ceti popolari e dei “mitici” operai; prevalgono impiegati pubblici (centrali e locali), in specie gli insegnanti e personale paramedico, qualche avvocaticchio, una parte del management, gente dello spettacolo e del mondo giornalistico, di quello culturale (tipo cineasti e scrittori), dei mille lavori nuovi, spesso inutili o comunque facenti parte di nuove abitudini nate con il benessere (in particolare per quanto riguarda la cura del corpo e della propria estetica), e quelli connessi in qualche modo al mondo dell’informatica e dintorni, svolti da “privati professionisti” ma che sono spesso abbondantemente sovvenzionati da Stato, Regioni ed enti locali, grazie a precisi favoritismi politici; ecc. ecc.

Del resto anche i sindacati non si trovano in condizioni migliori. La CGIL – sempre stata a maggioranza PCI – è composta per oltre il 50% di pensionati; anche nella CISL, sia pure per frazioni decimali, prevalgono questi ultimi (e ricordo che i pensionati hanno votato in maggioranza per il centrodestra). Solo la UIL (di gran lunga il sindacato meno numeroso) ha una chiara maggioranza di lavoratori ancora in servizio attivo. Nella CGIL, inoltre, circa il 20% degli iscritti è composto da immigrati, che non si può dire siano parte integrante della sua storia e delle lotte operaie di ben altri tempi. Ormai i sindacati sono apparati burocratici, dediti soprattutto alle pratiche fiscali e, non a caso, di immigrazione. Sono pagati per questi servizi – non sempre svolti con buona professionalità (perché di lamentele se ne sentono tante, pur se nessuno sa a chi altro rivolgersi) – dallo Stato e altri enti pubblici. Organizzano ancora degli scioperi – per la propria parte politica più che per difendere gli interessi degli iscritti – e qualche rumorosa manifestazione, sempre con gli stessi fini partitici.

Credo che sarebbe un gran giorno quello in cui fossero non più minimamente sovvenzionati dallo Stato e dovessero dipendere totalmente dalle quote dei loro iscritti; ancor meglio se fossero sciolti, lasciando perfetta libertà ai lavoratori di ricreare le loro organizzazioni di difesa, strettamente subordinate alle loro scelte. Oggi questi organismi si muovono, con burocratica imprecisione e inefficienza, soltanto nell’ambito del solito gioco della destra e della sinistra, essendo di supporto a quest’ultima ma anche chiedendo per i propri dirigenti e funzionari una compartecipazione al potere dell’apparato pubblico, che svolge le sue usuali attività – in stretto connubio con gli agenti della sfera economico-finanziaria – di riproduzione dei rapporti di dominio/subordinazione tipici della formazione sociale capitalistica.

 

In condizioni come quelle sopra appena accennate (ulteriori approfondimenti sarebbero utili), esisterebbero le condizioni per la formazione di una nuova e differente organizzazione politica – all’inizio quasi sicuramente un coacervo di gruppi simili eppur differenziati – che fosse nettamente distinta e antagonista rispetto alla destra/sinistra ancor oggi in lizza; e non dimenticando il centro, verso cui tendono ormai mille manovre, ridicole e meschine ma anche assai pericolose. Una nuova forza politica avrebbe spazio nei ceti popolari, ma dovrebbe abbandonare la mitologia del “partito della Classe”; dovrebbe nel contempo difendere le condizioni di lavoro e di vita dei ceti meno abbienti (non tutti appartenenti al lavoro salariato e tanto meno a quello operaio), ponendosi pure all’interno delle contraddizioni interdominanti (intercapitalistiche) e privilegiando non il semplice “pubblico” – seguendo l’imbecille impostazione lassalliana (e non marxista) dei tonti “marxisti” odierni (e dei piciisti d’antan) – bensì cercando di sconfiggere il parassitismo della GFeID, del raggruppamento tra poteri finanziari (legati a quelli americani) e industrie non più d’eccellenza, industrie di ormai passate epoche che vivono di “aiutini” statali grazie alla presa forte nei confronti degli schieramenti di destra/sinistra (e centro), ormai giunti ad un grado di degrado e di putrefazione che ne fanno degli zombies (che purtroppo mordono e portano alla morte gli ancora viventi).

Come ho già scritto recentemente, bisogna però uscire da questa ossessione – e vera “coazione a ripetere” – che tende a ricreare nuove sinistre a sinistra della sinistra. E’ indispensabile trovarsi per cambiare strada, dichiarare senza mezzi termini che questa “sinistra” (per quanti gruppi ancora “più a sinistra” riuscirà ad inventare; perché di creazione artificiale ormai si tratta) serve solo la GFeID, è oggettivamente d’appoggio ai gruppi parassitari esistenti in Italia, e di cui fanno parte a pieno titolo quei ceti sociali che costituiscono attualmente l’ossatura della sinistra (in particolare dei DS e, un domani, del partito democratico, questo fantomatico escamotage di chi appunto non ha più storia né tradizioni).   

Contro destra e sinistra (e centro), contro gli opportunisti e i creatori di nuove illusioni, uniamoci e lavoriamo ad un nuovo blocco sociale “virtuoso”, fatto di gente capace di colpire il parassitismo (e la subordinazione italiana) per ridare nuovo slancio all’insieme della nostra società. E se qualcuno difende ancora il suo “orticello” di presunta sinistra, che vada a c…… (scusate il finale in “volgare”).

 

13 aprile

 

* Dall’indagine risulta che nel Nord il 45,7 per cento delle “tute blu” ha votato per la Casa delle libertà e soltanto il 37,5 per l’Unione. Al Sud quelli che hanno votato per il centrodestra sono più di quelli che hanno votato per la sinistra: il 41,4 contro il 40,9 per cento. Nelle aree del centro-nord e del centro-sud fra le “tute blu” risultata più votata l’Unione, rispettivamente col 52 e col 47 per cento, contro il 30 e il 33 per cento della Casa delle Libertà. [NDR]