MENZOGNE PIU’ BUGIE PIU’…. FREGNACCE, di GLG, 12 marzo ‘13
1. Viviamo ormai in un mondo sempre più incomprensibile. Intendiamoci bene. La politica ha sempre avuto una tangenza con la criminalità. A volte riscattata da ideali anche sinceramente sentiti, più spesso mossa da smanie e ingordigia: non tanto di soldi quanto di potere. Tuttavia, anche in tal caso, non si può negare la frequente ampiezza d’orizzonti delle azioni intraprese da personaggi pur mossi da questa predilezione per il potere. Oggi domina invece incontrastata – almeno nel mondo detto “occidentale”, in cui è coinvolto stabilmente il Giappone dopo la terribile legnata affibbiatagli con la seconda guerra mondiale – la meschinità più assoluta; il potere non serve che a piccoli raggiri da mercato rionale, a miserabili interessi di cosche chiuse in se stesse e tuttavia non contestate da popolazioni in stato di agiatezza (ormai sempre più rimessa in discussione), che sembrano in netta difficoltà nell’afferrare a quale livello di rammollimento e di incapacità di capire le hanno condotte. I sedicenti dominanti odierni commettono misfatti da suburbio e assassinano come si trattasse di un gioco elettronico. Questo, del resto, è l’avanzamento della civiltà; passare dall’ammazzamento selvaggio, con combattimento corpo a corpo e visione diretta di carni squarciate e sangue che cola, all’annientamento asettico privo spesso di visibilità (quanto meno nell’immediato), magari manovrando a distanza di centinaia (o più) di Km. armi letali (per grandi masse di esseri umani), guidate e orientate tramite congegni elettronici in una sala comandi con grandi schermi televisivi, in cui si vede la schematizzazione del territorio da investire; e il tutto condotto in équipe.
Secondo “costoro” dovrei sentirmi rassicurato ogni volta che qualcuno, dopo essersi loro opposto con coraggio, viene eliminato. Dovrei essere lieto dell’esecuzione di Saddam, della (forse) “morte naturale” in carcere di Milosevic, dell’assassinio di Bin Laden (se ce l’hanno raccontata giusta, e ne dubito assai vista la moria che ha colto i Navy Seals esecutori materiali), della selvaggia uccisione di Gheddafi, ecc. Dovrebbe essere cresciuta la mia tranquillità come se questi personaggi stessero, prima della loro soppressione, fuori della porta di casa mia, in agguato, per nuocermi. Invece, io non sto tranquillo finché questi spietati, nonché i ladroni che ci s-governano, continueranno ad esercitare legalmente le loro ruberie e le loro malversazioni. Sarei sereno e rilassato se vedessi nelle vicinanze quelli che essi hanno ucciso (o della cui uccisione sono stati comunque complici consapevoli e perfino più vili degli assassini diretti). Sarei riposato, e fiducioso del futuro, se queste laide facce sorridenti – di “gente per bene” pagata migliaia di euro al mese, con liquidazioni e pensioni da favola, con proprietà un po’ dappertutto, individui che nulla conoscono delle difficoltà di una vita media in questo paese divenuto una cloaca per colpa loro – abbandonassero il mio campo visivo per sempre (senza però guatarmi da lontano in nessun modo possibile).
Questi individui pretendono di rappresentare uno Stato che sostengono servire i cittadini affinché essi vivano meglio in una società ordinata e regolamentata dall’attività degli apparati amministrativi di questa “entità”, trattata come “Soggetto Benevolo”, come nostro disponibile guardiano, come servizievole domestico. In realtà, lo Stato è utile a dati nuclei dominanti per mantenere sotto controllo intere popolazioni composte di svariati gruppi sociali con i più differenti livelli di reddito e di vita. Se i dominanti non hanno più alcuna conoscenza di detti gruppi sociali del loro paese e di come questi vivono mediamente; se sono ormai chiusi in se stessi e nella difesa di loro prerogative, “conquistate” strisciando ai piedi di nuclei dominanti situati in ben altri paesi; se dunque questo “ente metafisico”, da loro propagandato come vantaggioso per noi, lo è al massimo per sistemare caterve di tirapiedi che s’inchinano davanti loro e spendono e spandono senza darci alcun servizio amministrativo adeguato (né nei tempi né nella qualità); allora simili dominanti – per di più subdominanti, cioè dominanti sulla nostra testa e subordinati e lacchè degli Stati Uniti – dovrebbero essere tolti di mezzo e sostituiti con più dignitosi personaggi.
2. I politicanti, nemmeno riverniciati a nuovo salvo alcuni nuovi arrivati (in genere peggiori dei precedenti), continuano imperterriti a non combinare nulla e a non sapere che fare per uscire dall’impasse. Ancora una volta il più furbo è il cavaliere, che in troppi danno sempre per morto (non mai il sottoscritto, mi auguro lo si sia notato). Ovviamente, si tratta di una furbizia da venditore ambulante; e tuttavia sufficiente per gli squinternati dalla politica italiana. Sembra che perfino i “cotonieri” (stando almeno alle dichiarazioni “ufficiali” del presdelaconfind) siano sconcertati e inizino a mordere il freno. Adesso sta venendo a galla quello che era noto ormai da anni (e ancora una volta dovrei lodarmi per averlo detto già nel 2008; ma non vorrei “imbrodarmi”). La crisi che batte da anni è soprattutto reale. Quella finanziaria (borsa, spread, ecc.) si è dimostrata sufficientemente maneggevole per scopi politici: abbattere un governo legittimo, almeno stando ai miti della democrazia elettoralistica, onde sostituirlo con l’imposizione presidenziale (in quanto Reggitore del Protettorato Italia) di pessimi “tecnici”; in realtà, solo pedine ben remunerate di un gioco proveniente da ben altri “luoghi” (e anche nell’indicarli ai lettori, credo che qui si sia dimostrata notevole lucidità e preveggenza).
Si è così avuta pure la dimostrazione di un’altra mia “mania”, coltivata contro i neoliberisti e in disaccordo con la MMT (la moderna teoria monetaria), che si pretende keynesiana (ma su questo giudichino altri). La finanza è importante certamente, ma quale strumento di strategie politiche; per di più in riferimento a strategie di breve periodo, direi più propriamente tattiche. In quest’ultimo periodo, la situazione – anche finanziaria, anche del debito pubblico e della spesa pubblica, oltre che quella reale del Pil – è decisamente peggiorata rispetto a quella con cui si è terrorizzata la popolazione per imporre la “catastrofe” Monti; eppure si guardi lo spread, si faccia attenzione all’attuale silenzio dei giornali, prima molto chiacchieroni in merito: basta paginate sulla crisi di borsa e sui metodi consigliati da qualche “esperto” (demente quanto i governanti) per salvare i propri risparmi investiti in fondi, titoli privati, di Stato, ecc.
La “moda” è cambiata. Adesso c’è la crisi cipriota, adesso c’è la cattiva Merkel che impedisce alla Germania (visto che ha in vista elezioni, sempre “democratiche”, a settembre) di contribuire a salvataggi finanziari vari; impedimenti su cui sembra che i tedeschi siano perfettamente in linea con la Cancelliera. E allora di che ci si lamenta, di grazia? La Merkel si è resa pedina degli americani; e in questo la guardiamo con sospetto. E teniamo sotto osservazione anche la potenza emergente Russia (una del BRICS) in certe forse eccessive connivenze (d’affari) con la Germania. Tuttavia, riconosciamo alla Cancelliera di avere ben in testa che gli Stati nazionali non sono finiti, non si “annegano” nella UE; a meno che non siano senza più nerbo, in mano a schieramenti pieni di furbastri, di sostanziali inetti, di malversatori, così come lo è lo Stato italiano.
Se però noi siamo malati, e fingiamo allora ideali europeisti piegandoci in realtà ai disastrosi diktat della “meravigliosa” costruzione europea, perché una donna politica teutonica, sia pure inchinatasi agli Usa, dovrebbe seguirci in questo comportamento privo di intelligenza? Essa sembra in realtà rendersi conto di qual è l’effettivo ruolo dell’Europa e non abdica totalmente alle prerogative dello Stato tedesco che deve agire, dopo aver adempiuto gli obblighi verso i predominanti statunitensi, in conformità agli interessi dei gruppi subdominanti interni. Quelli italiani meritano quello che hanno, che affoghino, poiché per i tedeschi è giusto così! E, anche da una considerazione minimamente obiettiva, super partes, dovrebbe derivarne la medesima conclusione.
Hanno dato la terza carica dello Stato ad una ….. francamente indefinibile, che va in giro ai funerali di persone suicidatesi comunque per gravi difficoltà economiche, sostenendo di fatto (questo il senso vero delle sue parole) che certe tragedie accadono perché si dà troppa rilevanza alla ricchezza materiale e troppo poca ai valori ideali; i quali, per questa….. indefinibile, sono poi il dare ospitalità, nutrimento e assistenza pubblica a chiunque arrivi qui dal fu terzo mondo. Sembra di sentire, in forma ulteriormente peggiorata dal tipico buonismo del “ricco”, il ritornello di pochissimo tempo fa: la crisi – generale, iniziata su scala pressoché mondiale già da cinque anni – è particolarmente grave da noi perché siamo stati abituati al consumismo, abbiamo scialacquato. L’Italia ha un risparmio privato fra i più alti del mondo; è grazie ad esso che ancora resiste, ma certo lo sta intaccando e non si sa quanto durerà. Tuttavia, è stato accumulato, per certa gente cui si dovrebbe sputare in faccia, da questi “scialacquatori”. Cosa si deve augurare a simili individui – pieni di soldi come sono – quando si lanciano in affermazioni di così grossolana ignoranza della realtà? E non mi si parli di buona fede, perché allora avremmo a che fare con deficienti totali, da ricoverare in appositi istituti dove andrebbero “assistiti”.
3. La crisi finanziaria, come già rilevato, è al momento abbastanza ben manovrabile per scopi di strategia politica. In fondo, si tratta di altalene di borsa e di spread, non di possenti crac del tipo 1929. Diversa la situazione economica detta appunto reale, quella legata alla produzione dei cosiddetti beni – cioè dei vari “oggetti”, non necessariamente materiali, di cui si ritiene di aver bisogno – e quindi all’ammontare di questi “oggetti” prodotti (misurato tramite il noto PIL), così come al numero di lavoratori (in senso lato) impiegato nel produrli. La crisi che si manifesta in questa parte della sfera economica – la quale è infatti suddivisa nelle due sottosfere dell’attività produttiva e di quella finanziaria – è in stretta correlazione con la connessione e articolazione reciproca tra i diversi settori (e tra le varie unità produttive, dette imprese, in ogni settore), di cui consta la sottosfera in questione.
Essendo allora la produzione ottenimento di “oggetti”, scambiabili in quanto merci, posti in essere da molte unità produttive, dedite alle più svariate attività fra loro interconnesse “casualmente”, non esiste mai fra dette unità (imprese) un coordinamento armonico. Lascio qui perdere quella che è stata la speranza, la credenza, di poter arrivare ad una pianificazione, cioè ad un’ottimale regolazione di tale interconnessione. Una credenza che, portata agli estremi in società che si pensavano formazioni completamente altre rispetto a quelle capitalistiche (formazioni pretese socialiste), è stata poi attenuata, in senso solo riformista (rispetto appunto alla sostanziale accettazione dell’orizzonte capitalistico), parlando in tal caso di mera programmazione.
Sia i pianificatori che i programmatori sono stati degli illusi – o dei consapevoli diffusori di illusioni, lasciamo perdere la questione – poiché hanno comunque ignorato, volutamente o no, che l’attività produttiva si svolge nell’ambito di un conflitto non combattuto soltanto nel “mitico” mercato, nel regno del semplice scambio degli “oggetti” prodotti in regime di presunta “virtuosa competizione” condotta a suon di prezzi (rapporti di scambio misurati in base al denaro manovrato nella sfera finanziaria) e dunque di costi (il “valore” degli “oggetti” acquistati e impiegati nelle attività delle unità produttive). Il conflitto coinvolge complessivamente l’intera attività degli esseri umani nella società, che è un intreccio complesso (e complessivo) tra attività economiche, politiche, culturali (e ideologiche), ecc. Il conflitto è cioè il fondamento della politica, intesa quale insieme delle mosse strategiche compiute dagli individui (e gruppi di individui), fra cui si svolge un confronto (e scontro) nei suoi intimamente collegati aspetti economici, politici, cultural-ideologici.
Oltre a tutto, malgrado tante chiacchiere circa la “globalizzazione”, il conflitto non è libera competizione tra imprese nel mercato mondiale, in cui esse metterebbero in mostra la bontà della loro organizzazione produttiva a vantaggio dei consumatori. Competizione “virtuosa”, ritenuta spesso intralciata da “cattivi amministratori”, che guidano le politiche dello Stato in modo inetto o truffaldino; per cui il “bene” avanzerebbe solo se e quando si riuscisse a tagliare le unghie agli Stati, a superare la cosiddetta nazionalità dei diversi sistemi economici, avviandosi alla semplice e universale concorrenza tra “buoni produttori”. In realtà, il conflitto, legato alla politica nel suo senso proprio (le mosse strategiche), porterà sempre alla formazione di dati apparati specializzati nell’uso delle armi più efficaci per ottenere il successo. Che si tratti di signorie feudali, di monarchie, di Stati nella loro accezione moderna – sistemi complessi di apparati venuti via via ad esistenza con l’emergere della borghesia quale costellazione di gruppi dominanti, fra loro in lotta per la supremazia in date aree geografico-sociali (divenute nazioni) – non è mai esistita mera competizione tra “buoni produttori”, ma sempre intreccio di combattimenti tra gruppi dominanti, combattimenti in cui si formano, di volta in volta, mutevoli raggruppamenti di “alleati”. In questo, il capitalismo non è molto diverso dalle formazioni sociali precedenti.
Non sussiste affatto un processo di superamento degli Stati nazionali, come sostenuto sia dai neoliberisti della globalizzazione mercantile sia dagli “iperrivoluzionari” anticapitalisti (quelli delle Moltitudini, i no global e altri di quel genere). Esiste solo articolazione differente tra i vari gruppi dominanti, insediatisi in diversi sistemi sociali (economico-politico-culturali), che si battono tra loro sia all’interno di ogni paese sia nello scontro tra paesi. In questa lotta, esistono periodi (fasi storiche) in cui si crea, all’interno di un paese o anche sul piano di una molteplicità di paesi, la supremazia di un determinato gruppo dominante; altri periodi in cui si riacutizza il conflitto. E le armi usate sono quelle economiche, quelle culturali e, in ultima e suprema istanza, quelle degli apparati della sfera politica con le loro appendici militari, dove allignano i principali centri di elaborazione della politica nel suo senso specifico.
4. Quando si riaccende aspro il conflitto, si presenta lo scoordinamento e dunque la crisi, che assume pure i suoi tipici aspetti economici. Nelle formazioni precapitalistiche, si verificavano le vere e proprie devastazioni con distruzione di interi territori e l’annientamento delle loro capacità produttive (e dei produttori). Nel capitalismo, la riacutizzazione dello scontro vede anzi l’apparente fiorire della “virtuosa” (per gli ideologi dei dominanti) competizione tra unità produttive, poi seguita da scoordinamento, incapacità di cooperare alla programmazione comune malgrado l’enorme massa di chiacchiere di politici ed esperti di questioni economiche. Alla fine ci si rinuncia e si comprende che bisogna regolare definitivamente i conti. Noi siamo alla prima fase, quella del “gran chiacchierare”, anche se ormai ci si guarda con sospetto e cresce l’acredine tra i gruppi dominanti; soprattutto situati in aree geografico-sociali diverse per cui tale acredine si serve pure di polemiche nazionali. Per il momento, queste ultime sono tutto sommato in sottotono – perché il loro accentuarsi nuoce agli attuali predominanti, situati nel paese ancora più potente – ma destinate a rinforzarsi con il passare del tempo.
Si discute spesso se è o non è in atto la tendenza al multipolarismo. Quest’ultima non implica che si accentui regolarmente e in continuità il confronto tra più paesi. Il fatto che gli Stati Uniti abbiano (o almeno sembra che abbiano) di nuovo l’iniziativa sul piano mondiale – del resto favorita dalla loro preponderante forza militare (quella d’ultima istanza) – non giustifica conclusioni affrettate circa l’affievolirsi della tendenza in questione. L’ancora maggiore potenza ha mutato notevolmente strategia – l’abbiamo constatato più volte – usando adesso metodi più duttili e flessibili tesi a creare divisioni tra le fila avverse (o che ritiene tali); essa esplica in modo più circospetto l’aggressività diretta e distruttiva, preferendo coinvolgere, fin troppo spesso, complici che la mettono pure in difficoltà per la loro inettitudine e non sufficiente dotazione della forza d’ultima istanza. Questo è appunto sintomo preciso che il multipolarismo esiste come tendenza e la sua spinta non si è attenuata (anzi). Non è detto che gli Usa dovranno essere perdenti nel futuro scontro apertamente policentrico; ma a questo ci si sta avviando, con i tempi del tutto incerti della storia, che non conosce andamenti deterministici.
Ecco allora per quale motivo, mentre è facile (diciamo meglio: più facile) smuovere i mercati finanziari (cioè i gruppi qui preminenti) per usarli quale arma terroristica verso popolazioni e subdominanti dei paesi più deboli al fine di costringerli alla “resa” (alle condizioni poste dai predominanti con l’appoggio dei subdominanti di maggior forza: tipo la Germania nella UE), non ci si riesce altrettanto bene con la crisi reale, quella della sottosfera produttiva. Lo scoordinamento non sarà sanato, poiché non cesserà la spinta della tendenza multipolare. La crisi sarà lunga, ma non certamente con una continua discesa del Pil, dell’occupazione, ecc. Potranno esserci alcuni periodi in controtendenza, soprattutto per i sistemi/paese che sono in crescita di potenza o per quelli più robusti fra i subdominanti nella sfera d’influenza statunitense. I più deboli, invece, soffriranno (e molto). In ultima analisi, la situazione di scoordinamento e di sempre più disturbata interconnessione tra i vari sistemi in oggetto potrà essere risolta solo con la finale resa dei conti; questa, sì, “globale” o quasi.
Fanno ridere, in realtà solo rabbia, quelli che cianciano (in buona fede?) di decrescita, di ritorno a più sane abitudini meno consumistiche e non scialacquatrici, di nuovo rispetto per i “valori” e non per la ricchezza materiale, di minore sfruttamento della Natura che si starebbe ribellando alle smodate pretese dell’Uomo, ecc. Fanno meno rabbia i chiacchieroni che vorrebbero mettere al guinzaglio i “cattivi” finanzieri, i “cattivi” amministratori di uno Stato troppo esoso, gli esperti e tecnici che non capiscono nulla e non pensano alla crescita, essendo ossessionati dai conti pubblici da sanare con nuovi sacrifici impositivi e non con tagli alla spesa pubblica per mantenere stuoli di sanguisughe e nullafacenti.
5. Quel che dicono i secondi è in ogni caso meno inaccettabile di quanto sostenuto dai primi poiché, almeno, viene posta in luce l’incongruità di certi “tecnici” che avrebbero avuto il compito di sanare i conti pubblici. Considerare il deficit statale il peggiore dei mali era già stato qualificato di sciocchezza dalla pratica del New Deal e dalla teoria keynesiana. Di conseguenza, è ovvio che l’operazione (tutta politica!), condotta in Europa ma soprattutto nel nostro paese, ha ben altri scopi di quelli dichiarati. Se n’è parlato già più volte in questo blog e ancora ne discuteremo. Tuttavia, non è adesso quello di cui voglio trattare in conclusione del mio pezzo.
Mi sembra del tutto evidente che c’è molta confusione nella sfera detta ancora politica; ormai gli schieramenti esistenti, pur cambiando spesso di nome, da vent’anni a questa parte sono in pieno stato confusionale. Sono attraversati da molteplici spinte conflittuali, che si tende – credo in mala fede per lo più – ad attribuire ad ambizioni personali. Queste sussistono sempre; le battaglie per divenire i portatori soggettivi di dati processi, cioè per assurgere al ruolo di principali conduttori di tali processi, non cesserà mai finché durerà questo mondo in cui agiscono individui di una data specie animale, dotati di pensiero e molteplici capacità di inganno, raggiro, menzogna: il tutto teso a soddisfare ambizioni più o meno smodate. La confusione, l’incertezza, sta proprio nei processi, tipici di una fase di transizione, in cui, fra l’altro, non regge più molto – salvo che per un certo numero ancora cospicuo, ma non sufficiente, di cretini del “popolo di sinistra” – quello “specchietto per le allodole” rappresentato dal “Berlusconi sì, Berlusconi (mille volte) no!”. Meglio essere distrutti economicamente, sfasciati socialmente e politicamente piuttosto che vedere ancora in campo il Mostro, l’unico grande corruttore del mondo; questa l’idea degli idioti del “ceto medio semicolto” e di quei furfanti che li guidano autodefinendosi “progressisti”.
Al di là, comunque, del maggiore o minore fastidio che provocano – in chi ha ancora voglia di nutrire un pensiero meno semplicistico e superficiale – le scemenze decresciste o invece le intenzioni di riprendere la crescita, il problema centrale non è questo. E’ invece indispensabile valutare, il più obiettivamente possibile, la congiuntura storica in cui siamo entrati, quella appunto caratterizzata dalla tendenza multipolare: non lineare e continua, ma sempre attraversata dal solito movimento a fisarmonica, tipico di una “realtà” in tumultuoso e caotico fluire, che gli umani vorrebbero regolare e rendere stabile in modo da poterlo prevedere con sufficiente sicurezza. Ci riescono per determinati periodi, ma solo quando il conflitto, dopo essere giunto al suo acme e allo scontro decisivo, si è concluso con il netto prevalere di dati gruppi, di dati paesi, di date forme (dei rapporti) sociali, che assicurano per un’epoca più o meno lunga il relativo coordinamento d’insieme; quel coordinamento, ad es., che nel “campo capitalistico” (centrato sugli Usa), nei primi decenni del dopoguerra, fece pensare al tramutarsi delle crisi in recessioni (era solo una questione di quantità, non di mutamento qualitativo e definitivo).
E’ indispensabile che oggi riprendano il sopravvento portatori soggettivi consci della trasformazione subita dalla tendenza di lungo periodo, non più illusi da apparenti coordinamenti soltanto dovuti ad una fase di netta supremazia di un paese rispetto ad una sua larga sfera d’influenza, comprendente tutti i paesi capitalisticamente sviluppati (ivi compresi i due grandi sconfitti, Germania e Giappone, in nuovo rigoglio ricostruttivo). La “realtà obiettiva” è ormai lanciata verso nuove fasi di scontro e di preparazione – appunto confusa e pasticciata, piena di continui cambiamenti delle “variabili” (non certo solo quelle economiche, le più superficiali) relative ai reciproci rapporti di forza – della resa dei conti, che si renderà sempre più evidente e pressante. I portatori soggettivi odierni, residuati della precedente fase, attaccati alle ormai superate “fissazioni”, non sono più adeguati alla nuova epoca. Tuttavia, nella storia sempre si crea e si acuisce lo iato tra mutate condizioni oggettive dei processi e soggetti che continuano ad agire secondo i vecchi “riflessi condizionati”, ridotti alla stessa condizione del “cane di Pavlov”.
Si crea così una situazione di particolare vischiosità e di pantano sempre più simile alle sabbie mobili, dove si tende a sprofondare; ed ogni movimento scomposto che compiono questi antiquati soggetti agenti, ormai da museo, fa affondare viepiù le popolazioni, i paesi, le forme sociali. C’è bisogno di un “mondo nuovo”, ma questo stenta a nascere, dovrà affrontare le lunghe doglie del parto. Chi non vuole rendersene conto, e punta ancora sul ritorno di fasi di lunga crescita accelerata in relativo comune accordo (o, comunque, con conflittualità contenuta e fatta passare per “virtuosa” competizione), porterà le “sue” genti allo scatafascio.
E’ soprattutto necessario attrezzarsi ad un lungo conflitto nell’ambito di un mondo incerto e colmo di insidie, in cui si dovrà passare per situazioni di grande complicazione. Ciò non significa la totale dimenticanza delle condizioni in cui vive la maggioranza di coloro che pur vengano guidati da nuove élite di agenti (di portatori soggettivi). Non ci si dovrà però più affidare a “tecnici”, impregnati di vecchie teorie liberali; bensì a politici, che si servano anche di tecnici per alcuni bisogni limitati (“nello spazio e nel tempo”) e che invece badino a non demoralizzare i propri seguaci, i combattenti dei nuovi conflitti che si verificheranno. Meglio sacrificare tanti bei sogni di “alta idealità”; in effetti, soltanto una pura ideologia truffaldina propalata dai vecchi “cani da guardia”, ostinati nel non mollare l’osso che le loro fauci ormai sdentate non riescono più a tenere in bocca.
L’astratto ideale europeista è negativo se affonda le popolazioni dell’area (quanto meno la loro stragrande maggioranza) nell’indigenza e nella crescente incertezza circa il loro futuro. E’ chiaro che nuove élite dovranno rifarsi per un dato periodo alla difesa degli interessi detti nazionali; e non per ritornare a strimpellare il bel suono della Patria, ma semplicemente per non consentire ad altri di approfittare della generale situazione di crisi, e dunque di più sconvolgente andamento conflittuale, per accattivarsi le loro popolazioni. Nel contempo, però, queste élite saranno anche tenute a rendere edotti i popoli che guidano circa le difficoltà della nuova epoca in cui stiamo entrando, non fingendo la ripresa di chissà quali nuove ondate di tumultuosa, e generale, crescita di tutti. Questa la via che dovrà infine essere imboccata. Il problema è quello dei tempi. Alla fine, i vecchi portatori soggettivi saranno travolti dai nuovi processi (multipolari) in corso. Chi cambierà prima sarà tuttavia avvantaggiato; i ritardatari resteranno a recitare la parte dei servitorelli, arricchendosi a spese delle popolazioni mandate in malora. Ci si svegli dal letargo! Eliminare il vecchio, abbattere i ritardatari!