SI AVVICINA IL MOMENTO? di GLG
http://it.reuters.com/article/topNews/idITMIE98300120130904
posizione che, se fosse risultata così com’è stata riportata da una stampa ormai al di là di ogni credibilità, mostrerebbe una singolare debolezza della Russia (dei settori putiniani). In realtà, al momento Putin sembra aver sostenuto che non ha intenzione di legittimare un attacco se non sotto l’egida dell’Onu e sulla base di prove certe: “Senza l’avallo dell’Onu, il Congresso Usa sta legittimando un’aggressione alla Siria”, ha detto nel corso di un intervento a Mosca. E ha aggiunto: “In ogni Paese il Parlamento sanzionerebbe un atto simile perché tutto quello che va oltre l’inquadramento del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, a meno che non si tratti di autodifesa, è un’aggressione”. E ancora: “La Siria, come il mondo arabo, non sta attaccando gli Stati Uniti” (dichiarazioni lette ne Il Sole24ore). Affermazioni che forse si vorrebbero più secche, come quelle pronunciate parlando con Cameron alcuni giorni fa (e di cui è stato diffuso un video riportato anche nel nostro blog); tuttavia, non sembrano affatto un avallo, nemmeno morbido e mascherato. Sarà meglio attendere i “fatti”. Se ci sarà attacco, sarà dopo il G20; ed è qui che si preciseranno meglio le intenzioni della Russia e degli altri “attori”.
Intanto Obama, sempre più frenetico e nervoso, dichiara: “Il Nobel? Non lo meritavo. Agirò negli interessi del Paese” (un minimo di autoconsapevolezza che è un promotore di guerre e aggressioni da quando è stato nominato presidente). Si è assicurato alla Camera l’appoggio di una parte dei repubblicani. Il suo antagonista alle elezioni del 2008, McCain, aveva annunciato il suo voto contro la bozza, frutto dell’intesa bipartisan in Senato sul via libera ai raid in Siria, perché si tratterebbe di un “compromesso”, mentre lui è favorevole a un “intervento più massiccio” (di bene in meglio!); comunque ha già cambiato idea e annunciato il suo appoggio.
Nel contempo, si dice senza più pudore che iniziano le infiltrazioni in Siria patrocinate dalla Cia e non solo (l’esercito non sta certo a guardare):
L’impasse dei centri strategici obamiani sembra al momento in via di superamento negli Stati Uniti e quindi l’attacco si dovrebbe avvicinare. Si verificherebbe comunque una nuova svolta nella partita che è pur sempre quella tipica delle situazioni multipolari in accentuazione. Sbaglia a mio avviso chi pensa il contrario. Dopo il crollo dell’Urss (del resto avvenuto per lunga involuzione di quella “struttura” politica e sociale) è ovvio che la forza militare statunitense ha preso un grande vantaggio, ben lungi dall’essere annullato o anche fortemente intaccato in questa fase. La forza in questione giocherà senza dubbio in varie occasioni a vantaggio del paese che la sfoggia, ma è proprio la politica (in quanto “complesso di mosse strategiche tese alla supremazia”) di detto paese ad essere secondo me deficitaria e miope sul lungo periodo.
Gli Usa stanno oscillando tra la posizione che fu della strategia durante la presidenza Bush, favorevole a massicci attacchi condotti in prima persona dall’esercito statunitense, con precisi interventi anche “di terra”; e quella preferita da dati ambienti “democratici” che puntano a pesanti “dimostrazioni” dall’alto (con forti distruzioni “logistiche”), all’impiego di sicari (detti “alleati”) e all’uso di infiltrazioni e, se possibile, quinte colonne; il tutto condito con promozione di caos e delle possibili divisioni (del tipo di quelle tra sunniti e sciiti nel movimento islamico). In Serbia, tale strategia ottenne buoni risultati; nelle occasioni successive assai meno. E non credo che la Siria farà eccezione. Il massimo ottenibile è il caos libico; se è meno di questo, si tratterebbe di una sostanziale sconfitta.
A questo proposito mi consento un intermezzo. Se fossi negli inglesi avrei qualche sensazione di pericolo dopo il voto parlamentare contrario all’intervento in Siria. Cameron, messo in minoranza con sua stessa evidente sorpresa, potrebbe organizzare una piccola, meschina Pearl Harbor (del resto, non si dice che la storia si ripete in farsa? In questo caso comunque tragica). Ricordo l’antefatto ben più grande ed “epocale”. Il “presidente buono” Roosevelt voleva entrare nella seconda guerra mondiale. Il Congresso era a nettissima maggioranza contrario (e così pure l’opinione pubblica). Furono assai “stimolati” (provocati) i giapponesi, i cui Servizi si fecero ingannare dalla presenza della gran parte della flotta Usa appunto a Pearl Harbor (o Harbour). Fu programmato l’attacco, ma i suddetti Servizi non funzionarono bene se non si accorsero che alcuni giorni prima di quello X (gli americani è credibile lo conoscessero) erano state ritirate tutte le portaerei e alcune corazzate statunitensi. Una parte fondamentale della flotta Usa restò quindi intatta e, con il “minimo sacrificio” di poco più di 3000 soldati, Roosevelt ebbe dalla sua il Congresso all’unanimità (o quasi). E non si pensi che io stia facendo dell’ironia. La politica è sempre criminale; si tratta di vedere se vi è ampiezza di visione nei propri obiettivi (e stretta necessità di quel crimine per realizzarli) oppure vile meschinità, ambizioni esclusivamente personali e superfluità di quel “sacrificio”.
Ora, sia pure molto ma molto in piccolo (e in meschino), Cameron potrebbe pensare a “provocare” (in questo caso, credo però che dovrebbe esservi un decisivo aiuto organizzativo dell’Intelligence inglese) un qualche attentato, meglio se con gas (ma non necessariamente), da poter attribuire ai siriani o gruppi alleati. Tuttavia, è solo un pensiero maligno, è più probabile che non vi sia bisogno di tale marchingegno; pur se penso che il governo inglese sia veramente “depresso” nel non potersi mostrare, come sempre, il miglior “alleato” (sicario) dei potenti “cugini”. Troveranno comunque qualche soluzione di ripiego. Basti pensare al governo italiano, che ha pomposamente dichiarato il “non intervento” se non c’è avallo dell’Onu, ma ha inviato con “finalità protettive” due nostre navi da guerra.
In ogni caso, a parte la maliziosa “interruzione”, mi interessava porre in luce come ancora una volta si evidenzi che la politica è l’aspetto principale dell’agire sociale; essa dipende da una serie di valutazioni, più o meno appropriate, che gli agenti (i soggetti portatori) compiono prima di muoversi secondo date direzioni. E le valutazioni devono tenere conto del complesso di interazioni tra questi agenti, fra cui corrono forme di relazioni, storico-socialmente determinate, anch’esse da indagare. Spesso si è un po’ grossolani nel pensare alla politica rifacendosi alla considerazione di una serie di apparati, soltanto strumenti dell’agire in questione. Indubbiamente detti apparati, una volta conformatisi o costruiti in un dato modo, influiscono sulle modalità con cui si muovono gli agenti. Tuttavia, è indispensabile trattare gli apparati quali strumenti; bisogna risalire alle intenzioni di chi li utilizza e dalle intenzioni andare alle configurazioni di rapporti (compresi quelli di forza) in cui sono stretti i “soggetti” nelle differenti congiunture o perfino in ampie fasi storiche.
Oggi seguiamo con attenzione, e con comprensibile preoccupazione, l’andamento di queste mosse statunitensi nel teatro mediorientale, che oltre tutto indignano per la loro arroganza intessuta di menzogne mediocri e sempre le stesse; e ci irritiamo profondamente per la stupidità della “gente” che continua a bersi appunto le medesime fanfaluche di sempre, anche perché capiamo che non di semplice stupidità si tratta, ma proprio di insensibilità, di noncuranza di fronte alle peggiori azioni criminali dei prepotenti, di accettazione di tutte le loro malefatte nella speranza di potersene stare tranquilli al calduccio delle proprie comodità. Errore madornale, che infine si pagherà; d’altra parte, queste popolazioni, per il 90% così assenti, così fondamentalmente conniventi, avranno quello che in fondo si meritano. Ed è ora di finirla di incolpare soltanto i cosiddetti dominanti; le popolazioni dei prepotenti sono complici a tutti gli effetti. Prenderemo atto, se scatterà l’attacco alla Siria, del comportamento dei popoli europei (lasciamo perdere quello americano). Sarà come per la Serbia, per l’Irak, la Libia e tutti gli altri che non nomino per brevità. Una simile torpidità verrà pagata entro tempi storici di media lunghezza, di difficile precisazione per quanto concerne eventi di ben più ampio ventaglio di quelli appena citati.
E’ in ogni caso ovvia l’importanza di analisi puntuali delle contingenze relative al presente. Tuttavia, a me sembra ormai urgente e tassativo dedicarsi pure ad una trattazione più generale dei problemi mediante la riformulazione delle più che logorate categorie indispensabili alla comprensione dei lunghi periodi (delle fasi ed “epoche storiche della formazione sociale”).