LA BIANCA BALENA
Come bene ha detto Costanzo Preve in un suo precedente scritto, il Centro politico italiano, inteso come luogo politico ideale di apparente ricomposizione “moderata” degli interessi sociali tra “classi” subalterne e “classi” dominanti, è sempre stato lo spazio dove si sono coagulate e si sono messe in atto le trame più oscure degli anni della Prima Repubblica, quelli delle bombe, degli attentati, delle stragi (di Stato). Il Terrore, propriamente inteso, non è mai stato né di destra né di sinistra, quanto soprattutto di centro.
In Italia, già all’indomani della dissoluzione della precedente classe dirigente, spazzata via dall’operazione Mani (poco)Pulite (ma molto interessate ad un “pilotato” cambio di regime su commissione, dopo la caduta dell’URSS), si è tentato invano di ricostituire la vecchia “balena bianca”, il mastodontico animale che per un cinquantennio circa aveva legato a sé le “migliori” famiglie del capitalismo italiano, la finanza criminale, le mafie del sud, gli interessi della chiesa ma anche spezzoni di apparati legati al lavoro dipendente ed assistito. Questo grazie, soprattutto, ad un ceto politico professionale capace di tenere insieme di tutto e di più, di fare compromessi pure col diavolo e di coinvolgere nella gestione del potere un altro grande pachiderma che controllava, a sua volta, un esteso blocco sociale, espressione delle classi lavoratrici e di una parte della piccola e della media borghesia italiana (e senza il quale difficilmente si sarebbe potuta garantire la pace sociale necessaria ad agire secondo precise direttrici di accumulazione e di sviluppo). Ovviamente, la supervisione generale era nelle mani del grande alleato americano sotto il cui ombrello si sentivano tutti protetti, PCI incluso. Condizioni storiche davvero particolari che avevano consentito di creare equilibri mondiali stabilizzati, direttamente scaturenti dal campo gravitazionale formatosi tra queste due sfere contrapposte, quella dell’imperialismo Usa e quella del c.d. “socialimperialismo” dell’Urss. Il resto delle nazioni finiva attratto dal "grande magnete" dell’una o dell’altra area senza poter decidere delle grandi strategie globali ma godendo di una relativa autonomia nelle questione più locali, o in quelle meno incidenti sugli assetti consolidati della politica dei blocchi contrapposti.
Adesso le situazione storica è completamente mutata, i transfughi della DC hanno occupato un altro spazio politico e si sono distribuiti, a dire il vero molto poco equamente (più a sinistra che a destra), tra i due schieramenti formatisi dopo il breve vuoto di potere politico apertosi nei primi anni ’90. Qui il centro ha continuato a mantenere un proprio ruolo ma come appendice poco gradita della destra(iperliberista) e della sinistra(liberaldemocratica). Quest’ultima è nata dalla costola del vecchio pachiderma piccìsta il quale riuscì, nel marasma del dopo ‘89, a dare velocemente avvio ad una metamorfosi (inscritta ormai da tempo nel suo patrimonio genetico) che per conclamarsi necessitava, tuttavia, di un palingenetico mutamento degli scenari internazionali (come poi avvenne), in primis la fine del dualismo USA-URSS. Achille Occhetto dirà candidamente, appena dopo la svolta della bolognina: “Nell’87 noi cogliemmo che una lunga stagione politica del nostro paese si era ormai conclusa. Quella del consociativismo, quella — come dicemmo — legata all’idea che l’incontro tra le grandi forze politiche popolari fosse necessario e sufficiente a produrre rinnovamento."Nell’89 ci siamo misurati con il collasso dei regimi autoritari dell’Est europeo e con la fine dell’epoca della guerra fredda; con la fine dell’ordine internazionale — e anche interno — che aveva come quadro di riferimento ineludibile una certa configurazione, quella della contrapposizione tra blocchi.“Il Pci, nessuno può discuterlo, ha fatto la sua parte. Ma, appunto, tra l’87 e l’89 abbiamo preso consapevolezza che tutto ciò, una grande eredità, era alle nostre spalle. Che tutti dovevamo ricominciare". Parole che non celavano affatto il coinvolgimento del PCI negli “affari” del precedente regime (ma che pure non spinsero la magistratura di Mani Pulite ad indagare in tale direzione) e che sarebbero state impronunciabili, quanto impensabili, senza la caduta dell’URSS. Il ceto dirigente comunista si vestì di nuova cultura e si candidò a sostituire, in questa sua nuova veste, il ceto politico DC. Una astuzia della storia, con la discesa in campo di Berlusconi, impedì ai nipotini di Togliatti di fare una bella ciambella col buco.
Ma dopo gli sbandamenti degli inizi, appunto, il ceto politico democristiano (ormai costretto a rifugiarsi all’ombra di questi due nuovi schieramenti) ha ricominciato a coltivare il sogno di ridare vita e di ricostituire la grande DC. L’attuale situazione d’imputridimento generale della società italiana li sta illudendo sulla possibilità di recuperare la funzione e gli spazi di autonomia politica miseramente perduti negli ultimi quindici anni. Tuttavia, si tratta di un progetto anacronistico che, pur se realizzato, dovrà proporsi con obiettivi e riposizionamenti completamente differenti (che serviranno solo a rendere più confusa la situazione generale in via di inarrestabile peggioramento). Ovvero riconquisteranno spazio e potere solo se gli attuali sub-dominanti italiani (finanziari e industriali) li considereranno atti a svolgere un ruolo di copertura del loro continuo "succhiamento" a danno delle ormai scarne risorse del nostro sistema-paese. Se il centro-sinistra non si rivelerà abbastanza funzionale allo scopo potrebbe aprirsi anche questa opzione. La storia, difatti, non si ripete quasi mai (se non nella sua versione più farsesca) e le condizioni politiche, sociali, economiche non sembrano, almeno per ora, affatto favorevoli a tale velleitario progetto. Anzi, è molto probabile che, alla fine, così come accadde nella Repubblica di Weimar (dove la corruzione e la debolezza del ceto governante faceva tutt’uno con gli interessi della finanza internazionale più becera e parassitaria), tale peggioramento generalizzato finisca per spianare la strada alla violenza e agli istinti più bassi dei ceti sociali che più si “sentono” vessati socialmente ed economicamente e che potrebbero trovare rappresentanza presso una nuova forza politica capace d’incarnare tali risentimenti (proprio come fece il partito nazista). Ma per arrivare a questo punto dovrà scorrere ancora “fango” sotto i ponti. Che si tratti di putridume centrista, socialdemocratico o liberista poco cambia. L’Italia deve mandarli tutti a casa, sono loro il cancro che sta corrodendo il nostro tessuto sociale e che ci costringerà ad una sudditanza ed ad una decadenza che durerà finché il barile non finirà bucato a forza di raschiamento. Dobbiamo liberarcene al più presto per invertire la rotta.