La “domenica delle salme” dell’industria strategica nazionale

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I ministri dei temporali in un tripudio di tromboni…auspicavano liquidazioni, parafrasando ed aggiornando il De André della “domenica delle salme”.  Così, i nostri attuali politicanti non sono da meno nell’annunciare disgrazie per il Paese allorché qualcuno prova ad avanzare l’ipotesi di liberarsi di loro.

Salito Monti al Governo, con un colpo di mano tecnocratico favorito dalla partitocrazia, veniva sostenuto che qualsiasi attacco alla sua leadership avrebbe comportato un cataclisma nazionale. Poi il bocconiano se n’è andato ma l’apocalisse non è arrivata. Anzi, a distanza di qualche mese scopriamo che l’emerita testa di professore ha peggiorato la situazione dei bilanci pubblici per la quale era stato invocato, come un deus ex machina, da destra e da sinistra.

Se dovesse cadere Enrico Letta, sentenziano oggi gli stessi che ci terrorizzavano ieri, verrebbe giù il diluvio universale. Speriamo che a questo punto gli italiani abbiano capito il ricatto psicologico e non si facciano più intimorire da tali venditori di fumo e di iettature.

La distruzione non fa più paura al popolo, mentre i profeti di sventura, incapaci di recuperare dignità e sovranità, continuano a fargliene ancora tanta, in quanto sono proprio essi gli esecutori materiali dei loro stessi foschi presagi. I barbari non verranno perché sono già dentro le mura della città travestiti da irreprensibili burocrati e sobri politici.

Li guida un innominabile, il cui nome è impronunciabile anche nel tempio della democrazia. Egli è infallibile nell’esercizio delle sue funzioni, comprese le telefonate private. Garante delle larghe intese è il vicario delle divinità oltreoceaniche nel Belpaese.

Ormai è chiaro il compito di cui uominicchi e semidei sono stati investiti, per il bene delle patrie altrui. Liquidare il patrimonio strategico italiano svendendolo al peggior offerente. Non passa giornata che, con qualche dichiarazione avventata, poi ritirata o calmierata (ma la logica della partita al massacro consiste in questo tiremmolla ubriacante di annunci, smentite e contro smentite), si mettano sul mercato le nostre imprese di punta, da Eni ad Enel a Finmeccanica.

Sia chiaro, chi scrive non è un cultore della proprietà pubblica di ogni bene, spesso il privato è in grado di fare di più e meglio, laddove opera come un imprenditore vero, cioè rischiando in proprio mezzi e capitali, e non come prenditore parassita delle risorse dei contribuenti attraverso gli aiuti di stato.

Ma la disputa pubblico-privato è altamente ideologica e fuorviante quando si dipana dai classici pregiudizi di chi ritiene lo Stato una mera macchina contemperatrice degli interessi generali o da quelli opposti e speculari di chi, invece, considera il mercato un meccanismo automatico di competizione e concorrenza leale. Né l’una né l’altra cosa, poiché tutto dipende dalla natura e dai progetti dei gruppi decisori che siedono nelle istituzioni pubbliche o ai vertici delle compagnie private, nonché dalla loro visione degli avvenimenti epocali e delle istanze nazionali.

Oggi, i privati che insidiano le compagnie pubbliche, collegandosi ai piani alti di aziende straniere o, ancora, facendo pesare le loro relazioni con gli organismi internazionali, sperano di fare cassa raccogliendo le briciole che cadranno dai banchetti allestiti dai nostri detrattori esteri, con l’ausilio di rappresentati governativi ugualmente interessati al bottino.

Per questo guardiamo con sospetto ai movimenti sui tesori industriali dello Stato che producono dividendi e hanno ancora un grande potenziale di sviluppo e di affermazione sulle piazze estere. Sappiamo come sono andate a finire le privatizzazione dei primi anni ’90 e ricordiamo, purtroppo, come l’Italia si sia impoverita dopo quelle operazioni scriteriate. Basta coi capitani coraggiosi e coi politici falsi e ipocriti che paventano la catastrofe “con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni” (restando a De André). Evitiamo una domenica delle salme dell’industria strategica nazionale perché se riceviamo un altro colpo di simile non avremo la forza di rialzarci. Ci stiamo giocando l’Italia e siamo circondati da giuda italioti.