Una frattura che si allarga nella UE
[traduzione di Piergiorgio Rosso da: A Widening Split in the European Union | Stratfor]
Sommario
Nonostante la sua complessità, la crisi dei debiti sovrani in Europa deriva da un singolo evento: la creazione della moneta unica. Mentre la crisi peggiora ed i meccanismi messi a punto per arginarla falliscono, le soluzioni si focalizzano sempre più verso una serrarsi dell’eurozona. Questo allontanerà i 10 membri della UE che non hanno adottato l’euro. Questo assetto porterebbe a esiti diversi fra le 10 nazioni fuori dall’eurozona. Le nazioni con un’economia forte potranno trarre benefici dalla dissociazione dall’eurozona, ma le nazioni che sono ancora fortemente dipendenti dal sostegno finanziario UE, potrebbero vacillare economicamente. Di più, un crescente contrasto fra l’eurozona e la UE allargata rinforzerebbe le preoccupazioni sulla sicurezza che le nazioni dell’Est e del Nord Europa coltivano da tempo. La crisi finanziaria separerà lentamente i membri costituenti della UE dall’eurozona. Diverse nazioni europee stanno già formando sottogruppi regionali basati su comuni preoccupazioni economiche, politiche e di sicurezza. Quando tali gruppi si consolideranno, essi marcheranno il primo cambiamento strutturale nella UE.
Analisi
L’euro prometteva di allineare ed integrare ulteriormente le economie europee, eliminando i rischi associati ai tassi di cambio e allocando il capitale in modo più efficiente. Conseguentemente l’unione monetaria ha alzato il tasso di cambio nelle nazioni periferiche – Portogallo, Irlanda, Grecia, Italia, Spagna, Cipro, Slovacchia, Estonia, Malta, Slovenia – mentre lo ha abbassato nel nucleo dell’eurozona. Con l’adozione dell’euro, le nazioni periferiche hanno avuto facilità nell’accesso al credito come non mai.
Uno dei maggiori beneficiari del nuovo sistema è stata la Germania che ha potuto esportare più facilmente i suoi beni, grazie al miglior tasso di cambio. In realtà i membri dell’eurozona non hanno a che fare con alcun tasso di cambio quando commerciano fra loro. Il nuovo schema ha dato a Berlino un massiccio surplus commerciale con la maggior parte dei suoi partners, grazie alla combinazione di un forte settore industriale con la relativa moderazione salariale in Germania. In parallelo le nazioni periferiche non erano attrezzate per gestire l’alluvione di credito nelle loro economie. Il boom del credito ha spinto all’insù i salari. Diventando sempre meno competitive, appesantite per di più dai tassi di cambio sfavorevoli, queste nazioni hanno accumulato crescenti deficit commerciali e fiscali, debiti insostenibili e hanno visto scoppiare la bolla del credito, il tutto a detrimento del loro settore bancario.
La crisi ha colpito anche nazioni all’esterno dell’eurozona. Mentre le banche dell’eurozona rimpatriavano i capitali per coprire i problemi finanziari di casa loro, diverse nazioni dell’Europa Centrale, incluso Ungheria e Repubblica Ceca, hanno visto la loro valuta svalutarsi ed hanno sofferto di una stretta del credito. A parte l’Europa Centrale, gran parte delle avversità finanziarie dell’Europa è stata contenuta all’interno dei 17 membri dell’eurozona che, sbadatamente, avevano creato quei problemi nel mettersi insieme.
La centralizzazione dell’eurozona
I membri dell’eurozona non possono utilizzare politiche monetarie sovrane; essi devono affidarsi agli strumenti sovranazionali della UE per affrontare le loro questioni finanziarie. Mentre sono vincolati alla volontà dei loro rispettivi elettorati, ci si aspetta che debbano accordare le loro economie a quegli strumenti sovranazionali. Gli esempi di tali strumenti sovranazionali abbondano. L’EFSF e l’ESM sono fondi di emergenza fatti si misura e votati dai membri dell’eurozona per alleviare le crisi nelle economie deboli dell’eurozona. Altri strumenti di gestione della crisi sono ancora più esplicitamente eurozona-centrici. L’acquisto di debito aziendale o sovrano da parte del Securities Markets Program e del Covered Bond Purchase Program sono gestiti dalla BCE, che ha un mandato esclusivo nell’eurozona. In effetti quanto più si introducono soluzioni alla crisi dell’eurozona, tanto più queste soluzioni escludono ogni considerazione per i membri esterni all’eurozona. Ad esempio il summit del 28 giugno scorso è stato celebrato come un vittorioso balzo verso una stretta integrazione europea, ma ogni proposta significativa affrontata nell’incontro riguardava l’eurozona. Queste proposte includevano la creazione di un’autorità regolatoria per le banche a Bruxelles; la partecipazione dell’ESM nell’acquisto di bonds sul mercato primario e secondario; e la rinegoziazione delle condizioni dei salvataggi già preventivati per le nazioni dell’eurozona.
In teoria, l’unione bancaria proposta governerebbe l’intera UE, ma ha poche possibilità di fare presa fuori dall’eurozona. Al momento il candidato principe per amministrare l’unione è la BCE e l’unica nazione creditrice favorevole allo schema sembrerebbe la Germania. (da notare che le banche tedesche non sono a favore). Mentre la Germania fa conto sull’eurozona per sopravvivere, i creditori esterni all’eurozona e quelli che hanno risorse finanziarie e politiche monetarie autonome sufficienti per gestire i problemi delle loro banche, non sono granché attratti dai problemi di sovranità che l’unione bancaria introdurrebbe. Finora la Germania ha delineato il piano più coerente per affrontare la crisi europea. Berlino crede che strette fiscali ed integrazione politica genereranno una unione di trasferimenti finanziari che allevieranno in periferia gli effetti dovuti agli squilibri commerciali, alla mancanza di competitività ed al vincolo del debito. Il piano tedesco è strettamente focalizzato sulle nazioni dell’eurozona che sono vincolate da un’unione monetaria alla Germania dipendente-da-esportazioni. Sarebbero queste nazioni, piuttosto che i 10 membri della UE esterni all’eurozona, a soffrire se resistessero al piano della Germania. Quindi ogni nuova istituzione sarà creata su misura delle esigenze dei membri dell’eurozona.
L’insoddisfazione fuori dall’eurozona
Il crescente isolazionismo dell’eurozona costituisce una questione delicata per le restanti nazioni della UE – UK, Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Danimarca, Svezia, Bulgaria e Romania. Se da una parte gli EU-10 condividono qualche caratteristica – tutti possono tenere sotto controllo la loro politica monetaria – i membri del gruppo non hanno una politica comune nei confronti dell’eurozona. Il controllo monetario ha aiutato alcune delle nazioni EU-10 a mantenere una certa competitività nei mercati regionali ed internazionali così come una certa flessibilità nella loro risposta alla crisi finanziaria.
Per le nazioni che sono state relativamente meno colpite dal crollo finanziario, un’ulteriore integrazione con il modello dell’eurozona parrebbe troncare un significativo vantaggio mantenuto nel corso della crisi. La Polonia e la Repubblica Ceca hanno infatti sospeso il loro programma di accesso all’eurozona fintantoché il futuro finanziario e politico del gruppo non si chiarisca. Svezia, Polonia, Repubblica Ceca e UK si oppongono platealmente alla creazione di un regolatore bancario pan-europeo. Preferiscono che il potere di questo ufficio sia limitato all’eurozona. Queste nazioni hanno un settore bancario relativamente ben capitalizzato, meno connesso ai mercati finanziari dell’eurozona e non vedono la necessità di sottostare ad ulteriori supervisioni. La Gran Bretagna in particolare ha alzato la voce contro questo piano. Gli inglesi lo vedono come una minaccia al loro settore bancario, molto apprezzato per il suo contributo al benessere nazionale.
Anche il fiscal compact, inizialmente proposto come un trattato UE, è poi stato ridotto a trattato intergovernativo e firmato da 25 Stati membri. Le due nazioni non firmatarie, UK e Repubblica Ceca, non fanno parte dell’eurozona, a ulteriore conferma della politica esclusivista dell’eurozona.Tuttavia molte nazioni integrate di recente nella UE (o nazioni che saranno integrate a breve) come Romania, Bulgaria, Croazia, dipendono ancora dall’assistenza finanziaria europea per sviluppare le loro economie ed infrastrutture. Se Bruxelles si chiudesse su se stessa, queste nazioni troverebbero difficoltà maggiori nell’assicurarsi finanziamenti e nell’inserire i loro prodotti ed il loro lavoro nel mercato dell’eurozona. La UE ha già evidenziato di essere alquanto riluttante a finanziare costose infrastrutture e progetti di sviluppo nell’Europa Centrale, in particolare nel settore dell’energia. Questo spiega in parte l’opposizione di Romania e Croazia alla cosiddetta Europa “a due velocità” – un concetto che rimanda ad un’integrazione differenziata fra Stati membri. Questa preoccupazione non è nuova ma è cresciuta a seguito della crisi.
Ulteriore frammentazione?
La divergenza fra UE ed eurozona spinge in molti modi le nazioni esterne all’euro a trovare configurazioni alternative sia economiche, che politiche e di sicurezza, in particolare cercando di formare e sviluppare sottogruppi regionali. Con l’Europa concentrato a salvare l’eurozona, i membri restanti della UE, ed in particolare gli Stati dell’Europa Centrale, stanno diventando sempre più estranei finanziariamente e politicamente. Alcuni Stati temono ancora il ritorno della Russia, avvantaggiata dal relativo disinteresse della UE nei confronti della periferia dell’ex-URSS. Ovviamente la UE non è mai stata un garante della sicurezza nel continente. Tuttavia ha lavorato a fianco della NATO e degli Stati Uniti. Mentre l’Europa Centrale aumentava la sua disillusione rispetto alle capacità di NATO e USA di tamponare la Russia, diverse nazioni dell’Europa Centrale negli ultimi tre anni hanno cercato alternative di sicurezza dentro il quadro UE. Finora, questi tentativi non hanno avuto successo. In aggiunta alle questioni di sicurezza, diverse nazioni ex satelliti dell’URSS sono frustrate dalle richieste politiche della UE. Queste nazioni sono state obbligate ad introdurre riforme istituzionali sostanziali ed impopolari al fine di qualificarsi per l’accesso alla UE. Ora ritengono di subire le conseguenze negative della loro associazione alla UE, prima ancora di aver raccolto alcun beneficio dall’adesione alla UE. Di fatto Romania e Bulgaria non sono parte dell’accordo Schengen.
Un tale malcontento nei confronti della UE potrebbe portare alla formazione di raggruppamenti regionali. Dovesse succedere, i due più probabili sottogruppi si condenserebbero attorno alle nazioni del Nord ed intorno alle pianure della Pannonia in Europa Centrale. Entrambe le regioni formano già gruppi informali di sicurezza nel quadro della UE, ma l’integrazione economica e politica non ha progredito oltre lo stato nascente.
La prima configurazione raggrupperebbe le tradizionali, forti economie della Scandinavia con le dinamiche nazioni del Baltico e del Nord-Centro Europa (Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia). Queste nazioni condividono uno scetticismo economico e politico crescente nei confronti della UE, così come un disagio nei confronti del ritorno della Russia.
Il secondo raggruppamento si condenserebbe attorno alle nazioni di Visegrad dell’Europa Centrale (Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia che si candida ad un ruolo leader in entrambi i raggruppamenti). Questo gruppo potrebbe poi estendersi alle nazioni appena a nord dei Balcani, incluso Bulgaria, Romania, Slovenia e Croazia. Queste nazioni sono più fortemente dipendenti dal commercio con la Germania ricca di capitali. Al momento hanno economie nazionali e regionali più deboli e meno integrate delle loro controparti nordiche. Negli anni passati c’è stata una forte spinta all’integrazione dei mercati energetici della Slovacchia, Ungheria e Repubblica Ceca, in particolare con l’integrazione delle loro reti di distribuzione del gas naturale attraverso gasdotti di interconnessione. Questi accordi hanno spinto la liberalizzazione dei mercati regionali del gas naturale e rappresentano un primo passo verso una relazione più equilibrata con la Russia sul fronte energetico. Abbiamo anche notato un numero relativamente alto di accordi economici e politici bilaterali nell’Europa Centrale, dal 2008.
La polarizzazione dell’eurozona e degli EU-10 è solo all’inizio, ma è una tendenza che può ritenersi debba crescere. Al di là di come la crisi dell’eurozona sarà risolta, i membri restanti della UE dovranno rivolgersi sempre più al di fuori dell’eurozona per perseguire i loro interessi economici e di sicurezza. Se anche gran parte di questa dissociazione procederà sotto l’egida della UE, il blocco UE-27 diventerà progressivamente più frammentato quanto più l’eurozona si solidificherà in un blocco relativamente indipendente e le restanti nazioni si condenseranno in raggruppamenti regionali minori.