TRA TEORIA E PRASSI (di M. Tozzato)
I Greci antichi (ripresi dalla Arendt) distinguevano tra prassi (morale e politica) e poiesi (fare, produrre); la teoria e la pratica (poietica) quando sono orientati in senso morale e/o politico divengono prassi, perciò la “pratica teorica” di Althusser era prassi al contrario delle filosofie di Severino e Bodei (a meno di non intendere la “politicità” in un senso talmente ampio da togliere ogni significato a questo concetto). Ma il rapporto tra teoria (scientifica) e pratica (poietica) può valere in termini immediati solo per chi padroneggia gli strumenti di analisi in maniera piena, per chi cioè ha raggiunto “l’illuminazione”: Gesù di Nazareth, Sakyamuni, Kong-zi, Lao-zi, Muhammad, Marx, La Grassa, Preve ecc.. Per i comuni mortali, per la “massa” (seppure divisa in gruppi) sono necessarie alcune mediazioni di carattere simbolico o che mettano in gioco elementi affettivi, emotivi, che facciano leva su messaggi semplificati, che utilizzino quelle che vengono chiamate “dottrine”, “ideologie”, “costruzioni mitopoietiche” e altro. Si utilizza la riflessione filosofica per rapportarsi ai diversi livelli di coscienza che sono presenti nelle storie delle vite individuali come nella storia della società intesa come historia rerum gestarum o storiografia. Ho scoperto l’ “acqua calda” ?! E in effetti molti anni fa, in maniera forse un pochino complicata, Giorgio Hegel ci ha mostrato nella Fenomenologia dello Spirito un modo di affrontare questo problema e nella sua esposizione sistematica dello “Spirito” abbiamo potuto vedere la potenza materiale dell’economico, del politico e delle strutture che a partire da queste potenze si formano nell’intreccio con le costruzioni intenzionali, i fini, i bisogni, i desideri e i valori che gli esseri umani scoprono e si danno per rapportarsi gli uni agli altri. Nella misura in cui il “principio di individuazione” raggiunge nella formazione sociale capitalistica il suo massimo punto di sviluppo, il livello massimo di atomizzazione sociale, mi pare che, inoltre, affermare qualcosa che non significa nulla per chi osservi esclusivamente la metodologia delle scienze sociali (quelle non fondate però sulla matematizzazione di un inesistente equilibrio generale o parziale ma su relazioni tra simili-opposti in conflitto [negazione determinata]) ovvero che apparteniamo ad un unico genere umano in senso biologico e probabilmente linguistico-cognitivo (Chomsky,1973) e che quindi abbia senso discorrere, certo in maniera sobria, di “natura umana” non mi sembra tanto fuori luogo, oserei dire anzi che risulterebbe perfino opportuno.
Mauro Tozzato 11.12.2006