IL GUASCON MESCHINO, scritto da GLG 24 mag ‘12

1. Berlusconi, anche detto il “coniglio in fuga”, intende fare il furbo. Per far capire al suo attuale “sponsor”, da lui definito “bell’abbronzato”, di essere come “Remigio agli ordini ligio”, non fa altro che ripetere: “non ho mire sul Quirinale, non intendo fare più il premier, addirittura potrei anche ritirarmi”. Intanto i suoi sodali, dopo lo sconquasso del Pdl, si dimettono e vengono richiamati ….“in vita” (come zombi), e il suo giornale (Il Giornale) scrive che la soluzione per la ripresa del centro-destra – anzi dei moderati in genere, che “sono la maggioranza (sensata) degli italiani” – è semplice: basta richiamarlo e reclamarlo a gran voce. Nel contempo, “el poer nano” alliscia anche “zazzera volante”, il ben noto urlatore di “fare sistema, fare sistema”, dove non si capiva se per caso invitasse i piccoli e medi imprenditori, al fine di salvarsi da gruppi dirigenti di Confind. inetti e imbroglioni, a giocare al totocalcio o superenalotto, ecc.

In realtà, il cavaliere sembra aver voglia di rimettersi in lizza, ma questa volta assumendo con chiarezza una posizione di supporto (di guida non credo se ne possa parlare) ai “cotonieri”, quindi diventando l’amerikano senza se e senza ma. Al massimo, dopo aver tradito il “Gheddafi assassinato”, tiene ancora contatti con Putin, molto in sordina e senza più lo smalto di un tempo; la sua speranza è che anche la Russia si convinca per qualche anno almeno a non porsi troppo in contrasto con gli Usa e a giocare di rimessa per mantenere una certa area di influenza in Medio Oriente, per confrontarsi meglio con la Cina – e con India e Pakistan – quando Obama sarà riuscito a ritirarsi dall’Afghanistan senza che ciò appaia come una disfatta; e magari anche per attutire il problema dello scudo missilistico (sul quale, sarò forse un inesperto, mi sembra si sia calcata la mano oltre il pur effettivo rilievo del problema) e contribuire ad una certa tenaglia sull’Europa, mettendo soprattutto in riga la Germania. Tale paese non mi sembra per nulla nel ruolo di “Riccardo cuor di leone”, ma comunque è sempre meglio bastonarlo non appena solo alzi il capino di qualche millimetro (e l’atteggiamento dei nostri aspiranti sovranisti contro i teutonici e la preferenza per Hollande sono un segnale poco incoraggiante per le possibilità di una nostra indipendenza; temo che il sovranismo, oltre ad alcuni sinceri sostenitori, veda pure all’opera chi sta giocando alle tre carte!).

2. Mi si consenta, come faccio spesso (ormai mi conoscete), un détour per chiarire un problema sempre controverso. Quando il sottoscritto sostiene il (relativo) declino degli Stati Uniti, non vuol affatto sostenere che questo è inevitabile, inarrestabile, ormai deciso dal “fato storico”. Alla fine del XIX secolo (epoca della lunga crisi di stagnazione) l’Inghilterra era in declino, ma giostrava ancora abilmente contro le potenze in avanzata (Germania e Usa soprattutto); che il suo declino fosse irrimediabile lo si è concluso dopo alcuni decenni, con il giusto sguardo retrospettivo sempre necessario. Quello che si poteva al massimo constatare a fine ‘800 era il progressivo logoramento di un certo monocentrismo inglese; non perfetto, ma nella sostanza esistente per gran parte di quel secolo. L’epoca che si andava affermando fu quella detta “dell’imperialismo”; termine che oggi sostituirei con multipolarismo e successivo policentrismo (più o meno quando ci si avviò alla prima guerra mondiale).

Ebbene, anche oggi il monocentrismo statunitense mi sembra sempre più leso e penso si possa già parlare di multipolarismo (imperfetto). Deve però essere chiaro che ciò non significa ipso facto l’inarrestabile e inevitabile declino del paese ancor oggi predominante. E’ un declino che implica solo la necessità per gli Usa di rigiocarsi nei prossimi due-tre decenni (o magari mezzo secolo) la posizione predominante. Un gioco, cioè un conflitto, che, ormai dovrebbe essere chiaro, condurrà molto probabilmente ad una nuova e diversa formazione sociale rispetto a quella (da me definita dei funzionari del capitale) che si è affermata quando dal predominio inglese (capitalismo borghese) si è passati a quello statunitense. E il centro del nuovo capitalismo non fu Boston (il New England, in fondo ancora erede del vecchio capitalismo borghese), ma Detroit – divenuta capitale di uno dei settori fondamentali della nuova (seconda) rivoluzione industriale – e il sud petrolifero, quel sud prima cotoniero e sconfitto nella guerra di secessione, atto fondamentale per la nascita degli Stati Uniti moderni in quanto grande potenza.

Gli schematici ragionano in questo modo: il centro preminente mondiale, nella transizione e poi avvento dell’età moderna, è passato dalla Spagna all’Olanda, poi all’Inghilterra, infine agli Stati Uniti; con il loro declino si sposterà ancor più ad ovest, verso l’altra sponda del Pacifico. Subito dopo il crollo dell’Urss (1991), si pensò già ad un graduale passaggio della supremazia al Giappone del toyotismo (od ohnismo); un Giappone trionfante in quel settore ormai vecchio “come il cucco” che era l’automobilistico, un paese che invadeva gli Usa con i suoi capitali lanciati all’acquisto di imponenti quote di quell’altro settore “d’avanguardia” rappresentato dall’immobiliare. Già nei primi anni novanta, il Giappone ebbe la sua bella scoppola che lo ha ridotto a potenza di secondo rango (un po’ come la Francia, di fronte all’Inghilterra, dopo essere stata sconfitta dalla Prussia). I capitali immobiliari sono rientrati in patria svalutati (dalle svendite delle proprietà negli Usa), mentre l’automobile resta ormai uno dei settori dei nuovi “cotonieri”.

Allora si è cominciato a vaneggiare sul nuovo centro capitalistico, che sarebbe stato rappresentato, già a partire dagli anni ’20 del “prossimo” secolo (cioè questo), dalla Cina. Mi permetto di farvi una previsione. La Cina diverrà più potente del Giappone, ma non è detto che sarà il centro del mondo futuro. Credo che gli Stati Uniti abbiano più di una probabilità di ri-vincere la gara (conflittuale) nel nuovo multipolarismo, ma non lo possiamo dire già oggi, a meno di non essere sciocchi e buffoni come i “profeti” del fu Giappone o quelli attuali della Cina. E’ appena iniziata la competizione intrinseca al nuovo multipolarismo; e il “declino” statunitense sta tutto in questo affermarsi di tale fase, della necessità – che già ha condotto a notevoli mutamenti strategici – di rigiocarsi la supremazia mondiale. E’ chiaro adesso? Mi auguro di sì.

Qui non ci sono indovini, solo gente con un minimo di cervello funzionante che sa di non essere adusa alla lettura del futuro, ma che sta attenta a certi cambiamenti in corso. L’unica previsione da potersi fare, e con somma cautela, è che andrà cambiando ancora quella che da troppo tempo viene semplicemente definita società capitalistica o, ancor più stupidamente, società del mercato globale e generalizzato. E’ assai probabile che si sviluppi un’acuta lotta simile a quella che condusse dal capitalismo borghese (“modello” inglese) a quello dei funzionari del capitale (“modello” americano). E’ probabile, non sicuro, lo ripeto; e comunque non sappiamo ancora chi vincerà la competizione in corso, appena iniziata.

3. Torniamo alle tristi faccende di casa nostra, con il “guascon meschino” ancora in campo; almeno temo, pur se spero che il logoramento subito gli impedisca di combinare i guai seri provocati nell’ultimo ventennio. Provocati per merito precipuo della sedicente sinistra dei rinnegati toccataci in sorte dopo il voltafaccia del Pci iniziato, come detto tante volte, negli anni ’70 (o appena un po’ prima); un voltafaccia di cui seppero brillantemente profittare la “manina d’oltreoceano” e la nostra squallida e farsesca Confindustria, tramite quella lurida operazione detta con involontario umorismo “mani pulite”.

Quel periodo è in ogni caso finito. Gli Stati Uniti – già a partire dal 2006, ma assai più decisamente con la nuova Amministrazione Obama – hanno preso atto della durezza del confronto che si è aperto, mettendo in dubbio la loro supremazia mondiale. Per il momento, non è ancora chiaro (non almeno al sottoscritto) se le mosse sono già state preordinate oppure, come credo, si prestino ad un uso flessibile e con possibilità di notevoli variazioni. Per quanto riguarda l’Italia sembra però divenuto necessario ridurla ad una maggiore subordinazione, facendola inoltre muoversi come pedina che deve intralciare sia le mosse russe sia quelle, al momento mi sembra solo potenziali, della Germania. Il governicchio dei sedicenti “tecnici” è in realtà quello voluto, utilizzando l’azione dell’“uomo del Colle”, per finirla definitivamente con l’amerikanismo troppo “svolazzante” di Berlusconi, forse incoraggiato da settori politico-economici – indeboliti dalle manovre d’inizio anni ’90 – che si difesero in qualche modo, ma con troppa incertezza e poca grinta.

Il “guascon meschino”, colpito “a morte” (anche se ha in realtà salvato la pelle), si è dovuto ritirare; e adesso forse (sempre forse) gli piacerebbe rimettersi in campo, cercando però in tutti i modi di farsi vedere remissivo e compiacente con i “nuovi” Stati Uniti, che già hanno eliminato Bin Laden e Gheddafi, il che la dice lunga sui pericoli che si corrono con questi “campioni di democrazia”. Vedremo in prossime puntate quella che potrebbe essere la neostrategia di questi “cattivoni”. Per il momento, prendiamo atto che l’Italia non deve più fare da sponda alla Russia in nessun senso; quindi deve ridimensionare alcuni possibili progetti che le avrebbero dato una notevole capacità di influire in Europa tramite rapporti più stretti (o meno laschi) verso est. L’attacco “finale” (almeno sembra essere tale) viene condotto contro imprese come Eni e Finmeccanica – in genere l’industria “pubblica” – nel mentre ci si è serviti della Fiat, di cui si è raccontata la balla della presa di possesso della Chrysler per meglio mascherare il maneggio, al fine di spostare ulteriormente in senso prettamente servile le posizioni dei nostri “cotonieri” confindustriali (e finanziari).

L’Italia, in specie adesso che la Francia ha cambiato presidenza e governo (del resto i precedenti erano già stati ampiamente sputtanati e quasi ridicolizzati, soprattutto con l’impresa libica), deve impegnarsi ad impedire ogni pericolo di effettiva e robusta rinascita della forza tedesca, già problematica con i democristiani e i socialdemocratici attuali. Una volta cambiati, tramite opportune “rivoluzioni”, i regimi arabi detti moderati – ormai vecchi catorci non più adatti alla bisogna – l’Italia dovrebbe lanciarsi in programmi di collaborazione con quella parte dell’area mediterranea, in modo da servire a meglio contenere l’Iran, e indebolire la Siria, così da contrastare anche la Russia, senza d’altra parte troppo assecondare eventuali piani d’aggressione israeliani, che provocherebbero l’impasse della neostrategia americana.

Non è la questione principale, ma come segnale significativo si presti attenzione all’imminente nuova ondata di “tradimento dei chierici” (di sinistra) che si sta preparando. I “comunisti”, i “marxisti duri e puri”, gli “antimperialisti di ferro”, più tutta la genia dei decrescisti, dei no profit, degli ambientalisti, dei falsi pacifisti, degli ancor più falsi “umanitari”, tutti questi fetentoni, si preparano ad accorrere al richiamo dei “cotonieri”, cioè degli americani, nascosti dietro l’appoggio alle “rivoluzioni arabe”. Assisteremo a conversioni, mascherate dal solito linguaggio pseudo-radicale di tutti questi tromboni, che lasceranno esterrefatti alcuni nostri giovani piuttosto inesperti, sempre attirati da improbabili “rivoluzionari” e “nuovi pensatori”.

Nella situazione che si creerà, non vi è dubbio che si dovrà puntare con maggior decisione sull’indipendenza (sovranità) italiana. Subiremo gli attacchi dei “rivoluzionari” che loro, con il “cuore sanguinante”, guardano invece ai dominati, ai subordinati, ai diseredati, ai “miseri e oppressi”. In realtà, questi voltagabbana mirano a chi si lascia subornare dalle loro chiacchiere di venduti. E troveremo inoltre sulla nostra strada i “sovranisti” del ben noto “dalli al tudesc” (si veda l’articolo del nostro Red); e questo sarà un ulteriore preciso segnale della menzogna e inganno di questi Pulcinella ed Arlecchini (il “servo di due padroni”). I “cotonieri” italiani non stanno poi tanto bene; e anche gli ambienti statunitensi, credo, lo sappiano. Ecco perché non si deve escludere a priori che essi decidano alla fine di lasciar ritentare “el poer nano” (che è sempre il “Guascon meschino”). I cotonieri sono abbastanza alla frutta se hanno bisogno di “comunisti”, “antimperialisti”, e tutti i fetenti prima elencati, per disperdere del tutto ogni minima residua forza dell’intellettualità “di sinistra”.

Noi, e solo per questa fase storica (che però supererà le vite di molti), guardiamo invece al sovranismo; quello però autentico, quello che non si lascerà indebolire da nostalgie e impossibili ritorni a vecchie forme di nazionalismo, storicamente finite tanto quanto il “comunismo”, tanto quanto il “liberismo” futile dei nostri “destrorsi ufficiali” (quelli scompaginati dalle ultime elezioni). Questo è ciò per cui cominceremo, almeno penso e spero, a batterci; senza immaginarci successi iniziali. Tuttavia attenzione: dovremo rompere, e con cattiveria, con presunti “vecchi amici” e trovarci con alcuni di quelli che un tempo si ergevano di contro a noi; ma solo se anch’essi si ricicleranno comprendendo le necessità della nuova epoca. Si apre una fase nuova.