Quello che si deve fare. Subito (scritto per tiscali)
Secondo l’europarlamentare lucano Gianni Pittella gli ostacoli principali sulla via dell’effettiva affermazione dei sani principi liberali e democratici di cui la II Repubblica si annunciava portatrice sarebbero stati Bossi e Berlusconi. Per il politico di Lauria, i due “capipopolo” avrebbero rappresentato il tentativo di proseguire su percorsi reazionari, ed in una continuità persino peggiorativa rispetto a quella primorepubblicana, la strada delle ruberie e malversazioni, interrotta dalle indagini e dagli arresti eccellenti del pool di Milano. Si tratta palesemente di una inversione storica inaccettabile che dimostra quanta poca conoscenza vi sia di quel periodo culminato nel terremoto giudiziario dei primi anni ’90. In realtà, la discesa in campo di Berlusconi fu un imprevisto della storia che interruppe la riuscita di un disegno di totale destabilizzazione politica (comprendente il rovesciamento di un’intera classe dirigente, ambigua ma non inetta come l’attuale), questo sì effettivamente eversivo e terroristico, principiato con la caduta del Muro di Berlino, nel 1989. Tale macchinazione fu elaborata dalle centrali politico-strategiche statunitensi attraverso i loro arti finanziari internazionali, in combutta, almeno in Italia, con la Confindustria agnelliana e buona parte della borghesia azionista. Il Cavaliere, prima di costituire Forza Italia, tentò di appoggiare indirettamente la nascita di un nuovo soggetto politico che impedisse agli ex comunisti del Pci, nel frattempo trasmutati in socialdemocratici, di prendere il potere, raccogliendo il disperso e deluso elettorato democristiano e socialista. In tal senso, B. si allineò al patto Maroni-Segni che andava in questa direzione e che fu poi fatto saltare dal veto del Senatùr. A quel punto B., che si sentiva minacciato nelle sue attività imprenditoriali dagli uomini di Occhetto (e dalla sua gioiosa macchina da guerra), i quali avevano promesso di espropriarlo di tutti i suoi averi qualora avessero vinto, si vide costretto a metterci la faccia (anche di bronzo, se volete) e ad entrare personalmente nell’agone parlamentare. L’armata degli zombies coi baffi occhettiana, incredibilmente scampata all’assalto dei tribunali grazie al provvidenziale cambio di casacca dei suoi membri, rinnegatori di un passato comunque glorioso, e all’accordo raggiunto con i richiamati ambienti americani – i quali dopo la dissoluzione dell’URSS volevano sbarazzarsi dei superati compromessi con la DC, nonché dei suoi rappresentanti troppo compressi sulle geometrie geopolitiche della guerra fredda, giunta al suo epilogo – non aveva però considerato, per tracotanza ed incapacità di lettura dei fenomeni evenemenziali, che gli elettori “demo-socialisti”, allevati a pane ed anticomunismo, mai si sarebbero schierati con i piccìisti, benché metamorfosati in democratici e libertari.
B., dunque, entra in scena esclusivamente per difendere i suoi interessi imprenditoriali e vi resta perché il clima aggressivo e persecutorio contro di lui non accenna a placarsi. Per quasi vent’anni siamo stati bombardati dalle idiozie sul conflitto di interessi del Cav, il fascismo mediatico, la corruzione di giudici e corpi dello Stato, le figuracce all’estero, persino dal fatto indimostrabile perché assolutamente campato in aria che vi fosse un accordo tra il capo del biscione e i boss della piovra quando ancora B. nemmeno era passato alla politica (mentre dovrebbero saperne qualcosa i vari Ciampi, Amato, Conso e Scalfaro) ecc. ecc., soltanto perché non si è mai perdonato a quest’uomo, che non è certo più furfante dei Tycoons e dei banchieri schierati a sinistra, di aver messo i bastoni tra le ruote ai golpisti post-comunisti e cattocomunisti. Tutte queste balzanerie sul totalitarismo del nano di Arcore che poi, non come un dittatore feroce ma come un codardo qualsiasi, ha lasciato il governo sotto minaccia dello spread e persuasione dei consigli che non si possono rifiutare del Presidente Napolitano (altro ex “carrista” sovietico divenuto padre liberale della patria), non reggono più al confronto con gli sviluppi degli eventi odierni. Se davvero il Pd vuole diventare il perno di una diversa fase politica, non più moralistica ma orientata al ripristino di sovranità della nazione, al rilancio delle imprese strategiche pubbliche e private, al recupero di competitività sui mercati interni ed esteri, alla edificazione di una diplomazia internazionale originale, non più schiacciata sull’Occidente ma aperta alle potenze emergenti e riemergenti, deve innanzitutto farsi un esame di coscienza, guardando a quelle sue componenti organiche che trasmigrarono dal comunismo ideologico e dal cattolicesimo assistenzialistico al nullismo pseudodemocratico. Furono quest’ultime a rendersi artefici, rovinando noialtri, di quel colpo di mano e di palazzo col quale vennero terremotate le élite democristiane e socialiste, lasciando spazio alle attuali cricche autoreferenziali ed ingorde di prebende, senza alcuna visione istituzionale e prive di senso dello Stato.
Personalmente non credo molto a questa possibilità di rinnovamento del Pd perché se il punto di partenza di tutta l’analisi è, ancora e soprattutto, il fantomatico progetto eversivo di B. e dei suoi scagnozzi, i compagni di Pittella sono allora molto lontani dall’obiettivo. E nemmeno li avvicina a questo nobile scopo l’accompagnarsi ambizioso ma vizioso ai settori più arretrati e conservatori della Grande Finanza parassitaria e dell’Industria decotta di precedenti ondate tecnologiche, assistita col denaro dei contribuenti. Non si chiede ai partitodemocratici di fare cose di sinistra che ormai sono squalificate, checché ne pensi Nanni Moretti. Sono altri i presupposti tramite i quali si presenterà una forza sinceramente rivoluzionaria e moderna, abile a tutelare gli interessi di tutta la nazione, attualmente derubricati e sacrificati sull’altare di un’alleanza a perdere con l’emisfero occidentale a completa predominanza di Usa, Germania e Francia (nell’ordine indicato). L’Italia deve urgentemente voltare pagina per ritornare al posto che le compete, in Europa e nel mondo. Solo chi sarà in grado di imprimere questo bouleversement radicale diventerà il centro del nuovo sistema politico italiano. Perdemmo il nostro status di potenza regionale a Berlino nel 1989, chissà di non poterlo riprendere a Mosca nel corso di questi decenni. Berlusconi, forse inconsapevolmente, ci aveva provato con l’amico Putin e gli accordi tra Eni e Gazprom. Costui però non aveva la tempra dello statista ed era inevitabile che si facesse intimorire fino a sloggiare con infamia. Forse uomini più intelligenti e più consapevoli potranno ricominciare il discorso. Sono loro i leaders che l’Italia attende da un pezzo.