ENI va a sbattere contro Qatar e SNAM?, scritto da Red


L’intervista di Massimo Mucchetti a Giovanni Gorno Tempini, amministratore delegato della Cassa Depositi e Prestiti (CdP) pubblicata sul Corsera del 17 maggio u.s. ha sostanzialmente ufficializzato la decisione del governo Monti sulle modalità di scissione della SNAM da ENI. Ha prevalso la scelta “statalista” della CdP rispetto a quella di una public company con Terna (rete elettrica nazionale e dispacciamento) affidata al manager Cattaneo. I liberisti di ogni risma si strappano le vesti: in testa ovviamente Financial Time e Istituto Bruno Leoni (IBL) che parlano di passo indietro, di sostanziale ri-nazionalizzazione della rete gas, della CdP come nuova IRI, di un governo dei tecnici che tradisce il suo DNA e via strillando.

Noi per nostra parte ci siamo sbilanciati a favore della scelta CdP e così ci esprimevamo il 6 maggio scorso: “rimane, comunque, importante che non si arrivi ad una disastrosa privatizzazione – con svendita e successivo disfacimento delle potenzialità produttive, tecnologiche e imprenditoriali accumulate – di queste grandi imprese del settore energetico che potrebbero in futuro servire a mantenere o recuperare posizioni all’interno del conflitto multipolare globale.” [Le prospettive del gruppo ENI … – di M. Tozzato].

Ora che i dettagli dell’operazione, che sarà precisata in un DPCM a fine maggio, sono stati anticipati, è possibile fare qualche osservazione e riflessione ulteriore. Perché il diavolo sta nei dettagli ed in questo caso come non mai, le modalità tecniche rivelano l’intenzione. A cominciare dall’espropriazione del Parlamento da qualsiasi possibilità di modifica, tanto per capire chi decide sulla questione.

Partiamo dalla affermazione dell’ad di CdP Gorno Tempini secondo il quale “Al momento posso solo dire che l’impatto di cassa a regime sarà neutrale per CdP. Non un euro verrà sottratto al finanziamento delle infrastrutture e delle piccole e medie imprese”. Infatti Mucchetti spiega il meccanismo: ENI annulla le sue proprie azioni (in ENI) e così magicamente CdP e Tesoro passano dal 30% al 33% di ENI (teniamo presente che anche gli altri azionisti salgono proporzionalmente, anche il fondo anglosassone Blackrock, tanto per dire …). CdP può vendere un 3% sul mercato, per esempio al fondo sovrano del Qatar che ha già manifestato il suo interesse ed ha recentemente aumentato la sua quota anche nell’anglo-olandese SHELL (1). Ma potrebbero anche essere altri soggetti, ed il riferimento apparentemente fuori contesto di Gorno Tempini allo shale gas (gas naturale “superficiale”) che “cambia il mondo” suona ai nostri orecchi particolarmente sinistro: lo shale gas abbonda particolarmente negli USA e potrà arrivare da noi via mare una volta liquefatto. Poi si baratta con ENI il gasdotto TAG con azioni SNAM (ENI, che lo ha ceduto perché aveva SNAM, ora ne può tornare in possesso … mah …). Infine ENI darà a CdP azioni SNAM invece che dividendi.

Facciamo a questo punto un po’ di considerazioni sparse.

Prima osservazione: in questo modo ENI viene fortemente penalizzata sul piano finanziario oltre che industriale, in quanto si trova in pancia un gasdotto transnazionale isolato e non incassa dalla cessione delle azioni SNAM quanto avrebbe potuto e che Scaroni aveva puntualizzato in una sua recente dichiarazione. Cosa più grave in prospettiva non potrà ridurre il suo debito di granché e i mercati, prima o poi, si faranno sentire. In questo ci sentiamo per una volta di dare ragione a IBL laddove Carlo Stagnaro dice che “si tratta sostanzialmente di un esproprio”.

Seconda osservazione: il Tesoro rinuncia ad un ricco dividendo ENI in tempi di crisi finanziaria.

Terza osservazione (sostanziale): il governo italiano mette dentro il CdA di ENI un azionista come il Qatar (o equipollenti) leader mondiale della produzione e del commercio di GNL (gas naturale liquefatto) cioè uno dei più temibili concorrenti di ENI sul mercato del gas. Rimando all’archivio del blog per approfondire le differenze strutturali del mercato del gas basato su contratti a lungo termine (per lo più a mezzo gasdotti) e quelli spot (del GNL). Tradizionalmente il prezzo del gas sul mercato spot è più basso di quello concordato nei contratti a lungo termine, ma non sempre è così e comunque la sua volatilità è molto alta.

Quarta osservazione: quando Gorno Tempini dice “Snam … deve fare almeno 7 miliardi di investimenti, e forse più perché, con lo shale gas, il mondo sta cambiando. CdP può essere per Snam un azionista migliore” si riferisce esattamente ai terminali GNL che saranno pertanto la missione affidata a SNAM in quanto monopolista del trasporto e distribuzione del gas. Si precisa ulteriormente il piano governativo verso la creazione in Italia di un hub del gas tutto orientato ai mercati del nord-africa (recentemente “normalizzati” con la guerra libica), Egitto e Golfo Persico (e forse USA), diminuendo in prospettiva l’attuale proiezione strategica verso est. Affidare a SNAM la missione di realizzare e gestire nuovi terminali e nuovi gasdotti internazionali, per la tanto decantata integrazione energetica europea, significa concentrare dentro SNAM le scelte sul dove, in che quantità, a che prezzo e con quali modalità di trasporto, rifornire di gas l’Italia e l’Europa.

Il fatto che questa ristrutturazione non metta in discussione la forma monopolistica del mercato del gas nazionale è ovviamente importante da dire, per demistificare i tanto sbandierati effetti liberalizzatori e concorrenziali che starebbero alla base della scissione ENI-SNAM. Dove stia in tutto questo la diminuzione del prezzo del gas alle imprese e famiglie italiane non si capisce proprio. Ma a noi preme sottolineare il significato politico non indifferente che va annusato, perché non possiamo propriamente dedurlo da evidenti dati di fatto.

Il ridimensionamento globale di ENI è per noi evidentissimo. Non solo si danno schiaffi a Scaroni ed ai suoi azionisti privati, ma soprattutto si indica a chiare lettere che è finita la stagione dell’ENI che “fa” la politica energetica e per tanti versi anche la politica estera italiana. Si costruisce dentro il Ministero dell’Economia e la CdP una nuova centralità finanziaria e industriale che appare da subito complementare agli interessi energetici e strategici USA (per questo scommettiamo che i fondi anglosassoni in ENI sbraiteranno un po’ ma poi si quieteranno). L’orizzonte che Passera, forse più ancora che Monti, ha disegnato per i funzionari del capitale italiani è quello comodo e sicuro dei gestori di infrastrutture a bassissimo rischio e dal ritorno assicurato. Nella prima tornata di privatizzazioni all’italiana le infrastrutture (telefonia, autostrade, ecc.) sono state lasciate ai più svelti ed ai più furbi che le hanno comprate finanziandosi a debito, certi di poterle ripagare con i flussi di cassa generati dai monopoli naturali e per sopra mercato, detraendo fiscalmente gli interessi passivi. Passera fa un’operazione uguale nella sostanza economico-finanziaria ma molto diversa e forse più ambiziosa sul piano politico. Non certo quello della Politica (conflitto di strategie per la supremazia), ma più semplicemente sul piano che sostiene gli attuali protagonisti (si fa per dire) della sfera politica italiana. Con l’industria dell’auto che se ne va nelle americhe ed all’est, la Finmeccanica sotto scacco, ridotta a fare anticamera negli uffici della “controllata” DRS (vedi nel blog l’illuminante intervista tutta difensiva dell’ormai isolato politicamente Orsi) e ad operare in un perimetro industriale ridotto e ri-orientato a occidente,  il duo Monti/Passera offre la sua interpretazione degli “interessi nazionali” costruendo per il variegato mondo delle banche, delle authorities, delle reti, delle multiutilities un campo su cui contendersi il loro residuo potere di disporre. Se vogliamo, la scelta ha anche il significato di un atto di sfiducia nelle capacità dei gruppi imprenditoriali privati (manageriali) italiani. Passera presenta esplicitamente la CdP come uno strumento statale (ancorché di diritto privato e fuori dal perimetro della spesa pubblica)  di cui lui ed il governo dispongono, sapendo che è meglio distribuire gli eccessi di cassa che regalarli a novelli “capitani coraggiosi”. Ovviamente sotto il manto della “garanzia della continuità del controllo pubblico di un’infrastruttura strategica”.

Una riprova dell’efficacia della categoria lagrassiana di “cotonieri”: “Quando si parla di “cotonieri”, fra questi possono inserirsi anche settori avanzati, basta che ciò non avvenga in progetti in grado di dare fastidio (appunto strategico) a quello che è un organo (la UE) del predominio Usa in Europa”- GlG nel blog.

Diamo per scontato che sulla vicenda che abbiamo analizzato in questo articolo con un taglio che vorrebbe andare al di là dello schema pubblico vs. privato, non ci sarà nessuna seria analisi né presa di posizione da parte dei funzionari politici ed intellettuali dei “dominati”, né FIOM, né autoconvocati, né occupy-qualcosa, né colorati. Molto probabilmente si stanno organizzando per seguire la prossima campagna anti-ENI che Al Jazeera (… Qatar …) starà preparando, magari in uno dei prossimi CdA.

 

D’altra parte tutta la vicenda suona come l’ennesima sconfitta dei settori e ambienti sovranisti italiani il cui intervento sulla questione è classificabile come “non pervenuto”. Nessun Beneduce in vista, men che meno un Mattei (che anzi viene ucciso un’altra volta).

 

Dato per inteso che “è più facile che le imprese strategiche (appunto anti-cotoniere) debbano rimanere in forma “pubblica”, affidate però a dirigenti capaci di gestirle e non semplicemente a parenti o amici o acquiescenti subordinati di certi personaggi politici” (4) resta tutto in prospettiva l’immane compito “di un eventuale gruppo realmente sovranista per l’attuazione di politiche (nel loro vero significato di strategie) tese all’accordo con i gruppi sovranisti di altri paesi europei per rafforzarsi reciprocamente nella propria indipendenza, “rompendo la spina dorsale” ai gruppi (i “cotonieri”) che si fanno portatori della subdominanza (dipendente) piegata alle esigenze di predominanza di potenze extraeuropee (tutte quelle che ci volessero subordinati, sia chiaro, non preferiamo la Russia o la Cina agli Usa).

 

Roma, 18.5.2012

Riferimenti:

1)      http://it.reuters.com/article/itEuroRpt/idITL5E8GB4J220120511?pageNumber=2&virtualBrandChannel=0

2)      http://www.rigzone.com/news/article.asp?a_id=117825&rss=true

3)      Stefano Saglia (PdL) mastica amaro: http://www.ilgiornale.it/economia/dalle_nozze_snam-terna_non_nasce_telecom_bis/18-05-2012/articolo-id=588374-page=0-comments=1

4)      Repetita iuvant … di GLG/12.5.2012 – pag.10 http://www.ripensaremarx.it/TUTTI%20GLI%20ARTICOLI/repetita%20juvant.pdf

5)      http://www.corriere.it/economia/12_maggio_13/cambiati-45-manager-al-vertice-ma-non-siamo-il-regno-del-male-sergio-rizzo_e75f10e6-9cc4-11e1-9e47-40ef175b0d3f.shtml