Il gioco a rischio della Cina con le sue banche
[Traduzione di Piergiorgio Rosso da: China’s Brinksmanship with its Banks | Stratfor]
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I recenti scricchiolii della banche cinesi hanno ricordato al mondo il reale pericolo insito nella attuale trasformazione economica del paese. Mercoledì scorso il Consiglio di Stato, la più alta autorità della burocrazia statale, ha dichiarato che l’economia era “in generale” stabile, ma ha enfatizzato le sfide delle riforme di mercato pianificate, che dovrebbero trascinare la crescita. Il consiglio, guidato dal N.2 del partito, il premier Li Keqiang, ha anche enfatizzato che la politica monetaria rimarrà “prudente”, nonostante gli inviti ad una politica più accomodante per abbassare i tassi interbancari. Gli alti tassi interbancari insieme alle recenti difficoltà di vendita nelle recenti aste di titoli statali, ricordano l’ultima crisi di liquidità, a metà 2011, tranne che oggi i tassi sono più alti e che una banca è fallita per un prestito inesigibile. Sebbene gli analisti adducano una congerie di fattori stagionali e di pratiche contabili per giustificare la crisi di liquidità, la realtà è che la Banca del Popolo della Cina ha evitato di iniettare liquidità per alleviare la momentanea crisi. Dato che la banca centrale ha le risorse per dare alle banche molto più lasco, la mancanza di intervento significa che essa crede che la situazione rimarrà sotto controllo.
E’ difficile pensare che la banca centrale, nel restringere il credito, desideri indurre le banche a fallire. Le più grandi banche statali si dice abbiano cominciato a premere per una politica di maggiore allentamento. Il comunicato del Consiglio di Stato, insieme a segnali nei media di Stato, suggeriscono che la banca centrale ancora non si smuoverà. Al momento la situazione sembra più un dibattito istituzionale di alto livello piuttosto che una metastasi di fallimenti bancari che si diffonde nell’intero sistema finanziario. Tuttavia questa apparenza potrebbe cambiare rapidamente se i fallimenti bancari dovessero moltiplicarsi, e soprattutto se l’intervento della banca centrale dovesse in qualche modo dimostrarsi incapace di riportare fiducia.
Anche se l’attuale tensione sparisse entro l’estate, essa indica l’instabilità del sistema sottostante. Stratfor ha da tempo sostenuto che la Cina non ha sviluppato quei mezzi alternativi di crescita che le permetterebbero di uscire dal vincolo del debito che ha accompagnato il suo trentennale boom. La caduta della crescita delle esportazioni dal 2009, i tentativi del governo di mettere a punto lo sviluppo interno come rimpiazzo e la necessità di effettuare cambiamenti fiscali, finanziari e legali, hanno portato ad una transizione economica che i precedenti leaders hanno pensato di passare ai loro successori. Ora i successori sono qui e si confrontano con la sfida di guidare la transizione anche se il sistema finanziario cede sotto il peso dei ritardi accumulati.
Molta attenzione è posta sui leader cinesi. Essi sono consci della gravità del problema e sono d’accordo sulla necessità di mantenere stabilità. Ma la nuova amministrazione deve anche garantire la credibilità delle riforme che sta lanciando nei prossimi mesi. Se cedesse dalla sua attuale ferma posizione, il che accadrà certamente nel caso di una grave crisi finanziaria, allora rischierebbe di tagliare le unghie alle future riforme. Se invece non cedesse, rischierebbe come minimo di innescare problemi non facili da contenere. La banca del Popolo sembra del tutto in grado di fermare le tensioni immediate, ma la parte più dura della transizione economica deve ancora cominciare.