IL PRIMO PREMIO AL POLITICAMENTE CORRETTO

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Il politicamente corretto è lo stadio terminale della degenerazione morale occidentale. Possiamo individuare come punto critico di questa parabola discendente della nostra civiltà il 2009, quando il Norske Nobelkomité conferisce, per inesistenti “contributi eccezionali alla società”, il Nobel per la pace al primo Presidente creolo della storia americana.

Il premio non venne assegnato alle intenzioni, come qualcuno ebbe a dire, perché Obama, divenuto Capo della Casa Bianca da pochi mesi, era assurto al “soglio” di Washington ricorrendo ad una narrazione pacifista e globalista che faceva ben auspicare. Tutti sanno che le parole di un Capo di Stato sono destinate, prima o poi, ad infrangersi sulla corteccia dura dei fatti e degli interessi strategici della nazione guidata, in ultima istanza prevalenti su qualsiasi racconto utopistico.

Il riconoscimento gli fu direttamente attribuito per caratteristiche somatiche rientranti nel cliché ideologico dominante il quale ha, da tempo, reso la “diversità omologata” il passe-partout per il comando (apparente). L’America già facendo eleggere Obama, cioè portando un simbolo delle sue invenzioni antirazziste, sul gradino più alto dell’establishment, aveva dato “l’esempio” a tutta la Comunità internazionale, e ciò al fine di rendere più credibili tutte le sue “storie” opportunistiche, raccontate e ancora da raccontare.

Qualche anno prima, nel 2007, la stessa onorificenza era toccata ad Al Gore, per “gli sforzi volti a costruire e diffondere una maggiore conoscenza sui cambiamenti climatici causati dall’uomo”. Ma qui eravamo ancora su un altro livello di mistificazione, perché era stato l’argomento “utilizzato” e non le qualità fisiche del personaggio a validare la pantomima. Pazienza, se quelle dell’ex vice di Bill Clinton erano tutte bufale propagandistiche smentite dai fatti e da studi scientifici concomitanti e successivi.

Il circolo ristretto della globalizzazione, che ha sede negli Usa ed influenza sul resto del mondo, aveva eletto a tematiche dirimenti quelle ecologiche (ora un po’ in discesa), trattate secondo un taglio allarmistico e colpevolizzante la specie umana, per cui chiunque ne avesse preso le parti dal verso giusto e nella giusta inconsapevolezza avrebbe ricevuto ori e allori. Touché, direbbero i francesi. Il catastrofismo climatico di questa fase storica, che nei suoi aspetti apocalittici è un prodotto specifico della disinformatia americana, è stato generato dai timori statunitensi di ritrovarsi troppi concorrenti sul mercato internazionale, con aspirazioni autonomistiche, regionali o di area, i quali attraverso il controllo delle fonti energetiche e gli approvvigionamenti potevano arrivare a contendere il loro primato mondiale. La rinascita russa, basata sulle prospezioni aggressive e le esportazioni di gas, quali mezzi di pressione geopolitica, ne è una testimonianza evidente. Gli Usa, in un certo senso, non si erano sbagliati ed hanno usato forme di terrorismo psicologico per sbarrare la strada ai possibili competitors.

Così sono nate le favole sul global warming e quelle sulle fonti pulite, al momento appena ausiliarie e non sostitutive di quelle classiche. L’ideale politically correct che canta nel cervello di molti idioti suboccidentali, un tempo semplicemente europei e fieri di esserlo, i quali hanno ceduto alle sirene d’oltreatlantico (abili a cantare per attirarci sugli scogli dove viene fatta a pezzi la nostra millenaria cultura) ha raggiunto vette di miserabilità inimmaginabili. Ieri mezza Italia progressista era in festa per il Ministro Kyenge che il Foreign Policy ha citato tra i 100 pensatori più influenti del pianeta.

Che avrà mai fatto la Kyenge per meritarsi tutto ciò? “Combatte la persistente xenofobia in Europa” ed ha avuto “il coraggio di proporre leggi per concedere facilmente la nazionalità italiana agli immigrati”. La motivazione reale ovviamente non è questa, anche perché le iniziative della Keynge si riducono a dichiarazioni ad effetto per conquistarsi le prime pagine dei giornali ed alzare inutili polveroni che danneggiano immigrati ed italiani. In verità, la signora riunisce in sé alcune proprietà fondamentali del politicamente corretto. È nera, è donna e ricopre un ruolo di alto profilo in un governo di sudditanza oltreoceanica dal quale, un giorno sì e l’altro pure, denuncia complotti nazisti, sessisti, reazionari.

Con la Kyenge, insomma, ci si avvicina all’agognato esemplare politicamente corretto perfetto, quello che rappresenta il meglio dell’umanità a prescindere da quel che fa e da come lo fa. Fosse stata omosessuale e vegetariana ci sarebbe stato l’en plein, con concessione dell’infallibilità papale.