Dopo dieci anni di relativa stabilità, una serie di sfide geopolitiche stanno surriscaldando il clima politico in Indonesia, anche in vista della imminente stagione elettorale. Le elezioni arrivano in un momento che rappresenta un punto di svolta cruciale per l’Indonesia, che sta affrontando una crisi economica le cui cause sono la sua necessità di riforme strutturali, il rallentamento della Cina, la crisi in corso in Europa e la graduale eliminazione dello stimolo monetario degli Stati Uniti. Quindi nel breve e medio termine il paese deve affrontare una transizione difficile, anche se non si arriverà alle soglie della disintegrazione seguita al crollo del regime dell’ex presidente Suharto nel 1998. Al contrario, l’Indonesia ha la possibilità di beneficiare degli enormi cambiamenti in Cina e del crescente impegno degli Stati Uniti nella regione Asia-Pacifico.
Analisi
Le elezioni indonesiane non sono mai state semplici. Il periodo immediatamente successivo alle elezioni del 2009 ha visto il duplice attentato suicida agli hotel Marriott e Ritz-Carlton di Jakarta da parte del gruppo militante Jemaah Islamiyah. Anche se il governo indonesiano ha fatto passi da gigante nella lotta contro tale gruppo, non si può escludere per il futuro la possibilità di altri attentati. E anche a prescindere dalle minacce dei gruppi estremisti, le elezioni indonesiane coinvolgono una popolazione enorme ed eterogenea sparsa su numerose isole tra di loro molto diverse – più di 170 milioni di elettori saranno registrati e voteranno per centinaia di seggi nazionali e migliaia di seggi provinciali e municipali. Solo pochi giorni fa, le province della Papua e della Papua Occidentale sono state suddivise in tre nuove province e 26 nuovi distretti, riflettendo il decentramento amministrativo in corso. Il recente susseguirsi di campagne anti-corruzione, nomine politiche, disegni di legge, proclamazioni di scioperi e dimostrazioni dimostrano che i diversi attori politici del paese stanno rapidamente manovrando per prepararsi al voto parlamentare di aprile e al voto presidenziale di giugno.
Non vi è alcuna garanzia che le elezioni del prossimo anno saranno tranquille, tuttavia nel corso degli anni le elezioni sono diventate un fatto più ordinario. Le prossime saranno le quarte dopo la caduta di Suharto nel 1998; le prime si sono svolte sotto leggi diverse e mentre la nazione quasi crollava, stretta tra stagnazione economica e movimenti di secessione. Le elezioni del 2004 e del 2009 sono state vinte dall’attuale presidente Susilo Bambang Yudhoyono, i cui 10 anni al potere hanno coinciso con il ritorno a una relativa stabilità e un boom economico che è proseguito pur attraverso la crisi finanziaria globale . Yudhoyono non può ricandidarsi per un terzo mandato, aprendo così il campo ad altri candidati. Anche se la popolarità del presidente e del suo Partito Democratico è calata col peggiorare delle condizioni economiche, soprattutto negli ultimi anni, la sua eredità poggerà probabilmente su questo decennio di normalizzazione e di crescita.
Le sfide incombenti
Le prossime elezioni pongono la questione se la leadership post-Yudhoyono in Indonesia sarà in grado non solo di preservare la stabilità, ma anche di capitalizzarla attraverso un ulteriore sviluppo economico. In generale, i nuovi leader dovranno moderare o in alcuni casi invertire la tendenza post-Suharto al decentramento per privilegiare gli obiettivi di sviluppo nazionale che richiederanno un più alto livello di coordinamento tra le regioni.
Tuttavia, dovranno anche navigare in acque internazionali agitate. Per via di una forte domanda interna e del calo dei prezzi delle esportazioni, il saldo di bilancio indonesiano è diventato negativo nel 2012-13, per la prima volta dopo la crisi finanziaria asiatica del 1997. L’Indonesia non è così dipendente dalle esportazioni come molti dei suoi vicini, ma le esportazioni restano una componente essenziale della crescita – e al momento non sembrano promettenti. Le esportazioni totali si sono ridotte del 6 per cento nel corso del 2013. Le esportazioni di petrolio e di gas naturale hanno costituito quasi il 20 per cento delle esportazioni dal 2002 , ma in questa frazione d’anno 2013 la loro quota è di circa il 18 per cento, in calo di circa il 19 per cento rispetto al 2012. Il calo delle esportazioni fa parte di una tendenza di lungo periodo al declino della produzione di petrolio, ma è anche il risultato del calo dei prezzi internazionali delle materie prime, incluse altre esportazioni indonesiane come carbone, gas naturale, gomma e olio di palma. Questo calo, combinato con una forte domanda interna di beni di consumo e capitali, ha generato il deficit di bilancio, indebolendo la moneta e la crescita.
Tre tendenze mostrano che le esportazioni in sofferenza non rappresentano un fatto temporaneo. In primo luogo, il rallentamento economico della Cina è uno dei fattori principali a cui imputare la caduta dei prezzi delle materie prime. La Cina è la principale destinazione delle esportazioni indonesiane, rappresentando quasi il 14 per cento del totale delle esportazioni di quest’ultimo anno. In secondo luogo, anche la crisi in Europa ha pesato – le esportazioni indonesiane verso i Paesi Bassi, la Francia, il Regno Unito e la Germania hanno subito una battuta d’arresto (questi Stati insieme costituiscono circa il 6 per cento delle esportazioni indonesiane) .
In terzo luogo, le aspettative sulla prossima stretta monetaria degli Stati Uniti hanno già causato turbolenze, contribuendo alla svalutazione della rupia [la moneta indonesiana, NdT] di oltre il 10 per cento quest’anno e al calo del mercato azionario per più del 15 per cento. Certo, la ripresa economica degli Stati Uniti – collegata al tapering quantitative easing – è in definitiva un bene per l’Indonesia, dal momento che gli Stati Uniti rappresentano l’8 per cento delle esportazioni e sono al momento (e continueranno ad esserlo) uno dei maggiori investitori in Indonesia . Ma la transizione verso un mercato di capitali esteri più costosi e il rapido aumento del debito verso l’estero espresso in dollari conseguente alla caduta della rupia richiederanno manovre importanti.
Queste tendenze esterne genereranno una burrascosa transizione perlomeno nel breve e nel medio periodo, convincendo Jakarta della necessità di intraprendere riforme strutturali – una sfida perenne. Il “Master Plan” di Yudhoyono per lo sviluppo economico fino al 2025 non può sopravvivere alle elezioni nella sua forma attuale, ma i principi che ne stanno alla base riflettono un ampio consenso indonesiano sul percorso per la futura crescita. Questo percorso richiede la riduzione della dipendenza dalle esportazioni di materie prime e lo spostamento degli investimenti verso le infrastrutture interne per facilitare il trasporto e risolvere le carenze del settore energetico, insieme allo sviluppo dell’industria manifatturiera ad alto valore aggiunto e di settori quali la distribuzione al dettaglio, le comunicazioni, i servizi finanziari e altri servizi. Il paese ha un vasto mercato di consumo, ma una serie di problemi interni ne hanno impedito lo sviluppo: i redditi bassi, una inflazione crescente (sopra l’8 per cento quest’anno), la carenza di infrastrutture e di servizi pubblici, una normativa particolarmente ingessata, delle politiche commerciali protezionistiche, un mercato del lavoro rigido e la particolare miscela indonesiana di decentramento e invadenza dello Stato.
Uno sguardo alle elezioni
Il diffuso malcontento verso l’andamento dell’economia e i già citati cambiamenti dello scenario internazionale suggeriscono che gli elettori possano con buona probabilità votare per cambiare il partito al governo del paese. Mentre Yudhoyono ha ottenuto la sua rielezione con oltre il 60 per cento dei voti nel 2009, gli indici di gradimento della sua amministrazione sono caduti da poco più del 50% a poco più del 40% nel corso di quest’anno, il che suggerisce che il Partito Democratico in carica è vulnerabile. La festa è durata solo una decina d’anni, e resta da vedere quanto bene possa andare senza Yudhoyono al timone. Lui ebbe successo attingendo alla sua esperienza in campo militare e nei governi di entrambi i periodi Suharto e post-Suharto, e anche riuscendo a tenere insieme una coalizione di riformisti laici, funzionari pubblici e un certo numero di partiti islamisti. Per venire incontro al pubblico, i democratici hanno deciso di lasciare che gli elettori scelgano il loro candidato alla successione di Yudhoyono; tuttavia, mentre questo piano potrebbe aiutare il partito a evitare di sostenere il candidato sbagliato, potrebbe anche segnalare una mancanza di leadership e di programmi.
Nel frattempo, i sondaggi dello scorso anno suggeriscono che il paese è attratto da un giovane uomo d’affari e arrivista politico piuttosto che dalla miriade di altri candidati che hanno partecipato alle elezioni precedenti. Anche se non ancora ufficialmente un candidato, il governatore di Jakarta Joko Widodo (conosciuto in Indonesia come Jokowi ) ha distanziato gli altri politici in popolarità. Jokowi è un giovane populista e un ex venditore di arredamenti che è diventato un difensore delle politiche di sostentamento per i poveri e un aperto critico della corruzione del governo. Egli è un membro del Partito Democratico di Lotta Indonesiano (Indonesian Democratic Party-Struggle) ora all’opposizione, guidato dall’ex presidente Megawati Sukarnoputri, figlia del primo presidente indonesiano Sukarno . Megawati potrebbe candidarsi di nuovo nel 2014 – il che significa che la politica interna del partito potrebbe ostacolare la sua candidatura alla presidenza – ma la popolarità di Jokowi suggerisce che il partito avrebbe più fortuna con lui sia come presidente che come vicepresidente.
Dietro Jokowi nei sondaggi c’è Prabowo Subianto, un discusso ex militare delle forze speciali di stampo nazionalista che ha fondato un suo partito (il partito del Grande Movimento Indonesiano) per le elezioni del 2009. Prabowo ha criticato l’eccessiva concentrazione di ricchezza e potere a Jakarta e sostiene di essere un deciso sostenitore dell’ampliamento delle infrastrutture e delle attività economiche per le regioni più periferiche. E’ un politico carismatico e non lo si deve pensare fuori dai giochi, sebbene non abbia avuto successo nelle elezioni precedenti.
Gli altri principali candidati provengono per lo più dal Golkar, il partito di governo ufficiale sotto il regime di Suharto. Il partito ha sofferto nelle recenti elezioni, e il suo candidato per il 2014, Aburizal Bakrie, sta già lottando per ottenere il sostegno all’interno del suo partito dopo che esso è stato colpito da accuse di corruzione che ne hanno affossato diverse figure di primo piano. Ma il partito ha ancora un peso sufficiente per fare la differenza quando si tratterà di formare coalizioni di governo.
Quindi ciascuno dei partiti più rappresentativi del paese ha un suo candidato. Il numero di partiti in parlamento si è ridotto nel corso degli anni; i piccoli partiti rimangono popolari quando considerati nel loro insieme, ma individualmente non riescono a varcare la soglia per avere rappresentanti nazionali. Anche i partiti a diffusione nazionale dovranno formare coalizioni, dal momento che la maggior parte di essi non sarà verosimilmente in grado di conquistare un numero di seggi necessario a presentare un candidato alla presidenza per conto proprio, per non parlare del governo. Le coalizioni si formeranno su scelte di opportunismo piuttosto che di campo, e privilegeranno gli interessi di partito invece di fondarsi su basi ideologiche o piattaforme politiche comuni.
Preparandosi per il futuro
E’ improbabile che riforme strutturali importanti abbiano luogo nei prossimi due anni. Esse sono intrinsecamente difficili a ridosso delle elezioni, e il prossimo governo dovrà insediarsi, prima di provare a portare avanti il suo programma. Anche oltre il periodo di transizione, le aspettative di riforme devono rimanere caute. Dare più peso alle aziende private del mercato interno, nel settore manifatturiero e altrove, è più facile a dirsi che a farsi, dato che il bilancio del governo dipende in larga misura dall’energia, dall’agricoltura, dall’estrazione mineraria e dalle altre industrie di base, che tradizionalmente godono di privilegi statali. Il modello di sviluppo guidato dallo stato, una burocrazia asfissiante e gli scioperi frequenti continueranno a preoccupare gli investitori stranieri.
Le stesse lotte politiche di Yudhoyono dimostrano le difficoltà di attuare riforme. Mentre l’attuale presidente ha costretto ad accettare aumenti di prezzo dell’energia elettrica nel 2011 e del carburante nel 2013 per tagliare l’enorme peso dei sussidi statali nel bilancio pubblico, è improbabile un programma completo e prolungato di riforma dei prezzi. I tagli ai sussidi statali sono stati sporadici, più per necessità di bilancio che come parte di un grande piano per eliminarli del tutto. I tentativi di Yudhoyono di rivedere la sua stessa legge mineraria per gestire meglio i permessi di estrazione dopo avere trasferito la competenza alle regioni evidenziano la lotta a largo raggio che Jakarta affronta nel tentativo di riaffermare il suo ruolo direttivo nello sviluppo economico. Sul fronte energetico, la produzione di petrolio continua a scendere più dei consumi, la produzione di energia elettrica segna il passo e il governo sta prendendo in considerazione rigidi controlli sulle esportazioni di carbone. Il paese deve ancora coordinare le riforme relative a investimenti, infrastrutture e politiche sui prezzi che sono necessarie per gestire la sua bilancia dei pagamenti e garantire allo stesso tempo l’approvvigionamento energetico nazionale.
Nonostante si trovi di fronte una incerta transizione politica ed economica, l’Indonesia mantiene alcuni vantaggi. Mentre la politica di riassetto del portafoglio valutario della Cina potrebbe danneggiare le esportazioni, essa dà all’Indonesia la possibilità di attrarre i più importanti investitori della regione, come Singapore, Giappone e Corea che vogliono sganciarsi dalla Cina e cercare di espandere le esportazioni di infrastrutture e gli investimenti a lungo termine nelle economie emergenti in rapida crescita. Il vasto e crescente mercato indonesiano dei consumatori lo distingue dai suoi vicini del sud-est asiatico, purché i suoi leader affrontino le rivendicazioni sociali e regionali abbastanza abilmente da consolidare la stabilità socio-politica e la percezione internazionale su di essa.
L’Indonesia conserva inoltre un ruolo di leadership all’interno della Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico, i cui membri si stanno integrando più strettamente così come stanno formando legami più estesi con i partner commerciali della regione e con i partner più lontani, come gli Stati Uniti, l’India e la Russia. Infine, il rinnovato impegno degli Stati Uniti nella regione offre prospettive non solo di investimenti di alta qualità, ma anche di cooperazione di difesa e sicurezza che consentirà all’Indonesia di mantenere la sua attenzione sullo sviluppo economico, anche di fronte all’eventuale intensificarsi delle minacce alla sicurezza regionale.
Proseguendo il discorso, il governo indonesiano si concentrerà sul mantenimento della crescita economica, ma rimarrà tiepido sulle riforme liberiste e sulle privatizzazioni, preferendo invece rafforzare la sua base di potere nelle industrie statali, l’apparato burocratico e l’esercito. Le riforme continueranno ad avere valenza occasionale, a essere frammentarie e tecnocratiche, ma il populismo è in aumento e il governo farà uso di sussidi nel mercato dell’energia, di politiche di importazione ed esportazione protezionistiche e altri strumenti che verranno ritenuti necessari, nonostante le distorsioni del mercato e le inefficienze che derivano. La sfida cruciale nel periodo post-Yudhoyono sarà quella di invertire gli eccessi delle politiche di decentramento, dato che esso gioca un ruolo nella innata frammentazione geografica del paese e nelle sue debolezze. Tornare a un sistema centralizzato non significa ricostruire il regime repressivo e autoritario di Suharto, ma comporterà politiche nazionaliste, populiste e protezioniste.