IL COSIDDETTO ANTIFASCISMO
L’Antifascismo duro e puro è lo snaturamento politico ed esistenziale degli ultimi sessanta anni di vita repubblicana che per certi aspetti rasenta il ridicolo.
Ma tutto questo è solo l’epidermide. In realtà, l’Antifascismo ha rappresentato la “Costituzione” di un processo permanente e materiale su cui si è potuta sviluppare la base di una pregnante idea di un rivolgimento politico volto a far fuori gli “industrialisti” e far emergere i “cotonieri”: un rovesciamento di campo a cui ha concorso alacremente il Pci (Partito Comunista Italiano) e la Sinistra Dc(Democrazia Cristiana).
Ma su questo punto si richiede un detour storico circa il cambio di “casacca”, non improvviso e seguendo un ordine logico che già richiamava una fase politica di là a venire e gli sviluppi inusitati che segnarono l’inizio di una lenta e inesorabile limitazione di autonomia nazionale andata fatalmente a concretizzarsi nello scivolamento da quel crinale della storia che aveva fino allora accompagnato e tenuto in vita, in modo talvolta controverso, una sostanziale equidistanza geopolitica (Usa-Urss).
Due ordini di problemi tra loro concomitanti si pongono: 1) l’antifascismo nella storia del Pci; 2) il problema dell’Iri.
1)La cosiddetta “Rivoluzione Antifascista” rappresentò, insieme al Socialismo, il motore ideologico fondamentale del Pci su cui poter accampare una lunga stagione politica, dall’immediato dopoguerra al dissolvimento partitico di “Mani Pulite”.
Un composto ideologico già impresso, nel dna costitutivo della svolta togliattiana di Salerno (1944), della nota “Via italiana al Socialismo” con la formazione di un processo storico da consolidare attraverso una “Democrazia Progressiva” e che prefigurava, alla conclusione di un ciclo storico, l’inserimento del Pci al governo del paese. Si ricorda a questo proposito che la denominazione di democrazia progressiva fu formulata per la prima volta da Togliatti su indicazione della 3° Internazionale e che doveva rappresentare una fase di transizione da un capitalismo arretrato del fascismo ad un Capitalismo Borghese pienamente sviluppato, precondizione di ogni ingresso al Socialismo.
Decisamente un abbaglio storico portò a concludere nel Pci che il fascismo fu una “Dittatura finanziara” o più precisamente “dittatura terroristica aperta dei gruppi più reazionari, più sciovinistici, più imperialistici del capitale finanziario”, quando al contrario fu decisamente industrialista nel senso che puntò molto su uno sviluppo industriale; tant’è che rimase a lungo in Italia subito dopo la guerra un capitalismo di Stato nella forma dell’Iri; un leitmotiv su cui la Dc ha potuto intessere e sviluppare una linea politica che arrivò fino a “Mani Pulite”.
Gli anni Settanta rappresentarono una doppia valenza storica per i nuovi processi storici che il Pci seppe imprimere con una incontrastata violenza politica sulla storia italiana. E non tanto per l’ingresso al governo con la Dc, che i più attenti analisti (politici) davano per scontato, quanto e soprattutto per i risvolti di quel primo innesto di Via italiana al Socialismo e che Berlinguer caratterizzò con non poche cesure storiche (sconfitte operaia alla Fiat, l’Eurocomunismo, il partito delle mani pulite…) veri e propri prodromi di una accelerazione storica, verso la disintegrazione del partito togliattiano di ispirazione leninista.
2) L’Iri (Istituto della Ricostruzione Industriale) nato durante il regime fascista nel 1932-33, rappresenta il sistema industriale di quel grande sviluppo economico avvenuto nel primo periodo storico del secondo dopoguerra. I suoi padri fondatori Beneduce, Menichella, Sinigaglia, Reiss Romoli, Mattioli, Rocca, avevano in comune, oltre la caratteristica di managers, quello del “patriota” (quasi tutti ex-combattenti della prima guerra mondiale) che dopo aver militato nei partiti popolari e socialisti, avevano acquisito un alto concetto dei ruoli istituzionali svolti all’interno dello Stato, come onore ad un servizio, che ricorda un po’ gli “Ordini dei Cavalieri” nei confronti dei proprietari feudali; tant’è che nei rapporti con Mussolini, non furono mai dei “baciapile”, a garanzia di un’autonomia di gestione di un sistema industriale, tanto funzionale al regime fascista, quanto necessaria al perseguimento degli obbiettivi strategici di una economia nazionale in crescita.
In tale operazione ci fu un innesto esemplare tra i fondatori dell’Iri e i futuri dirigenti democristiani. I primi governi del dopoguerra furono “Centristi” con una netta maggioranza democristiana (in alleanza con qualche partito minore) e si assunsero l’immane compito storico della ricostruzione industriale, partendo dalle enormi strutture industriali sopravvissute al fascismo, insieme ad un personale burocratico dotato di una indubbia efficienza maturata dentro le consolidate e perfezionate organizzazioni, messe in opera durante il “Ventennio”.
E su tutto questo si staglia la figura di Enrico Mattei che con legge istitutiva del 21/01/1953 riuscì a riunire tutti i settori del petrolifero e degli idrocarburi(Agip, Anic, Snam,..) nell’Eni, poi inglobato entro il sistema delle Partecipazioni Statali dell’Iri. Mattei con la nascita dell’Eni, riuscì ad imprimere in esso la vocazione più profonda della difesa degli interessi nazionali, grazie e soltanto alla caparbia capacità personale, nell’essere ad un tempo manager e politico, avendo ben chiaro che una collocazione dell’Italia, entro una competizione internazionale, era possibile soltanto se si fosse realizzata una autonomia nazionale.
Ma con la prematura morte di Mattei(1962, assassinato dagli americani) “il primo della lista”, la classe politica democristiana affievolì il suo slancio vitale e con il “Compromesso Storico” del Pci (Partito Comunista Italiano) si delineò da un lato la dilapidazione della Spesa Pubblica, dall’altro una struttura industriale in continua dissoluzione.
Come abbiamo avuto modo di riscontrare, tra l’Antifascimo e la formazione a capitalismo di stato (dell’Iri), vale a dire nella costituzione di di un sistema industriale creato durante il fascismo, è esistita una vera e propria malattia nell’andare controcorrente fino alla fine di ogni industrialismo Italiano: un progetto perseguito con tenacia dagli atlantici e mai tradito dal Pci e dalla sinistra Dc.
Ma il clou risiede nell’uccisione di Moro. Si ricorda a questo proposito il viaggio effettuato da Napolitano (1978) in America per ottenere delucidazioni nel periodo in cui Moro fu trattenuto nella “prigione” delle Br. In esso si confrontarono drammaticamente i due schieramenti; da una parte, gli “industrialisti “ con Fanfani e Moro vero, apice di questo schieramento, e dall’altra i “cotonieri” con in testa il Pci e la sinistra Dc.
Nel mezzo ci furono le brigate rosse, con addentellati con i servizi segreti della Germania dell’Est e della Cecoslovacchia che avevano sentore di quello che stava succedendo con il Compromesso Storico e con Berlinguer e il suo Eurocomunismo nel tentativo di allontanare l’Unione Sovietica dalla sua presa in Italia. Ma questa storia è rimandata alla prossima puntata.
GIANNI DUCHINI, giugno ‘14