Lo stato di eccezione
“Sovrano è chi decide dello stato di eccezione”.
Qualora il postulato di Carl Schmitt risulti valido e applicabile a qualsiasi situazione politica si evincerebbe il fatto che in Italia regna un sovrano assoluto, impersonato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il quale ha fatto leva sulle pesanti pressioni internazionali esercitate dai grandi organi informativi (The Economist, Wall Street Journal, ecc.) di riferimento dei poteri forti angloamericani (Gruppo Rothschild, Rockefeller, ecc.) per proclamare l’assodata “impotenza della normatività” comune e la conseguente apertura di uno stato di eccezione squisitamente politico.
Lo schema logico che ha determinato la presente svolta politica verte sulla sostanziale inadeguatezza di Silvio Berlusconi e della sua risicata maggioranza parlamentare incapace di smarcarsi dal suo rigido immobilismo perché minata da continui cambi di schieramento e perché impegnata a tempo pieno ad assecondare le necessità del Primo Ministro che vertono sull’elusioni dei vincoli processuali che gravano sul suo conto.
L’inarrestabile inerzia immobilista innescata dal governo Berlusconi, che malgrado le innumerevoli battute d’arresto ha ricevuto regolarmente la fiducia richiesta al Parlamento, avrebbe quindi esasperato la situazione politica italiana, che necessitava di urgenti riforme in campo economico per far fronte alla tremenda crisi mondiale aggravata dall’attacco speculativo all’euro e in particolare agli anelli deboli dell’Unione Europea rappresentati dai cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna).
Qualcosa di affine è accaduto in Grecia, dove l’ostinata e strenua resistenza opposta dal Primo Ministro eletto George Papandreou alle regolari pressioni dei poteri forti internazionali esercitate attraverso i soliti organi di stampa si è conclusa con l’apertura di uno stato di eccezione analogo a quello italiano, dettato anch’esso dall’esigenza di promuovere l’instaurazione di un governo capace di applicare le misure necessarie al superamento della crisi vigente.
Dal momento, quindi, che il regolare svolgimento della vita politica di entrambi i paesi era compromesso dall’irresponsabilità e dall’incapacità dei loro rispettivi governi, sono stati indetti due stati di eccezione speculari e paralleli allo scopo di aggirare il normale ordinamento democratico insediando “d’autorità” quegli elementi dotati delle competenze necessarie a “riequilibrare” la situazione al di fuori di ogni consenso popolare.
Se in Italia è Mario Monti a sostituire il dimissionario (o meglio “dimissionato”) Silvio Berlusconi, in Grecia è Lucas Papademos a succedere all’uscente George Papandreou.
Sia Monti che Papademos hanno alle spalle un’esperienza consolidata da numerosi riconoscimenti accademici negli Stati Uniti e hanno in comune l’aver svolto ruoli di rilevanza nell’ambito delle grandi banche d’affari statunitensi (Goldman Sachs) e della Commissione Trilaterale, l’organizzazione fondata da David Rockefeller e Zbigniew Brzezinski nel 1973 allo scopo di isolare l’Unione Sovietica in vista di un suo graduale strangolamento.
L’integrazione continentale dell’Europa e la formazione di un subcontinente estremo – orientale (oltre all’adozione di rispettive valute transnazionali come l’euro e uno yen asiatico) sotto l’egida statunitense sono di fatto operazioni geopolitiche escogitate in quel pensatoio proprio in funzione dell’accerchiamento dell’heartland finalizzato all’integrazione graduale della Russia nella logica omogeneizzante dell’atlantismo.
Il fatto che siano stati chiamati individui dal simile curriculum a traghettare Italia e Grecia verso più luminosi lidi colora di tinte fosche l’intero quadro dell’operazione, specialmente alla luce del fatto che, nonostante la tanto ostentata connotazione impolitica dei cosiddetti “mercati”, le tendenze basilari dei comparti finanziari che hanno sferrato l’attacco speculativo all’euro vengono regolarmente determinate dagli strateghi del capitale che pianificano le proprie mosse a porte chiuse, proprio nell’ambito degli incontri di quelle organizzazioni come il Bilderberg e la Trilaterale in cui si stabiliscono le regole del gioco.
Secondo la vulgata informativa massmediatica, le nomine di Mario Monti e Lucas Papademos sarebbero quindi avvenute a furor di mercato, le cui esigenze e necessità avrebbero perciò acquisito un peso maggiore rispetto alla volontà dei singoli cittadini italiani e greci, che subordinano il loro consenso alla riduzione del differenziale (spread) che, secondo le ricette compilate dai nuovi sovrani (e raccomandate da istituzioni come in Fondo Monetario Internazionale e, soprattutto, la Banca Centrale Europea attraverso la lettera del Presidente Mario Draghi), comporterà la drastica limitazione delle tutele previdenziali e sanitarie garantite finora.
Sul piano più squisitamente italiano, la mancanza di limiti temporali certi potrebbe preludere alla sospensione permanente della normale prassi democratica sulla falsariga di quanto accaduto negli Stati Uniti, dove lo stato di eccezione vige ininterrottamente dall’ottobre del 2001, in coincidenza con l’entrata in vigore del “Patriot Act”, il pacchetto di leggi liberticide adottate sull’onda emotiva scaturita dagli attentati dell’11 settembre 2001.
In quelle condizioni straordinarie fu popolo statunitense ad assecondare le intenzioni del Presidente George W. Bush, accordandogli il consenso necessario per sacrificare le proprie libertà individuali sull’altare della “sicurezza” nazionale.
La fine della corrotta Repubblica di Weimar avvenne anch’essa a furor di popolo, attraverso l’introduzione di un particolare stato di eccezione che gettò di fatto le basi per la graduale ascesa al potere dei nazionalsocialisti di Adolf Hitler.
La decisione del senato romano relativa al conferimento a Quinto Fabio Massimo del ruolo di dictator fu dettata dall’esigenza di sottrarre le decisione necessarie alla salvaguardia dell’impero – minacciata dall’avanzata delle orde cartaginesi – alle endemiche lungaggini repubblicane.
I senatori fissarono però l’inderogabile vincolo temporale di sei mesi in relazione alla durata dell’incarico di potere cui Quinto Fabio Massimo era appena stato investito, e si riservarono il diritto di non rinnovargli il mandato quando ritennero inappropriata la sua strategia, giudicata eccessivamente cauta e attendista.
Giorgio Napolitano ha invece ignorato ogni precedente storico al riguardo scegliendo di non porre alcun vincolo temporale e confidando quindi nel presunto, profondo senso dello Stato di Mario Monti che una volta decadute le condizioni che hanno determinato la sua nomina dichiarerà arbitrariamente (se e quanto lo farà non è affatto scontato) concluso lo stato di eccezione e solo allora potranno svolgersi le nuove elezioni.
Intanto il nuovo Primo Ministro si impegna a delineare il proprio governo, che si preannuncia composto da una nutritissima schiera di tecnici dell’economia e della finanza.
Alla luce dei fatti, quindi, in Italia e Grecia inadeguatezza e pessima gestione della cosa pubblica da parte delle rispettive classi politiche hanno spianato la strada alle tecnocrazie economiche, le stesse che sono salite sul Panfilo Britannia agli sgoccioli della Prima Repubblica e che, una volta conquistato il potere, hanno smantellato buona parte dell’apparato bancario e industriale pubblico a beneficio della stessa grande finanza angloamericana che oggi plaude alla nomina di Mario Draghi al vertice della Banca Centrale Europea e a quelle di Mario Monti e Lucas Papapdemos ai governi di Roma ed Atene.
Amschel Mayer Rothschild scriveva: “Autorizzatemi ad emettere moneta e a controllare i sistemi monetari del Paese e io non mi preoccuperò più di chi fa le leggi”.
Ebbene, con il vertice di Maastricht che ha funto da basamento per la nascita dell’euro, la sovranità monetaria è stata trasferita dagli Stati alla Banca Centrale Europea dominata dall’eminente figura di Mario Draghi, che non risponde ad alcuna autorità politica legittimata dall’investitura democratica.
Il ruolo primario della società civile subisce un netto ridimensionamento e il sogno di Rothschild comincia a prendere forma, nel generale giubilo della grande finanza angloamericana.
E i mercati, come d’incanto, riprendono istantaneamente a respirare.