IL NEMICO ALLE PORTE

Dalla vicenda delle liberalizzazioni si evince quanto, in realtà, il gran parlare del mercato, delle sue capacità di generare equilibri virtuosi, della competitività tesa  all’abbassamento dei costi (dagli enunciati di Smith a quelli di Ricardo insomma), siano aspetti di una giustificazione ideologica che hanno lo scopo di stringere la morsa contro alcuni blocchi sociali. Ancora una volta vale la massima per cui la gran parte delle spiegazioni sul mondo sono giustificazioni. Quando però ad essere toccati sono strati più o meno privilegiati della società si alzano barriere corporative, si denuncia che la competitività è l’anticamera dei cartelli e che, alla fine, i servizi peggiorano invece di migliorare. Si prosegue con la prosopopea di alcuni professionisti che si attaccano alla loro “nobile storia”, come fanno i notai i quali, tutti lo sanno, sono una casta nepotistica che si passa lo scettro come i Luigi di Francia. Per non parlare dei farmacisti preoccupati della vendita dei medicinali da banco nei “mega-ipermercati” (gli unici che sembrano avvantaggiarsi delle norme contenute nel ddl) e degli avvocati i quali temono la contrattazione delle tariffe con i clienti e che per questo hanno proclamato uno degli scioperi più lunghi per la categoria. Dice bene La Grassa, hic Rodhus, che si tengano le liberalizzazioni e non rompano i coglioni.

Il mondo del lavoro dipendente, da questo punto di vista, è sotto attacco permanente da parte dei guru liberisti e conosce benissimo la situazione che, negli anni precedenti, è sfociata in una caterva di leggi tese a smembrare, con l’imprimatur di un sindacato compiacente, le garanzie conquistate in anni di dure lotte. Proprio il sindacato utilizza la tattica del divide et impera per orientare le proprie strategie, così mentre difende a spada tratta le categorie che gli permettono di sedere al tavolo imbandito dei dominanti, lascia fuori dalla porta i lavoratori non garantiti, i parasubordinati e i precari. Da ciò si comprende come l’azione dei nostri dominanti finanziario-politici è tutta tesa al rafforzamento di un’ alleanza di blocchi sociali che va dalle grandi imprese decotte che si aggrappano allo Stato sino alle Confederazioni Sindacali, rappresentative ormai solo dei pensionati e dei lavoratori a tempo indeterminato (soprattutto del settore pubblico) che godono ancora del privilegio dell’inamovibilità e dell’illicenziabilità.

Come abbiamo già ampiamente ribadito in altri contributi non siamo per la difesa del privilegio “familistico” delle professioni coinvolte nelle liberalizzazioni, non ce ne dispiace affatto ma, evidentemente, le priorità sono altre. Tuttavia, e tanto meno, possiamo condividere la difesa sindacale di sacche di lavoro statale e di pensionati (con le dovute distinzioni tra pensioni elevate e quelle al limite della sussistenza) se ciò vale per escludere dalle garanzie sociali i giovani disoccupati e i precari di tutti i settori economici.

Il governo di centro-sinistra, con i suoi ineffabili tecnici e i politici di professione, transfughi immemori di antiche ideologie che un tempo avevano una qualche dignità, stanno facendo di tutto perché il male pervada l’organismo sociale, si limitano ad attaccare qualche metastasi qui e là per dare il senso di un movimento apparente che non salverà un corpo giunto al suo stadio terminale.

Da questo punto di vista la vicenda degli 007 del Sismi e dei giornalisti “aiutanti” che taroccano la verità in nome della guerra di civiltà (salvo farsi poi ricompensare con pecunia), i quali hanno permesso agli Americani di portare a termine, in territorio italiano, il rapimento dell’Imam di Milano Abu Omar, è sintomatico del servilismo del nostro Stato nei confronti del paese dominante. Dovrei essere più drastico è dire che siamo un paese a sovranità limitata, ma avrei scoperto solo l’acqua calda da quando, nel secondo dopo guerra, è partito il piano Marshall. Il Presidente Emerito Francesco Cossiga protesta e chiede un intervento del Parlamento e del Governo contro la Procura di Milano a difesa degli uomini del Sismi coinvolti nelle vicenda, probabilmente prima che sia arrivi ai veri “mandanti” del fattaccio. Di fatti, il maresciallo Pironi ammette che il governo sapeva e, quanto meno, non frapponeva ostacoli all’operazione. Il terrorismo impone fermezza e non importa se occorre sospendere l’ordinamento giuridico italiano, salvo far capire agli italiani che la parola terrorismo è solo un contenitore semantico da riempire, di volta in volta, con spiegazioni di comodo. Ma se il terrorista è uno che attenta all’ordine costituito, alle leggi che lo Stato si dà per il suo funzionamento (e che in uno Stato realmente democratico sono frutto di una processualità orientata al coinvolgimento di tutta la collettività, minoranze incluse) allora come dobbiamo definire il giornalista di “Libero” Farina? E come definire chi oggi lo difende per aver violato le leggi che il popolo italiano si è dato per la propria vita sociale? Per Mussolini i partigiani erano terroristi perchè attentavano all’ordine costituito e chi li proteggeva era loro fiancheggiatore (per quanto i partigiani avessero ragione in quanto corroborati da un ideale di giustizia e libertà). Per Farina non c’è nemmeno questa attenuante, ha asseverato l’azione della Cia e del Sismi, in appoggio all’ubbia di uno scontro di civiltà fomentato dalle menzogne e dagli interessi egemonici degli Usa e dei suoi giannizzeri europei. Per cui lui andrebbe processato per alto tradimento e chi lo sostiene per fiancheggiamento.

In Europa, purtroppo, non va affatto meglio, i francesi che avevano preso posizione contro la guerra in Irak mandavano i propri agenti segreti ad interrogare i prigionieri detenuti a Guantanamo, a sostegno della tesi che i loro sussulti nazionalistici sono più spesso belle parole che non trovano riscontro nei fatti. Da ciò si deduce che in Europa non esiste più nessuno che abbia il coraggio di porre un freno alla strapotere americano e lo stesso asse franco-tedesco, ultima speranza per un futuro indipendente dell’Europa, è stato sepolto definitivamente dai governi di questi due paesi orientati ad arroccarsi sotto l’ala protettiva statunitense. Ancora una volta è meglio l’uovo oggi…

Un’ala protettiva che diventa sempre più eclissante, che allunga i propri tentacoli in ogni direzione, che impaurisce anche col solo rivolgere qualche raccomandazione ai vari governi attraverso gli innumerevoli organismi finanziari, i quali stabiliscono con dati, numeri e spiegazioni economiche ammantate di scientificità cosa è bene e cosa è male per l’economia mondiale, cioè per l’economia USA.

Le ultime vicende delle elezioni messicane rompono, inoltre, gli ultimi dubbi che qualcuno poteva nutrire sullo strumento del voto come espressione più alta del processo democratico. Le elezioni sono sempre più fasulle, si stabilisce in anticipo chi deve vincere (e lo sa bene il povero moderato Obrador) e ciò non vale solo per gli Stati che da sempre hanno dovuto subire le ingerenze del vicino più potente (come il Messico appunto) ma vale anche per paesi cosiddetti a democrazia “matura” come l’Italia. Basta solo guardare a quello che è successo con la “circoscrizione estero” dove le schede elettorali sono sparite o non sono mai arrivate a destinazione. In Italia le avvisaglie ci sono tutte, il regime mette i suoi primi passi ed ha nella collusione finanziario-politica la sua punta più avanzata. Gli attori li conosciamo, sappiamo anche i loro “nomi e cognomi”, i loschi figuri  che trasversalmente siedono in patti di sindacato, banche, industrie e servitù confederal-sindacali nonchè, ovviamente, politiche.

Fortunatamente ci sono i coreani che, ogni tanto, ci risollevano il morale.