L’Affaire Moro e il sotterraneo tragitto del Pci. Spunti da un articolo d’epoca scritti da Andrea Berlendis il 31 marzo 2012

La ricerca delle fonti documentarie per spiegare dati eventi non è sempre possibile. Però, a volte come nella ‘Lettera rubata’ di Poe, l’oggetto ricercato è introvabile proprio perché posto in un luogo di estrema evidenza, ed il problema diventa quello del punto di vista adottato che orienta lo ‘sguardo’ teorico  verso dati ‘luoghi’, definendo e circoscrivendo ciò che ci consente di ‘vedere’. L’ipotesi lagrassiana del cambiamento di campo geopolitico del Pci avvenuto negli anni Settanta è capace di svolgere questa funzione. Infatti se ci riferiamo, non al caso Moro nel suo insieme, ma alla traiettoria del Pci verso l’Alleanza atlantica ad egemonia Usa, evidenziatasi anche durante quell’evento, disponiamo di uno scritto—che trattando il caso Moro—è analogo alla ‘lettera rubata’ del romanzo. Si tratta dell’articolo del 2 maggio 1978 dall’indicativo titolo ‘Yalta in via Mario Fani’, comparso sulla rivista  ‘Osservatore Politico’ (OP) di Mino  Pecorelli.(1)   Secondo un analista, OP costituiva un attore che giostrava nel campo conflittuale degli apparati statali (tra apparati statali diversi ed entro uno stesso apparato statale) praticando “un tipo di giornalismo particolare, che sfruttava delicate informazioni apprese nel mondo politico e finanziario in articoli ricattatori scritti in linguaggio ermetico e allusivo, spesso comprensibile solo da pochi iniziati appartenenti a questo o a quel centro di potere. Per chi desiderava divulgare messaggi ricattatori, Op e altre simili pubblicazioni erano come una specie di taxi: si pagava la corsa e si andava dove si voleva.” (2)  Ciò grazie alla disponibilità di certe fonti, dato che, si evince “dai suoi diari, che era costantemente in contatto con i vertici dei servizi segreti, della polizia e del Parlamento.” (3) Da questo agire Pecorelli ricavava un chiaro significato ed una precisa funzione delle cosiddette ‘notizie’, quali ad un tempo mezzi ed oggetto del conflitto: “Notizie, si sa, a un certo livello non esistono. Esistono invece “fughe di notizie”. Cioè quelle soffiate, quelle “indiscrezioni” con cui ciascun centro di potere in questa repubblica pluralistica cerca di condizionare, ammonire, minacciare, altri centri di potere. In questo senso, parlare di “giornalisti-spia” è parlare di acqua fresca. Il giornalista è insieme una spia e il suo contrario. Spia in quanto per accedere a certe informazioni deve stabilire dei contatti con determinati centri di potere, magari tappandosi il naso, ma senza timori virginali sul candore delle proprie mani. Antispia, perché offre subito al suo pubblico ogni indiscrezione della quale entra in possesso”.(4)

 

Il brano decisivo dell’articolo in questione, scritto quando  il sequestro di Moro, ancora in corso:

 

La cattura di Moro, rappresenta una delle più grosse operazioni politiche compiute negli ultimi decenni in un Paese industriale, integrato nel sistema occidentale. L’obiettivo primario è senz’altro quello di allontanare il Partito comunista dall’area del potere nel momento in cui si accinge all’ultimo balzo, alla diretta partecipazione al governo del Paese. E’ un fatto che non si vuole che ciò accada [Sottolineatura dell’Autore] … Ciò non è gradito agli americani [Sottolineatura dell’Autore], perché la partecipazione diretta del Pci al governo, altererebbe non solo gli equilibri del potere economico nazionale ma ancor più i suoi riflessi nel sistema multinazionale. Sebbene sembra accertato che gli eurocomunisti si  ispirino alla democrazia, essi però accentuano certi tratti nazionalistici, non tanto per catturare nuove simpatie nell’elettorato moderato, quanto per precostituirsi le possibilità di resistere alla pedissequa obbedienza/osservanza all’unica grande potenza occidentale: gli Stati Uniti d’America. In una parola, anche nella sua più avanzata voce eurocomunista (Napolitano), il Pci è un partito moderatamente filoamericano, pieno di diffidenze e di resistenze, che in nome di un ritrovato diritto di sovranità nazionale respinge il protettorato della potenza egemone. Ancor meno gradito ai sovietici [Sottolineatura dell’Autore]. Con Berlinguer a Palazzo Chigi, Mosca correrebbe rischi maggiori di Washington.” ( ) pag. 292

 

Si deve evidenziare  il deciso contrasto riguardo a diversi  elementi con le letture consolidatesi, sia in quel tempo che successive.

In primo luogo (comune), il Pci non è ritenuto una forza politica di tipo filosovietico come invece classificato da tutta la politologia dominante (allora e pure dopo), ma al contrario, filoamericano (seppur moderatamente). Il cambiamento di campo di riferimento ed appartenenza geopolitica, è già quindi dato in quel periodo per avvenuto.

 

In secondo luogo (comune), a proposito della conventio ad excludendum’ riguardante il Pci: quando l’articolo viene scritto (1978) il Pci è già parte della maggioranza (1976), tramite una partecipazione indiretta (‘Governo delle astensioni’)—omettendo qui, sia il livello di occupazione dei poteri locali, sia l’architettura istituzionale fondata sulla ‘centralità del Parlamento’ (potere di veto, concordanza in commissione, consultazione permanente conla Dc),e senza inoltre prendere in considerazione livelli di interscambio non ufficiali ormai consolidati tra Pci, Dc ed apparati statali decisivi.

 

In terzo luogo, abbiamo l’individuazione della forma eurocomunista come quella entro cui fu incartato nella sfera ideologica il passaggio del Pci nel campo occidentale. Il prefisso ‘euro’ doveva fungere da adeguato ausilio innovativo per traghettare senza traumi e senza pericolosi sussulti la base sociale del Pci verso lidi allora inaccettabili qualora fossero stati dichiarati apertamente, laddove il sostantivo ‘comunismo’ era ormai un ripostiglio dove ognuno immetteva un qualche significato, sino a non indicarne collettivamente ed univocamente ormai più nessuno, una volta esauritasi ogni variante dell’ipotesi strategica togliattiana negli anni Sessanta.

 

In quarto luogo, il carattere filoamericano del Pci, è qualificato con l’avverbio ‘moderatamente’, dove il moderatamente è riferito alla non accettazione del rapporto di stretta dipendenza tra protettore (Usa) e protetto, per cui ci si vuole riservare margini d’azione autonoma. In questo poteva essere considerato dagli americani come similare a certi settori Dc (Mattei, Moro), per cui per ottenere la piena legittimazione doveva passare da ‘moderatamente filoamericano’ ad ‘intensamente filoamericano’. (Ciò è quanto accadde dopo il colpo di Stato giudiziario di Mani Pulite ed ha trovato esemplificazione paradigmatica nel comportamento del governo D’Alema  nella vile e barbara aggressione alla ex-Jugoslavia nel 1999).

 

Proseguendo l’analogia con ‘La lettera rubata’, le ‘intuizioni’ di Pecorelli trovavano riscontri anche in documenti ufficiali, sotto gli occhi di tutti.

 

1. “il Pci è un partito moderatamente filoamericano”

 

Rispetto a questa prima ‘intuizione’, occorre premettere che l’Ue e la Natosono organismi funzionali alla strategia statunitense e sotto il loro controllo, per cui l’adesione ad essi, al di là delle scontate proclamazioni, aveva il significato di adesione al campo occidentale (avente come centro coordinatore gli Usa): questo è il significato di filoamericano. Allora, senza ricorrere alla famosa, e sempre citata come unicum, dichiarazione di Berlinguer nella sua intervista al Corriere del 1976: “non voglio che l’Italia esca dal Patto Atlantico” (5), esattamente un anno prima rilasciò un’intervista al  ‘Time Magazine’ il del 30 giugno 1975,  in cui alla domanda: “Qual è la vostra posizione sulla Nato?” rispondeva così: “Sul terreno dei rapporti internazionali noi non proponiamo che l’Italia ritiri la sua adesione dalle organizzazioni internazionali alle quali appartiene, né lo proporremmo se facessimo parte del governo. Parlo in particolare della Cee e della Nato. Questa non è una posizione tattica. Siamo arrivati a questa conclusione sulla base di un’attenta analisi della situazione internazionale e degli interessi dell’Italia.” (6)

 

2.  “più avanzata voce eurocomunista (Napolitano)”

 

Rispetto a questa seconda ‘intuizione’, prima del suo viaggio negli Stati Uniti dell’aprile  1978, nella sua ‘Intervista sul Pci’ del gennaio 1976, Napolitano sosteneva che: “Noi dobbiamo auspicare che nonostante il carattere traumatico che assumono certi mutamenti per gli Stati Uniti, prevalgano nei gruppi dirigenti americani atteggiamenti realistici e ragionevoli, come l’esperienza storica, d’altronde, consiglia. In quanto l’atteggiamento di taluni ambienti americani rispetto all’eventualità di uno spostamento a sinistra nella direzione politica del nostro paese, mi sembra in effetti che siano ancora diffuse, nei circoli dirigenti degli Stati Uniti  […] Si possono peraltro cogliere anche tendenze di segno opposto nella stampa, negli ambienti culturali più illuminati, nelle sfere politiche ‘liberali’, tendenze a guardare la politica del Partito comunista italiano per quello che è, ad approfondire la conoscenza di questa realtà nella sua indubbia originalità e autonomia.” (7)

 

Venendo ai nostri giorni, chi sta operando per condurre all’integrazione subalterna, quindi senza nessun margine di autonomia e con piena sottomissione, dell’Italia entro la strategia Usa che al momento prevalente, può oggi apertamente rivendicare come ‘punti d’onore’, le ‘intuizioni’ contenute nell’articolo di OP a proposito dell’avvenuta mutazione genetica del Pci. Infatti, nel suo recente intervento all’Università di Bologna circa l’azione del Pci a metà degli anni Settanta Napolitano ha elogiato “l’apporto determinante che nello stesso senso dette una personalità del PCI in Parlamento, il sen. Paolo Bufalini, con la stesura della risoluzione votata a larghissima maggioranza in Senato nell’autunno del 1977, con cui per la prima volta anche il maggior partito della sinistra italiana si riconobbe nelle scelte di fondo dell’impegno europeistico e dell’alleanza NATO.”(8)  Questo atto, così come il viaggio americano, non fu sufficiente ai fini di un riconoscimento del Pci da parte degli Usa, perchè “Sarebbero stati necessari molti altri passi in avanti, molti fatti nuovi, perché fosse riconosciuta la nostra funzione di forza matura e affidabile per il governo di un paese alleato come l’Italia.” (9) Pag 159  Anche se, conclude Napolitano “al mio ritorno dal viaggio dagli Stati Uniti in quella primavera del ’78, l’apprezzamento per il nostro netto e forte impegno nella lotta contro le Brigate Rosse contribuì all’avvio di incontri riservati di notevole interesse politico tra l’ambasciatore degli Stati Uniti a Roma Richard Gardner e un dirigente di primo piano del Pci quale allora ero io.” (10)

 

Così ha sentenziato il ‘comunista’(più precisamente piciista) preferito da Kissinger, per cui possiamo concludere che probabilmente aveva ragione Dupin, l’investigatore di Poe: “Forse il mistero è troppo chiaro.”

 

Note

 

(1) Pecorelli ‘Yalta in via Mario Fani’ 2 maggio 1978  in  Flamigni ‘Le idi di marzo. Il delitto Moro secondo Mino Pecorelli.’ Kaos editore  pag. 292

(2) Willan Ph. ‘I burattinai. Stragi e complotti in Italia.’ Tullio Pironti editore pag. 95

(3) Willan Ph. ‘I burattinai. Stragi e complotti in Italia.’ Tullio Pironti editore pag. 102

(4)Pecorelli ‘Giornalisti su Marte (ehm, no, cioè) Giornalisti spia e anti’ Op, 17 dicembre 1976

(5) ‘Il Pci ela Nato. Intervistaa cura di Pansa sul Corriere della sera del 15 giugno1976’in  ‘Conversazioni con Berlinguer’ (A cura di Antonio Tatò Editori Riuniti pag. 69-70

(6) ‘Intervista a Time Magazine del 30 giugno1975’in  ‘Conversazioni con Berlinguer’ (A cura di Antonio Tatò Editori Riuniti pag. 49

( 7) Napolitano Intervista sul Pci  (a cura di Hobsbawn), Laterza editore  1976 Pag. 87

( 8) Lezione del Presidente Napolitano “Le difficoltà della politica (in Europa e in Italia)” in occasione del conferimento della Laurea ad honorem  Bologna, 30/01/2012

http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=235

(9) Napolitano ‘Dal Pci al socialismo europeo. Un’autobiografia politica.’ Laterza  2005, pag. 159

(10) Napolitano ‘Dal Pci al socialismo europeo. Un’autobiografia politica.’ Laterza  2005, pag  159