LE DOGLIE DI TRAVAGLIO
Travaglio ha le doglie e proprio non riesce a metabolizzare la sentenza della Cassazione che ha rimandato il fascicolo del processo a Dell’Utri alla Corte d’appello di Palermo, addirittura per mancanza del capo d’imputazione. Detto altrimenti, l’impianto processuale contro l’ex senatore del PDL si è retto per anni su teoremi accusatori ad uso politico e su pregiudizi persecutori difficilmente assimilabili alla ricerca della giustizia. A ciò si sono aggiunte le parole – più terrorizzanti che terrificanti per Travaglio, il quale avendo costruito il suo successo sulle carte bollate e i ditini puntati contro presunti politici collusi con Cosa Nostra, soprattutto se viciniori di B, rischia infatti di ritrovarsi senza idee per continuare a spargere inchiostro come veleno a mezzo stampa e lettura video- del Procuratore Generale che ha squalificato il reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso poiché indefinito ed insostenibile. Deve essere stata una mazzata tremenda per il cronachista delle procure che a questo punto può anche appendere la penna al chiodo per mancanza di materia prima, mentre il suo precedente lavoro, denso d’insinuazioni e di maldicenze, può essere ben consegnato, senza patimenti, alla memoria dei roditori. Poiché Travaglio basava i suoi pezzi su tali teoresi, d’ora in poi, la prima riga scritta sarà per lui anche l’ultima e non avrà più argomenti per dare corpo alle sue insulsaggini, salvo il borbottare scomposto con cui sta adesso tentando d’infarcire discorsi già esauriti allungandoli con invettive moralistiche e scapestrate. Sono terminate le marchette di Marco alla casta togata ed ora forse si può sperare di far emergere un’altra verità, troppo a lungo sepolta sotto l’antiberlusconismo ad oltranza alimentato da questi pennivendoli disponibili a svolgere il compito di portalettere dei giudici. Per esempio, si potrà fare chiarezza sull’alleggerimento del carcere duro (41 bis) avvenuto sotto i governi Amato e Ciampi. Potremo sperare di capire, senza che alcuno possa immaginare ancora di nascondersi dietro l’ombra del cavaliere nero, chi e cosa spinse il Ministro Giovanni Conso, a rivedere il trattamento carcerario di pericolosi mafiosi in un momento in cui semmai occorreva inasprire tali provvedimenti per la svolta stragista messa in atto dalle cosche. In quegli anni in cui il sistema istituzionale italiano subiva un attacco violento, da nemici esterni ed interni, fino alla caduta delle vecchie classi dirigenti, una trattativa con il crimine organizzato effettivamente ci fu ma con altri protagonisti, spacciatisi successivamente per irreprensibili difensori della Costituzione ed incorruttibili padri della patria, i quali hanno continuato impunemente a fare carriera sulle ceneri del Paese. Ma, sicuramente, Berlusconi non aveva parte in questi intrallazzi perché non ancora entrato nell’agone politico e perché, al contrario, persino disorientato ed indebolito dalla perdita suo nume tutelare, Bettino Craxi. La nostra interpretazione dei fatti l’abbiamo data tante volte ed il tempo che passa anziché smentire rafforza le primigenie convinzioni ed intuizioni. Gli eventi dei primi anni ’90 s’iscrivono tutti in una sorta di rivoluzione colorata all’italiana che vide agire sinergicamente, per finalità distruttive dei nostri apparati statali, istituzioni marcite ed eterodirette dall’estero, partiti politici ideologicamente riformati e surrettiziamente passati sotto l’ombrello atlantico, ambienti industriali decotti e circoli finanziari parassitari (riconducibili alla Confindustria agnelliana), settori culturali della borghesia azionista alla testa dei mezzi d’informazione inglobati nelle torbide macchinazioni, servizi d’intelligence antinazionali concordi con il colpo di mano. Tutti questi indigesti ingredienti, mescolati nel brodo internazionale di una nscente fase storica post-guerra fredda, portarono alla caduta della I Repubblica. Se vogliamo comprendere seriamente chi ebbe più responsabilità degli altri in quelle confuse vicende dobbiamo guardare ai sopravvissuti, ai risparmiati dalla mannaia giustizialista, ai potenti che tali restarono e che anzi incrementarono le loro aspettative di carriera, agli individui politici che attraversarono indenni la buriana rifacendosi gli abiti e mantenendo le cattive abitudini tangentizie e malversative. Berlusconi con questo non c’entra perché non c’era e perché, al massimo, è stato un prodotto involontario di quel caos, un imprevisto degli avvenimenti che ruppe le uova nel paniere agli architetti dell’oscurità, uno scherzo del destino che mise i bastoni tra le ruote ai manovratori nascosti e ritardò all’Italia una sorte peggiore. Ora che B. si è fatto da parte, sconfitto e deriso, quel futuro ritardato di vent’anni si ripresenta con maggiore impeto seppur in forme diverse. Quel che sta per accadere hic et nunc è ciò che all’epoca si interruppe e non si realizzò per un’astuzia della Storia. Ma anche quest’ultima ha esaurito le sue sorprese ed il precipizio, fortunosamente evitato allora, si ripresenta intorno a noi come una voragine. Per questo ci hanno portati sui Monti, vogliono assicurarsi di un nostro sfracellamento al suolo definitivo.