LO "SPETTACOLO" DEI SITUAZIONISTI

Vi proponiamo sul blog un passo tratto da un saggio di Anna Boschetti (docente di Letteratura francese all’Università di Venezia) dal titolo, La rivoluzione simbolica di Pierre Bourdieu, Marsilio 2003 (cit. pag.11).  Lo facciamo perchè, secondo noi, le affermazioni contenute nel brano descrivono efficacemente l’autoreferenzialità di certe teorie che "incantano" quanto più sono falsamente critiche della società capitalistica (e che proprio per questo vengono accettate dai "salotti intellettuali"). Possiamo dire, con paradosso dissacrante, che i Baudrillard e i Debord hanno preso  il davanti della scena perché la società dello spettacolo, quella che loro tentavano di criticare, li ha resi à la page. In realtà, queste pseudoteorie sono fondate su basi talmente irrealistiche che la sussunzione sotto l’egida del pensiero dominante era inscritta da sempre nel loro DNA. Certo non si può direttamente dare la colpa a Debord di aver fatto da "padre " involontario a quella pletora di psicologi, sociologi, tuttologi che oggi appestano i media con le loro litanie sulla società dello spettacolo, sullo scollamento sociale, sui modelli televisivi che essi stessi contribuiscono a rimpinguare (e costruire) ad ogni banalità proferita. Ma, a scanso di equivoci, anche noi vogliamo offrire il nostro piccolo contributo per contrastare i "fast thinkers" (così come li ha definiti Bourdieu)  di cui abbonda anche il panorama intellettuale italiano. Ma ora vi lasciamo alla succosa lettura di questo passo.

 

<<Come Bourdieu ha mostrato nelle sue analisi, i dominanti tendono alla conservazione dell´ordine simbolico cui è associata la loro posizione, e il successo delle eresie è affidato ai nuovi entranti che hanno interesse a sovvertire quest´ordine. Ma il modo di riproduzione della nostra università fa sì che i nuovi entranti siano pochi, e poco disposti a mettere in discussione il pensiero dei maestri da cui sono stati formati e da cui dipende la loro carriera.

La visione dissacrante della cultura proposta da Bourdieu non ha neppure i requisiti per piacere ai filosofi e ai filologi. L´entusiasmo di Rossana Rossanda non è sufficiente, perché mette in luce soprattutto l´impegno politico di Bourdieu, senza far vedere il lavoro scientifico e teorico che distingue la sua posizione. In Italia continuano a passare per maestri di pensiero, molto tradotti, molto letti e molto citati, quelli che Bourdieu chiamava i "fast thinkers", i Baudrillard e i Debord, autori di "teorie" inafalsificabili e seducenti, che dispensano dalla fatica di capire davvero, proponendo semplici chiavi passe-partout, false evidenze che danno l´illusione di capire riportando tutto ad un aspetto che non è una spiegazione ma un effetto (la "società dei consumi", la "società dello spettacolo"). Sono quelli che parlano di "mutazioni" epocali, oppure propongono spiegazioni ultime, suggestive, sull´"essenza", le profondità "insondabili" del reale, previsioni sulle grandi tendenze del pianeta, spiegazioni psicoanalitiche che riducono i mali del mondo a problemi personali, da affrontare con soluzioni individuali. "Maestri" nefasti che, alimentando le illusioni, le mitologie e l´onirismo, contribuiscono alla conservazione dell´ordine sociale da cui proviene il disagio esistenziale.>>

Riceviamo e pubblichiamo:

Brevi Note sulla proprietà privata

La proprietà privata deve essere soppressa come rapporto sociale, come generatrice di ricchezza e di competizione.

Il problema fondamentale, di cui molti pseudo-marxisti, oggi  liberali, non si avvedono, è che non è la distribuzione della proprietà privata tra le persone (più iniqua o meno iniqua) ad essere determinante, quanto piuttosto l’esistenza stessa della proprietà privata come rapporto sociale ed economico. Il giudizio su una comunità non può essere dato in base alla distribuzione della proprietà tra la gente (come vorrebbe la teoria del "siamo tutti proprietari al giorno d’oggi"), ma sulla maniera di relazionarsi delle persone tra di loro a livello economico, cioè sulla base della concorrenza (come presuppone l’esistenza della proprietà privata come rapporto giuridico) o sulla base della cooperazione.

Bisogna spostare l’attenzione dalla proprietà privata (dove con essa intendiamo un rapporto sociale di competizione e/o di sfruttamento) alla proprietà propria, cioè ciò che ci appartiene in quanto fonte di valore d’uso (una casa, una terra coltivata, dei vestiti, etc.) ovvero  tutto ciò che è utile all’esistenza. La proprietà propria unita a quella collettiva pubblica sono le due forme corrispondenti alle reali necessità dell’uomo, fatto di intimità e  personalità e di spirito comunitario allo stesso tempo.

Comunità comuniste danno alla proprietà un esclusivo valore d’uso o valore affettivo, cioè valore di appartenenza, di storia, di tradizione. Il personale, ciò che ti appartiene perché è tuo, quindi è invendibile in quanto possiede un valore non mercificabile, si affianca al collettivo, ciò che è in comune (il lavoro cooperatvio, i servizi, le terre comuni, i boschi, la natura, etc.).

Oggi molti credono che con la diffusione capillare della proprietà (sotto forma di titoli azionari o di case…cosa peraltro assolutamente falsa nei fatti) si possa superare il capitalismo da sfruttamento). Nulla di più falso e ingenuo.

Come Marx insegna, la proprietà in sé è il presupposto per la formazione di monopoli sempre nuovi. E anche qualora esistesse una reale diffusione proprietaria con una reale diffusione delle ricchezze, questo non cambierebbe il motivo dominante della società capitalistica, fondata sull’appropriazione e la rapina, e la concorrenza tra proprietari permanente.

Lorenzo Dorato

Comunità e Resistenza