Vi proponiamo un documento scritto dal prof. Alvaro Belardinelli del Liceo Mamiani di Roma, il quale lamenta la crescita di disagi e di pressioni sul mondo della scuola (in termini di accelerazione dei ritmi lavotativi e della produttività senza contropartita adeguata, nè dal punto di vista economico nè da quello qualitativo). In realtà, si sta assistendo solo ad un deterioramento generalizzato delle funzioni e dei compiti che questa istituzione ha tradizionalmente assolto, con la mortificazione di discenti e di insegnanti.
SCUOLA: DOVE SI STA ANDANDO? di Alvaro Belardinelli
Nel Paese di Pulcinella si è finalmente deciso di fare sul serio. Per rimediare alla farsa dei debiti e dei crediti (termini ragionieristici da partita doppia con i quali il ministro D’Onofrio nel lontano 1994 affossò gli esami di riparazione) si è pensato ad una commedia di tipo nuovo: i corsi di recupero. Parole già sentite? Sì, ma stavolta non si scappa: c’è la verifica finale. Ancora una volta noi insegnanti ci siamo empiti il cuore di speranza, credendo che la finalità fosse far studiare di più gli studenti riottosi; ma ci siamo dovuti presto render conto che lo scopo era ben altro: far lavorare di più gli insegnanti, e con maggiore disagio. Bene, molti di noi non sono disposti ad accettare questa fasulla politica del “rigore”. Vediamo perché.
1. Il modo in cui negli ultimi mesi le autorità di governo hanno affrontato l’argomento “corsi di recupero” è un messaggio subliminale alla nazione: “Gli studenti vanno male perché gli insegnanti lavorano troppo poco; dunque bisogna aumentare l’orario di insegnamento frontale”. Conseguenza: aumento surrettizio dell’orario di insegnamento degli insegnanti, per di più fuori busta, quindi non pensionabile: in altre parole, lavoro nero legalizzato. Peraltro, pagato come al solito con nove o dieci mesi di ritardo. Con la prospettiva, nondimeno, di vedersi aumentata l’aliquota fiscale: danno che si aggiunge alla beffa. Malgrado sia attualmente ancora facoltativo per noi docenti, il corso di recupero rischia comunque di diventare un primo passo verso il superamento delle diciotto ore. Eppure nessun Paese civile costringe gli insegnanti di scuola superiore a stare in classe per un tempo maggiore di questo, pur pagandoli almeno 900 euro più di noi. Qualunque persona che conosca il nostro mestiere sa che esso è più impegnativo di quello di un impiegato; e lo sanno le nostre mogli, i nostri mariti, i nostri figli, che ci vedono lavorare spesso fino a notte per terminare tutto quel lavoro sommerso che negli altri Paesi i nostri colleghi possono ultimare in comodi uffici personali all’interno delle loro scuole pubbliche, con biblioteche attrezzate e computer personali di proprietà dello Stato! Non si possono fare nozze sontuose a base di fichi secchi!
2. Per anni ci è stato raccontato che non c’erano soldi per gli aumenti; come mai improvvisamente si trovano milioni e milioni di euro per costosissimi corsi di recupero? Non sarebbe forse più giusto finanziare un dignitoso aumento dello stipendio per tutti, soprattutto dopo le promesse elettorali cui la categoria ha ancora una volta “abboccato”? La risposta è ovviamente affermativa, a patto che si abbia la volontà reale di investire sulla qualità e sulla dignità del nostro lavoro, anziché sprecare denaro pubblico in operazioni di maquillage! Non gettiamo fumo negli occhi dei cittadini! Non trattiamoli come clienti di un’azienda, preoccupata solo della customer’s satisfaction! Se si devono spendere soldi per
3. Se si vuole aiutare gli alunni a comprendere meglio le discipline insegnate, ebbene si diminuisca sensibilmente il numero di alunni per classe! Solo così sarà possibile la famigerata individualizzazione dell’azione educativa, impossibile in classi di trenta allievi, caldissime da marzo a novembre, nelle quali non si può aprire la finestra per non esser storditi dal chiasso della strada!
4. I colleghi riflettano: se i nostri amministratori ci danno più soldi per i corsi di recupero, ci stanno semplicemente pagando ore di lavoro straordinario! Ore che non ci verranno pagate se ci ammaleremo! Ore che non verranno conteggiate per la nostra già miserrima pensione! Non ci stanno concedendo quel legittimo aumento di stipendio che ci spetta, dopo anni di miseria! Come possiamo continuare a mantenere le nostre famiglie, oggi, con salari da 1.400 euro netti? E, piuttosto, perché non rivendichiamo una giusta retribuzione anche per tutte quelle ore di lavoro non pagate che ci vedono impegnati negli organi collegiali? Siamo o non siamo professionisti? Ebbene, i professionisti si pagano! E profumatamente! È eresia dirlo?
5. Da almeno vent’anni la nostra categoria è fatta oggetto di continui attacchi riguardanti la nostra “poca” professionalità, la nostra “scarsa” preparazione, il nostro “limitato” orario di lavoro. La nostra risposta è sempre stata la civile, paziente e silenziosa sopportazione della calunnia, l’accettazione dell’aumento costante del carico di lavoro: un lavoro sempre più rigidamente e ridicolmente burocratizzato, con l’obbligo crescente di riempire montagne di carta, quasi a “giustificare” qualsiasi nostra scelta di fronte a un controllore (l’Amministrazione) che in realtà non controlla ciò che veramente conta, cioè la qualità reale del nostro lavoro. Eppure è proprio grazie alla qualità del nostro lavoro quotidiano che si deve la sopravvivenza della Scuola pubblica italiana, malgrado essa non sia stata governata spesso da ministri che abbiano esercitato la nostra professione! La qualità del nostro lavoro è fatta di ore, minuti, secondi di concentrazione continua ed estenuante, nonché di attenzione incessante e partecipe verso l’unica componente che conti veramente nella Scuola di uno Stato democratico: i ragazzi, cittadini di domani, futuro prossimo della vita di noi tutti, soggetti del diritto allo studio! Ragazzi che vanno educati alla responsabilità personale, non alla promozione facile! Se l’Amministrazione è convinta che noi non lavoriamo, ebbene, faccia essa per prima il proprio lavoro, e controlli una buona volta quanti di noi non sono “produttivi”! Smetta l’Amministrazione di sparare nel mucchio per incapacità di fare chiarezza su chi lavora e chi no! Siamo pronti a essere controllati maggiormente, ma sul concreto, non sulla compilazione di pezzi di carta! Il nostro non può essere un lavoro da burocrati: non produciamo pratiche, ma guidiamo nella crescita le persone! Non produciamo promossi, bocciati e verbali, ma diffondiamo la cultura di questo ingrato Paese e difendiamo i valori su cui la nostra Costituzione si fonda! È giunto il momento che tutto questo ci venga riconosciuto: non si può colpevolizzare un’intera categoria per il torto di pochi isolati, che fanno notizia proprio perché sono eccezioni che confermano la regola.
6. Si sta limitando ulteriormente il tempo disponibile per le nostre ferie. Il nostro lavoro, per sua natura, ha tempi diversi dagli altri; necessita inoltre di tempi di recupero più lunghi degli altri, come in tutta Europa è assodato (vedasi l’anno sabbatico, che da noi è eresia pura, mentre altrove è istituzione riconosciuta). Ciò è noto, evidentemente, a chi questo lavoro lo conosce per averlo svolto; non è noto, altrettanto evidentemente, a chi ci amministra con mentalità da direttore del personale di una fabbrica, preoccupato solo di bilanci da far quadrare e di massimizzazione del profitto. Ma ammettiamo per un momento (anche se non lo concederemo mai) che sia lecito effettivamente ridurre le nostre ferie a 32 giorni, come quelle degli impiegati più sfortunati: ebbene, allora anche noi, come quegli impiegati, dobbiamo a quel punto esser liberi di sceglierci il periodo di ferie, indipendentemente dalle pause naturali della Scuola! Non è possibile (né costituzionalmente legittimo) che ci si costringa a prenotare alberghi e appartamenti esclusivamente dal 20 luglio al 20 agosto, in altissima stagione turistica, quando i prezzi sono quadruplicati rispetto agli altri periodi dell’anno e ogni località turistica è superaffollata! Inoltre ci si dovrebbe spiegare quale articolo del contratto potrebbe obbligarci a una simile umiliante servitù!
7. Se si vuole tenere in classe noi e i nostri allievi in periodi dell’anno in cui la temperatura atmosferica sfiora i quaranta gradi centigradi, si dotino le classi di aria condizionata! Ne va della salute di alunni e professori: non prevede nulla in proposito la legge 626?
8. Come sempre alla vigilia del rinnovo contrattuale, per giustificare la miseria degli “aumenti” con affettuoso disprezzo gettati nei nostri stipendi, i Governi di qualsiasi colore diffondono, tra i fedeli pennivendoli della carta stampata, veline dal tono intimidatorio del tipo: “Gli insegnanti sono tra i principali evasori fiscali”. La fola è sempre la stessa, usata per tapparci la bocca: con le ripetizioni private gli insegnanti si arricchiscono, frodano il fisco e dissanguano la nazione. Dobbiamo trovare il coraggio di dire una volta per tutte, forte e chiaro in questo Paese di Acchiappacitrulli, che gli evasori non siamo certo noi, che paghiamo 500 euro di tasse al mese proprio per colpa dell’evasione vera: quella delle grandi aziende, che eludono o evadono le imposte per miliardi di euro, sottraendo all’Italia, a tutti noi lavoratori dipendenti, ingenti capitali che finiscono nei paradisi fiscali di tutto il mondo, come sanno persino i nostri bambini! Il re è nudo! Si gioca ai danni della nostra categoria (debole e scarsamente sindacalizzata) lo stesso giochetto che tutti i regimi escogitano ai danni delle minoranze perseguitate, capro espiatorio dei guasti provocati dalla malafede di chi comanda!
Invitiamo pertanto tutti i colleghi a vigilare affinché non vengano inflitte altre ferite alla nostra categoria e alla Scuola Pubblica, gangli vitali per la democrazia e per il futuro di questo sventurato Paese. La nostra opulenta classe politica, così satolla da avere ormai perso qualsiasi percezione della vita reale, dimentica che esiste un limite oltre il quale non è eticamente lecito calpestare i diritti e l’intelligenza delle persone. Specialmente delle persone meritevoli, che fanno vivere la nazione con il proprio lavoro quotidiano, e che hanno conquistato quel poco che hanno con i propri mezzi e la propria onestà.