LA FAVOLA DELLA DEMOCRAZIA E LA POLITICA DELLA NON-CRESCITA

Sul Corriere di oggi, 18.03.2012, è apparsa una sintesi cruda e realistica della situazione dell’economia reale italiana. Nell’articolo di Fulvio Coltorti viene messo in evidenza che, dai dati Istat del 2011, il

<<buon andamento delle esportazioni è di assoluto rilievo: +11% anno su anno. A prezzi costanti, usando i nuovi deflatori che l’Istat ha da poco messo in campo, l’incremento resta superiore al 6%. La performance esportativa italiana è identica a quella della tanto osannata Germania e ha trovato un ottimo risultato sui mercati extra Ue (+15%)>>.

Risulta evidente che la crescita del nostro Pil, del tutto deludente nel medesimo anno (-0,4%), non dipende soltanto dalle esportazioni ma anche, in maniera altrettanto significativa, dagli investimenti e dai consumi. Basti pensare che i consumi interni – i quali costituiscono da soli poco meno dei due terzi della domanda complessiva – nel 2011, calcolati a prezzi costanti, sono addirittura diminuiti rispetto all’anno precedente. Ancora peggiori i dati sugli investimenti, calati dell’1,2%, e quelli sulla costituzione delle  scorte:

<<Quest’ultimo fenomeno è derivato dalle modeste attese degli imprenditori, preoccupati del rallentamento dei mercati, e dalla stretta del credito che rende tuttora problematico il finanziamento dei magazzini. Vi è stata una dinamica divergente: nella prima metà dell’anno sono state accumulate scorte; nel terzo e nel quarto trimestre è invece intervenuto un forte «decumulo» che è andato a braccetto con un regresso della produzione industriale>>.

Riguardo agli investimenti l’autore dell’articolo riporta alcuni dati veramente preoccupanti: misurate a prezzi costanti, le spese del 2011 in nuove macchine e attrezzature sono state inferiori del 10% a quelle del 2007. Il divario sale al 16,5% per i mezzi di trasporto e al 18% per le costruzioni. Questa la situazione, che è stata aggravata dalle manovre del governo Monti le quali hanno alimentato l’inflazione, grazie anche a scelte sciagurate, ma “ponderate”, sull’incremento delle imposte indirette; hanno portato la pressione fiscale complessiva a livelli insostenibili soprattutto per pensionati, lavoratori dipendenti ed autonomi; hanno incrementato balzelli, ticket e tariffe per agevolare con alcune detassazioni, invece, le imprese medie e grandi. Il tenore di vita e le capacità di consumo dei ceti medio-bassi sono messi fortemente in discussione mentre il taglio delle spese statali e i vincoli del credito – paradossalmente divenuti ancora più stringenti a causa delle limitazioni delle authority  Ue – alimentano la disoccupazione e la sottoccupazione. Come fa notare giustamente anche Coltorti i cosiddetti interventi strutturali, come quelli sulle liberalizzazioni e sul mercato del lavoro

<<saranno utili, se lo saranno, nel lungo periodo; speriamo, per contraddire Keynes, prima che siamo tutti morti>>.

Per tornare alla crescita è indispensabile rilanciare la domanda interna e soprattutto gli investimenti nella produzione ma si tratta, quindi, di promuovere una politica economica totalmente diversa da quella portata avanti da questo governo: un governo eterodiretto che prende gli ordini dall’amministrazione Usa e che assieme alla Germania promuove una politica economica comunitaria finalizzata allo strangolamento di alcuni paesi e alla sottomissione di altri e quindi al rafforzamento e alla ristrutturazione della gerarchia di potere tra gli stati dell’area occidentale a più “antica” industrializzazione.

Sempre in data odierna, sul Sole 24 ore, Guido Rossi si lancia in una violenta filippica contro quello che egli definisce lo Stato amministrativo delle Autorità pubbliche indipendenti. Così scrive, infatti l’eminente professore:

<<È così che, accanto alla normativa primaria delle leggi votate dai parlamenti regolarmente eletti, si è andata affiancando una normativa secondaria di regolamentazione dettata da burocrati non eletti, ma posti a controllo del sistema bancario, delle assicurazioni, delle public utilities, della finanza, dell’industria, della salute ed ora persino della legalità>>.

E riguardo alla struttura istituzionale barocca e sconclusionata dell’Unione Europea egli rileva, considerando alcune situazioni ben note che

<<la situazione dell’Europa è ancor più grave. L’intero sistema fa pensare a un enorme Leviatano amministrativo, con scarsa e spesso nulla legittimazione democratica. Se è vero, come sembra difficile da contestare, il titolo di un articolo dell’ultimo numero dell’Economist sul Parlamento Europeo: Elected, but how democratic? (Eletto, ma quanto democratico?) E Parlamento a parte, tutti i centri politici decisionali europei sono affidati a tecnocrati non eletti, dalla Commissione Europea, al Consiglio dei Ministri, alla Banca Centrale Europea, al Consiglio d’Europa, oramai tutti responsabili della politica economica, sociale, ed estera degli Stati dell’Unione, ma tutti ahimè caratterizzati da un inquietante deficit democratico>>.

Che queste “Autorità” e istituzioni – gestite dall’alto dai grandi centri di potere economici e politico-strategici – sintetizzino  nelle loro decisioni i conflitti tra i vari gruppi dominanti, nella maggior parte dei settori di interesse strategico, in maniera non democratica, può risultare, in un certo qual modo, abbastanza condivisibile ma come al solito il difetto , in questo discorso, sta nei fondamenti. I fautori del primato indiscusso della  democrazia formale hanno sempre avanzato la tesi che questa forma di governo risulti essere la “meno peggiore” rispetto a tutte le altre, nonostante essa non sia riuscita a mantenere nessuna delle promesse che dalla grande Rivoluzione dei francesi in poi ci si poteva aspettare. In realtà essa risulta, però, anche la più mistificante e la più ingannatrice; nelle celebrazioni capi di stato e di governo si sbrodolano in enfatiche lodi per le “virtù” e la “santità” dei valori che la rappresenterebbero: solidarietà, eguaglianza, libertà, moralità.  Per fortuna Karl Marx, a suo tempo, nel suo lavoro scientifico, sviluppò i termini di quel disvelamento che ancor oggi costituisce il presupposto degli altri successivi approfondimenti della decostruzione-ricostruzione teorica nell’analisi delle strutture sociali, necessari per comprendere le formazioni sociali contemporanee, e a cui si è dedicato G. La Grassa e nei limiti delle nostre possibilità questo blog nel suo insieme.

Mauro Tozzato           18.03.2012