Renzi e l’Eni, uno scandalo che non c’è
Adesso che Renzi si è dato la zappa sui piedi, rivelando quello che tutti sappiamo sull’Eni, ci aspettiamo che il governo tiri le dovute conclusioni e ne tragga le necessarie conseguenze. La compagnia guidata da Scaroni è strategica proprio per questo, veicola grandi affari e interessi di stato, coinvolge apparati coperti e servizi d’intelligence (più o meno direttamente perché imprese di questa portata, sia pubbliche che private, hanno sempre le loro divisioni interne espressamente dedicate a siffatte necessità), indirizza relazioni diplomatiche, realizza investimenti e profitti all’estero in nome dell’Italia. Lo diceva già Enrico Mattei molti decenni fa. Ergo, l’Eni non può essere spacchettata e ceduta a controparti straniere perché sarebbe come svendere lo Stato.
L’Eni non può nemmeno essere perseguita a cuor leggero da una magistratura fin troppo e zelante se non proprio fuori controllo, con indagini pretestuose di singoli togati che cercano le luci della ribalta o eccessivamente inclini ai condizionamenti di terze parti allogene, perché si tratta di questioni di alto livello istituzionale ricomprese in materie che esulano dalla competenza dei giudici, come appunto la sicurezza nazionale e le prerogative statali. Un ordine costituzionale che non è nemmeno un potere non può processare altri poteri pubblici mettendo a repentaglio la stabilità del Paese. Quello che vale per l’Eni deve necessariamente anche valere per le altre best companies partecipate dal Tesoro, quindi Finmeccanica, Enel, Poste ecc. ecc.
Qualcuno si è detto sconvolto dalla gaffe del premier, che è una figuraccia di metodo ma non di merito, in quanto certe questioni non devono essere argomento di dibattito alla luce del sole. Le anime belle che gridano alla sofisticazione del mercato e all’invasività della mano pubblica nelle faccende private dovrebbero sapere che tutte le imprese, senza distinzione di forma giuridica, pubblica o privata che sia, si affidano a reparti nascosti e uomini ombra per competere scorrettamente tra loro, fregandosi i brevetti, speculando sui titoli altrui, facendo saltare contratti e tramando senza esclusione di colpi contro gli immediati competitors. Dove non si arriva con la superiorità tecnologica e la performatività dei servizi e dei beni si arriva con sistemi molto poco ortodossi, per usare un eufemismo. Oppure credete sinceramente che certi affari delicati, soprattutto negli ambiti strategici (energia, armi, aerospaziale ecc. ecc.) tra aziende di vertice, confinanti o inglobate nelle istanze statali, vadano in porto unicamente perché sovrano è il prodotto? In Francia dove gli ipocriti sono meno che in Italia si insediano vere scuole di guerra economica con le quali si aiutano le imprese a svolgere al meglio il lavoro sporco, in patria e fuori dai confini. In America idem. Da noi non c’è tempo per queste sciocchezze, vanno invece per la maggiore i corsi di indignazione e di sdegno per brava gente e moralisti del piffero che si specializzano in piagnisteo. Belpaese che vai idioti che incontri.