LA TRANSIZIONE DAL FEUDALESIMO AL CAPITALISMO NEL SUO SIGNIFICATO FILOSOFICO di M. Tozzato

 

L’idea del superamento delle due figure correlate della Borghesia e del Proletariato ad un dato grado di sviluppo della formazione sociale capitalistica appartiene sia a Preve che a La Grassa ma sicuramente il primo, filosofo di professione e profondo studioso di Hegel, ne comprende in maniera più immediata e completa la derivazione dalla figurazione hegeliana del Servo e Signore.

Con tutte le critiche, senz’altro giustificate, portate alla filosofia della storia in generale e in particolare a quella hegeliana risulta difficile negare che sia nelle Lezioni (nelle varie edizioni che ci sono state tramandate) che nella Fenomenologia dello Spirito gli spunti alla caratterizzazione storica e al coglimento delle  peculiarità delle società precapitalistiche si presentano numerosi e importanti e Marx ne risulta debitore in maniera notevole. Sia che si tratti della comunità di sudditi o della società di caste  (dalle quali Marx trarrà il modo di produzione asiatico) sia che il riferimento riguardi la formazione sociale schiavistica o la formazione sociale feudale europea si potrà trovare  in Hegel la capacità di rilevare proprio nei rapporti sociali uno degli elementi, se non il principale, capaci di determinare il senso di un epoca della vita di un popolo. E’ proprio a partire dalla figura dell’Autocoscienza nella Fenomenologia che il percorso  e il procedere prettamente teoretico del pensiero hegeliano si interseca con la dinamica dei rapporti pratici. Nel momento in cui la coscienza fenomenica scopre che la cosa in sé che dovrebbe sottostare ai fenomeni, e che per Kant risulta inconoscibile, non si riduce ad altro che non sia il puro riflettere, pensare, porre il problema, questa medesima coscienza  riconosce se stessa come verità del noumeno e perviene così alla coscienza di sé ( all’autocoscienza). Attraverso il rapporto pratico con l’oggetto l’autocoscienza come appetito viene determinata dal bisogno e dalla resistenza che l’oggetto stesso le frappone ma alla fine riesce a raggiungere il soddisfacimento e a superare l’ostacolo. Successivamente, nel rapporto tra Servo e Signore, l’autocoscienza, pervenuta all’oggettività mediante l’inglobamento e il superamento    dell’oggetto, riconosce in prima istanza l’altro come eguale a sé per poi, come è noto, ingaggiare quella lotta “a morte” in cui alcuni si sottomettono preferendo vivere da servi piuttosto che perdere la vita. Sono state scritte migliaia di pagine di commento su questi passi dei testi hegeliani eppure a volte chi legge fatica ad interpretare il significato generale della figurazione hegeliana ed in particolare il momento riguardante l’emancipazione del servo tramite il lavoro. Non è il Servo in senso proprio che compie il passaggio, ma il Borghese , non colui che svolge il lavoro (o meglio il pluslavoro) in maniera subordinata e alienata  ma una nuova figura sociale che tramite una iniziale accumulazione/appropriazione di mezzi di lavoro si trova nelle condizioni di poter comprare e comandare il lavoro (“vivo”) stesso. La transizione dal feudalesimo al capitalismo (se sia durata trecento anni o più se ne discute ancora) si esprime qui in linguaggio filosofico; l’essenziale è comunque che non si confonda la figura del Servo e del Signore con la finale emancipazione rivoluzionaria borghese e con la coppia Borghesia-Proletariato  diventata caratteristica della prima fase di instaurazione della formazione sociale realmente e non solo formalmente capitalistica. Lo sforzo operato da La Grassa in questi ultimi anni concerne, tra l’altro, anche  il riconoscimento delle scansioni interne allo sviluppo della formazione sociale del capitale nelle sua varie sfere, nella sua globalità, nelle sua varie dimensioni spaziali e temporali. Egli ha individuato e sta tentando di sviluppare l’analisi di quel momento tra il XIX e il XX secolo in cui è iniziato il dissolvimento della vecchia configurazione e la nascita della nuova, con tutte le grandi e tragiche conseguenze manifestatesi  nel periodo definito da Preve come quello del comunismo storico novecentesco. In questo momento in cui i paradigmi classici delle scienze sociali risultano in piena crisi (compreso il marxismo, certo, anche se siamo e eravamo convinti che è sulla sua base che bisogna ripartire per andare oltre) per non parlare degli epigoni che annaspano (Habermas e C.)

potrebbe essere utile rianalizzare il processo storico di nascita della scienza della società a partire del periodo a cavallo tra il XVIII e XIX secolo. Tanti sono i protagonisti importanti di questa vicenda ma Hegel è senz’altro uno di questi.

In una recente intervista data alla storica della filosofia Franca D’Agostini il filosofo americano Robert Brandom afferma:<<Kant ci ha insegnato che conoscere e agire sono fenomeni normativi, che ciò che rende speciali i nostri giudizi e le nostre azioni differenziandoli, per esempio, dai movimenti dei nostri corpi, è che essi implicano impegni specifici: responsabilità che siamo disposti ad assumerci, e a riconoscere. Hegel ha per primo osservato che questa normatività è socialmente istituita ed è legata all’occupare un posto e svolgere un ruolo sociale. L’idea di Hegel si sostituiva all’idea kantiana di libertà come capacità di essere responsabili, di assumere impegni, di esercitare un’autorità su se stessi: Kant apprezzava al massimo queste qualità , ma non fu mai in grado di spiegare il modo in cui agiscono in ambito sociale. La natura sociale della normatività è una acquisizione hegeliana>>. E in riferimento al rapporto tra Hegel e Marx così si esprime:<<Marx ovviamente ci ha dato una interpretazione della dialettica corrispondente ai suoi specifici interessi. Non condivido per esempio la premessa della critica marxiana all’idealismo: non credo che l’idealismo debba essere rimesso con i piedi per terra. Ma penso che ci sia una tradizione progressiva che inizia con l’assunzione da parte di Hegel dell’idea kantiana della normatività del giudizio su ciò che è propriamente umano, prosegue con la sua interpretazione di tale normatività come status sociale, e culmina con l’idea di Marx che le relazioni normative si istituiscono non soltanto nei confini di un singolo corpo umano, ma tra unità più ampie.>>

 

 

Mauro Tozzato                        15.05.2007