(E)Lezioni dall’Ucraina di A. Berlendis
A proposito dell’uso del termine ‘strategia’.
scritto da Andrea Berlendis
“Grandi speranze erano riposte una volta nella democrazia;
ma democrazia significa semplicemente la coercizione [di una data parte(i)] del popolo,
da parte [di un’altra parte(i)] del popolo, per il popolo.”[1]
Oscar Wilde
Questa citazione di Wilde, pur con le mie inserzioni, è di per sé ancora largamente imprecisa nel descrivere i tratti salienti di quella forma (auto)definitasi e (auto)denominatasi come ‘democrazia’. Per approssimarsi più precisamente all’effettiva sostanza in cui oggi consiste tale forma, bisognerebbe riferirla, in primo luogo alla specifica strutturazione della sfera politica vigente nella formazione sociale capitalistica dell’epoca odierna, lagrassianamente definita come ‘società dei funzionari del capitale’, per poi, in secondo luogo, ulteriormente declinarla rispetto alla singolare strutturazione della sfera politica di una data formazione sociale particolare, a seconda che essa sia quella dominante (gli Usa), o subdominante o subordinata (in vari gradi). Questa citazione, che è per datazione riferibile alla forma politica del capitalismo borghese (di matrice inglese), è però meno ipocrita di tutte le formulazioni impostesi ed imposte dai media circa la democrazia all’americana. A tal proposito, talune lezioni dalle vicende ucraine potrebbero proprio riguardare la credenza in tale democrazia elettoralistica all’americana, modello per l’esportazione, in cui il gioco consiste in questo: si ‘gratta’ via il candidato che ha già vinto—se non è conforme agli obiettivi contingenti degli ambienti Usa prevalenti in quel dato momento—e ‘vince’ il candidato da essi pre(im)posto. Laddove si vede come la soluzione deve tendenzialmente rispettare i canoni implicati dalle credenze religiose democrati(cisti)che, per cui il candidato che aveva già vinto il gioco elettoralistico deve venir rappresentato come un usurpatore e/o dittatore, cioè colui che ha violato le sacre regole del gioco per cui deve essere prima insidiato e poi destituito. Questo è il rivestimento sacrale (forma democrati(cisti)ca) che, sotto date condizioni di possibilità ed opportunità, l’espressione politica, ‘popolare’ e non, deve assumere per essere accettata e riconosciuta all’interno di un paese, sia dai dominanti che dai dominati, ed, all’esterno—se trattasi di formazioni sociali subdominanti o peggio ancora subordinate a vario grado—per essere allineata con i parametri vigenti e contingentemente variabili, rispetto al mantenimento/mutamento di una data configurazione (assetto gerarchico e rapporti di forza tra Stati) della formazione sociale mondiale. Altre lezioni potrebbero riguardare il ruolo delle masse, sempre in relazione al religioso rispetto della liturgia prevista dalla democrazia elettoralistica. Visto che il lavoro delle lobby con i loro intrecci non si era rivelato sufficiente ad intaccare la stabilità dei gruppi al vertice ecco l’uso della forza (i cecchini quale mezzo per spostare gli equilibri negli apparati statali decisivi e sia dei settori incerti di popolazione interna e della cosiddetta opinione pubblica internazionale oltre che di alleati europei da porre davanti al fatto compiuto). Il punto non è tanto che le masse vengano indirizzate da gruppi ristretti (intreccio di interni ed esteri)—questo accade sempre—ma che la loro funzione sia esemplificata adeguatamente dal titolo di un testo di Kracauer ‘Le masse come ornamento’. Dove però trattasi di un ornamento generalmente necessario per l’ordinato e normale funzionamento della democrazia elettoralistica, quale forma (involucro) politica più adatta alla forma di capitalismo di matrice americana definita nella terminologia lagrassiana come società dei funzionari del capitale.
Le considerazioni che seguono sono invece riferite 1) al concetto di ‘strategia’ impiegato esplicitamente o presupposto e 2) alla rappresentazione degli attori (soggetti), che traspare nei tre brevi scritti che riporto integralmente. Le considerazioni risultanti seguendo tale angolazione non pregiudicano né inficiano altri contenuti condivisibili relativamente ai primi due brani.
1. ‘Carattere strategico’
Nuvole di piombo sull’Europa[2]
di Giulietto Chiesa.
La crisi ucraina sta assumendo un carattere strategico, cioè mondiale. Potrei dire: come avevo previsto, lanciando l’allarme già due settimane fa, ben prima che il colpo di Stato violento – organizzato e ispirato da Washington e appoggiato da un gruppo di paesi membri dell’Unione Europea – venisse portato a compimento. Due mosse successive del nuovo potere eversivo installato a Kiev hanno dato subito l’avvio alla provocazione antirussa.
Mossa numero uno: abolizione del bilinguismo. Chiunque capisce che si tratta di un fatto gravissimo, ingiustificabile, che non solo viola tutti i principi democratici dell’Unione Europea, ma anche che non può che allarmare e offendere i russi di Ucraina e tutta la Russia. Chiunque capisce che una tale misura non è presa per migliorare la situazione, ma per peggiorarla. L’Europa, vergognosamente ha taciuto e tace. I media italiani tacciono. Il governo italiano tace, quando non applaude.
Seconda mossa, peggiore, se possibile, della prima. Le squadracce naziste che hanno abbattuto il presidente Yanukovic sono state arruolate, armi e bagagli, nella polizia ucraina. Se ci si attende che costoro portino ordine in Ucraina, allora auguri. Chiunque, dotato di senno, capisce che le preoccupazioni dei russi di Crimea sono salite al massimo livello.
Dall’Europa e da Washington è venuto un incoraggiamento a questi eversori. I quali si apprestano, in armi, a ‘domare la secessione’. Inutile dire che è Kiev che sta aizzando la secessione, per poi reprimerla in armi. Con queste premesse la mossa di Putin di rafforzare la guarnigione di Sebastopoli è un gesto non solo ragionevole, ma funzionale a impedire un assalto militare nazista contro la Crimea. Washington minaccia, con un’impudenza che non ha precedenti. L’Europa persevera nella sua irresponsabilità. Dobbiamo attenderci sviluppi gravi. Occorre premere in ogni modo sul governo italiano perché prenda le distanze, finché c’è tempo, da questa pericolosissima avventura.
Strategico indica qui il livello di rilevanza spaziale (dello spazio geopolitico), in quanto aggettivo che connota un dato evento o fenomeno, nel senso di qualificarlo come temporalmente non contingente e definirne la rilevanza rispetto a qualcosa d’altro a cui lo si riferisce. La crisi viene valutata in rapporto all’asse locale/regionale/mondiale. L’attribuzione del tipo di carattere delle crisi è derivata dalla rilevanza degli attori (potenze) coinvolti. Questi attori sono pensati come soggetti unitari che agiscono come soggetti univocamente, al di là del tipo di traiettoria—strategie e tattiche— che seguono.
Strategico è quindi impiegato come termine aspecifico. Retoricamente mi chiedo se questo suo uso sia senza implicazioni per l’analisi e le intrecciate azioni politiche, oppure no? Il termine strategico/strategie situato al di fuori di un campo teorico pregnante che ne tratteggi i caratteri, ne indichi il posto occupato in una data architettura concettuale, attribuendogli così un significato definito finisce per ricoprire gli stessi significati indeterminati della formula d’uso comune “assumere un carattere strategico”. Dove l’indeterminatezza può riguardare sia il significato di strategico, che si riduce a sinonimo di ‘rilevante’, ‘decisivo’, sia agli ambiti a cui è applicato, estendendone il raggio d’azione con l’inclusione di livelli impropri. L’indeterminatezza del termine strategico nell’uso che ne fa Chiesa, gli consente ad esempio di annunciare o paventare ad ogni piè sospinto pericoli di conflitti mondiali incombenti
Per esempio, anche se la proposizione “Washington minaccia, con un’impudenza che non ha precedenti” corregge la proposizione precedente “Dall’Europa e da Washington è venuto un incoraggiamento a questi eversori.”, gli Stati vengono rappresentati sempre quali attori unitari ed a volte sono persino posti sullo stesso piano, rispetto alla loro collocazione nella gerarchia vigente della formazione sociale mondiale. In un solo colpo, si rende opaco sia chi è il nemico principale (gli Stati Uniti), sia che anche all’interno stesso della potenza dominante vi sono centri di forza in conflitto in quanto portatori di strategie differenti.
2. ‘Interessi strategici’
Il diritto internazionale e la grammatica di guerra[3]
di Fabio Mini
La Russia di Putin risponde alle minacce di Obama ritorcendo l’avvertimento della “linea rossa” usato dall’americano in Siria. La Crimea, nell’ambito dell’Ucraina, ha uno status giuridico di regione autonoma e una situazione etnica con maggioranza russa esattamente come il Kosovo aveva status di provincia autonoma e maggioranza albanese nei confronti della Serbia. Eppure l’Onu, i capi di Stato europei e soprattutto gli americani hanno sottratto con la forza il territorio alla sovranità serba sulla base di una dichiarazione unilaterale d’indipendenza. Ora i russi di Crimea indicono un referendum e Putin manda soldati e forze speciali sotto copertura per acquisire obiettivi e preparare il conflitto. La Russia ha in Crimea basi militari, popolazione e interessi strategici analoghi, se non superiori, a quelli vantati dagli americani e dai loro alleati prima di tutte le guerre scatenate dal 1802 e delle operazioni internazionali degli ultimi vent’anni. Il Diritto internazionale, culminato con la Carta delle Nazioni Unite, è stato violentato e piegato alle logiche di aggressione cambiando la semantica, ma utilizzando la stessa grammatica della guerra. Se non si ripristina un minimo di serietà nei rapporti internazionali, nessuno può stupirsi o accusare gli altri e tutti devono solo aspettarsi guerre e tempeste.
Interessi strategici, dove strategici, impiegato da un militare indica gli interessi decisivi per il mantenimento e lo sviluppo della potenza di uno Stato. Strategico non è riferito qui al livello dell’estensione spaziale, ma alla decisività degli interessi. Però dalla proposizione “La Russia ha in Crimea basi militari, popolazione e interessi strategici”, noi desumiamo che uno Stato (la Russia) è interconnesso con un altro Stato (l’Ucraina) che fa parte della sua sfera d’influenza, tramite tre elementi. Ne risulta una certa ambiguità nell’uso del termine interessi strategici, giacchè vi sono tre elementi allineati da cui non è dato desumere con una qualche precisione in che cosa consistano gli interessi strategici, cioè se derivino dalla presenza di basi e popolazione affine oppure indichino altro di diverso dalla presenza di basi e popolazione. Le basi ci sono perché vi sono interessi strategici, ma il l’operatore e significa uno e l’altro senza connessione derivata o necessaria. La proposizione avrebbe senso anche se fosse formulata così: “La Russia ha in Crimea basi militari, popolazione e interessi”. Anche qui quindi l’impiego del termine ‘strategie’ è aspecifico, vuole solo rimarcare la rilevanza (che può essere, nel confronto conflittuale tra Stati, inferiore, analoga o superiore) per un determinato Stato del tipo di interessi in gioco. In ogni caso il termine strategico come aggettivo è riferito ad entità cosali, precipitati, non ai flussi di energia conflittuale, per cui ci si riferisce ad attori unitari (la Russia, gli Usa), non potendo così, ad esempio, gettare un fascio di luce (teorica) sugli Stati in quanto campi conflittuali tra gruppi di agenti strategici in lotta per la supremazia.
3. ‘Conflitto strategico’
L’Ucraina ad un punto di svolta?
Gianfranco La Grassa (02/03/2014)
La sensazione che si ha in merito all’Ucraina è che ancora una volta – come accaduto in Georgia, ma in forma ben più grave – alcuni vertici decisionali statunitensi abbiano messo in moto processi che ora sfuggono loro di mano. Se avevano deciso di prendersi una sorta di rivincita rispetto a quanto accaduto in Siria, e che chiaramente non era di soddisfazione per tali vertici, l’errore di calcolo sembra piuttosto grave e tale da dover far parlare di un loro autentico avventurismo. Tuttavia, è più facile pensare che alcuni settori ucraini (come giù alcuni georgiani all’epoca) abbiano creduto di poter andare avanti e ottenere risultati che adesso si rivelano impossibili.
In ogni caso, mi sembra che l’estrema sicurezza, unita a senso di responsabilità (che non è mai “innato”, ma dettato dalle condizioni oggettive esistenti in quella data congiuntura), manifestata dalle autorità russe dimostri come stavolta gli Usa riceveranno un colpo non del tutto irrilevante alla loro credibilità internazionale, alla loro pretesa di essere considerati i garanti dei vari gruppi estremisti che operano nei paesi su cui i predominanti d’oltreatlantico vorrebbero esercitare la loro influenza determinante. Il fallimento della dirigenza obamiana, cioè dei centri strategici che hanno agito negli ultimi anni, dovrà far pensare ad altri gruppi decisionali statunitensi il possibile cambio di direzione di una politica effettivamente troppo caotica e, a questo punto, poco lucida.
Mi pare si riveli abbastanza sensato quanto ho scritto in Conflitti e Strategie con il pezzo “Basta indugi, ecc.”. Dopo un primo periodo (seguito al crollo dell’URSS) in cui si è proceduto ad aggressioni dirette, si è avuto il cambio di strategia con l’uso di metodi violenti condotti però da sicari di varia origine. Nemmeno questi metodi si stanno rivelando proprio soddisfacenti, soprattutto quando ci si allontani troppo dalla sfera d’influenza tradizionalmente americana e ci si avvicini a quelle di altre potenze in crescita. Per il momento, non sembra di veder emergere nella potenza ancora preminente nuovi centri decisionali, capaci di meglio valutare i rapporti di forza concretamente esistenti in diverse aree d’intervento. Tuttavia, dovrebbe alla fine potersi fare strada una politica piuttosto diversa e più prudente, perché non mi sembra che attualmente sia possibile pensare a scontri maggiori del tipo delle due guerre mondiale del XX secolo.
Se si continua a non considerare la possibile presenza di settori statunitensi preoccupati di evitare al momento simili evenienze, penso che si commetta un errore abbastanza grave. Si tratta di settori che mi sembrano ancora deboli; ma lo sono anche per l’arretratezza di coloro che, soprattutto in questa serva Europa, non sanno portare avanti con qualche visione d’insieme una politica di autentico affrancamento rispetto ai più avventuristi fra i centri decisionali statunitensi. Siamo tra una maggioranza di servi sciocchi ed una minoranza di “indipendentisti”, sinceri ma non più acuti dei loro antagonisti. Vedremo se il successo che otterrà, io credo, la Russia in Ucraina – pur se forse non totale e non scevro da compromessi e cautele varie – riuscirà a mettere in moto forze più elastiche e “brillanti” nel nostro continente.
Strategico e strategie in questo breve scritto, non sono termini impiegati in un contesto teorico aspecifico e d’uso comune come nei brani di Chiesa e Mini, ma derivati—con le mediazioni necessarie che intercorrono tra il livello di astrazione richiesto da un brano di analisi contingente e puntuale, rispetto a quello della più elevata pratica teorica—da una problematica specifica e determinata storicamente, che l’autore ha sviluppato con un progressivo incedere attraverso numerosi lavori e migliaia di pagine. La problematica lagrassiana è costituita teoria critica della formazioni sociali capitalistiche (sia in generale, che riguardo alla forma attuale da lui denominata ‘società dei funzionari del capitale’ rispetto alla configurazione della formazione sociale mondiale costituita dalle relazioni gerarchiche tra formazioni sociali particolari ) ponendo come architrave non la proprietà (i rapporti sociali tra funzioni proprietarie e non-proprietarie dei mezzi di produzione) ma il conflitto strategico per la supremazia. Dove strategico serve a connotare il conflitto come conflitto tra strategie. Strategie per cui agli agenti che se ne fanno portatori soggettivi, vengono definiti come agenti strategici. Il tipo razionalità che ne costituisce il movente è di tipo strategico, per cui la razionalità strumentale (quella del minimax) viene subordinata, nel conflitto per la supremazia, a data razionalità strategica. Il conflitto tra strategie innerva ogni sfera sociale, economica, politica ed ideologica. Nella formulazione lagrassiana: “Che cos’è una strategia, detto intanto in termini generali? Una sequenza, non preordinata, di mosse che—a partire da una data, e analizzata con metodi scientifici, configurazione di un campo di battaglia e delle forze in campo: ‘truppe’ e mezzi materiali—inserisce elementi di novità e sorpresa, in quanto a singolarità ‘eccedenti’ le indicazioni generali fornite dall’analisi. La strategia consiste appunto in questa eccedenza di novità capace di volgere la situazione a favore della propria prevalenza.”[4] Precisando che “Lo svolgimento di strategie è politica.”[5], laddove per politica si intenda “non la sfera sociale indicata con tale termine (…), ma la sequenza di mosse strategiche facenti parte del ‘gioco conflittuale’ tra più attori nelle diverse sfere sociali”[6] che da luogo al conflitto strategico inteso come “progettazione e applicazione di mosse strategiche al fine della lotta per la supremazia condotta da molti attori”[7]. Ed a proposito della rappresentazione teorica di questi attori La Grassa propone la seguente avvertenza: “Tuttavia, molto spesso e per svariati scopi, classi, ceti e raggruppamenti sociali—e ovviamente partiti o sindacati, e perfino paesi (o nazioni) o gruppi di paesi ‘alleati’, ecc.—vengono resi ‘individui’ da cui promanano specifiche azioni. Argomentiamo usualmente secondo tali moduli individuali, la cui utilità è fin troppo evidente, qualora non si dimentichi che stiamo effettuando una ‘sintesi estrema’, annullando le relazioni interne a tali ‘individualità complesse’ per considerarne solo l’azione unitaria rivolta all’esterno, una sorta di vettore di composizione di tutte le forze agenti all’interno; dove queste ultime, a loro volta, promanano da altre ‘individualità’, di cui vengono ignorate ulteriori suddivisioni in parti minori, e così via.”[8] Questa avvertenza metodologica è decisiva perché, ad esempio, con l’avanzare del multipolarismo, “Sempre più ridiventerà evidente la lotta tra formazioni particolari divenute potenze, e dunque la rilevanza degli apparati di Stato (in senso proprio, in quanto esercitanti le funzioni della violenza, cioè della forza, sia sul piano interno che su quello internazionale). ‘Sotto’ gli apparati sussiste il conflitto tra gruppi dominanti nell’ambito di ogni formazione sociale particolare; gli apparati essendo per l’appunto … la condensazione in ‘macrocorpi’ della lotta in atto tra gruppi dominanti in quel campo di battaglia che è la sfera politica.”[9]
Anche nel breve scritto lagrassiano riguardante gli eventi ucraini, emerge la produttività conoscitiva e politica del concetto di strategia implicato dal concetto di conflitto strategico e della sua centralità per connotare, sia la formazione sociale capitalistica in generale, sia la tipologia di formazione sociale capitalistica (a predominanza Usa) denominata ‘società dei funzionari di capitale’. In primo luogo l’ottica del conflitto strategico consente di individuare l’architettura gerarchica della formazione sociale mondiale ancora situata nella fase monocentrica, per cui non si equiparano— punto decisivo nella pratica teorica come premessa ad un’adeguata pratica politica—i differenti ruoli tra le diverse formazioni sociali particolari, in primis consente di cogliere sia l’attuale ruolo centrale svolto dagli Usa (e delle relative azioni per mantenerlo), che di intravedere le spinte possibili verso il multipolarismo. In secondo luogo, l’ottica del conflitto strategico apre e sollecita la ricerca delle linee perseguite dai diversi gruppi di agenti strategici in conflitto all’interno delle diverse formazioni sociali particolari, per cui più adeguatamente, quando il livello di analisi lo richiede, è in grado di non considerare teoricamente queste formazioni come fossero un attore unitario di per sé. L’individuazione del permanere della supremazia Usa, costituisce sicuramente un passo avanti rispetto alle posizioni che tendono ad occultarla. Ma al tempo stesso, nel procedere dell’analisi, per cogliere le effettive dinamiche e tendenze di un dato momento della formazione sociale particolare Usa rispetto al ruolo predominante in ambito mondiale, è necessario cogliere le differenti linee (strategiche e/o tattiche) dei diversi gruppi di agenti strategici in conflitto in essa rispetto agli obiettivi, ai mezzi, alle aree d’influenza da ritenersi prioritarie, ecc.
Così come ho iniziato questo scritto in modo estemporaneo, concludo in modo altrettanto estemporaneo questo breve excursus circa l’impiego del termine ‘strategia’. Circa la funzione delle figure apicali (presidenziali o regali che siano) di Stati rientranti nella sfera d’influenza Usa con ruoli posti ai gradini inferiori secondo modalità di esercizio del dominio differenziate—come quello incoronato con la recita delle elezioni presidenziali ucraine, legittimate da parte dei centri strategici statunitensi ‘obamiani’ e dalla subalterna UE — propongo la seguente analogia.
Nel film ‘Argo’ ispirato alla vicenda degli ostaggi nell’ambasciata americana a Teheran del 1979 si mostra un’operazione coperta di rientro per sei membri dell’ambasciata si erano rifugiati nell’abitazione del console canadese. Quando la notizia giunge nei gangli degli apparati statali decisivi, an passant segnalo che nel breve scambio di battute tra funzionari (Funzionario A “Ci attaccano e noi non possiamo. I russi li avrebbero già invasi”), si intravedono come sempre vi siano linee tattiche e/o strategie differenti con obiettivi che possono essere differenti o convergenti tra i diversi centri ed i loro apparati. A proposito dello scià, che gli Usa avevano insediato al suo posto di Mossadeq (Funzionario B “Mossadeq l’abbiamo fatto fuori noi.”), e che dopo la rivolta islamica aveva ottenuto asilo politico negli Stati Uniti, un funzionario dell’ambasciata statunitense a Theran si mostra sorpreso dalla sollevazione popolare iraniana diretta proprio contro la figura dello scià:
FunzionarioB”Che ti aspettavi. L’abbiamo aiutato a torturare e castrare un’intera popolazione.”
Funzionario A “Sono irremovibili. Non li rilasciano se non espelliamo lo scià.”
Funzionario B “Mettiamolo sull’aereo e vaffanculo.”
Funzionario C “E’ mezzo morto e sotto chemio.”
Funzionario A “Ce lo siamo preso e quindi è nostro.”
Funzionario B “Cioè ci teniamo qualunque stronzo, basta che abbia il cancro.”
Funzionario C “No, solo gli stronzi dalla nostra parte.”
[1] Colgo l’occasione per segnalare come questa citazione sia riportata in modo diverso nella rete, non corrispondente
[2] megachip.globalist.it http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=98628&typeb=0 Domenica 2 marzo 2014
[3] ‘La repubblica’ 2 marzo 2014 http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/03/02/il-diritto-internazionale-la-grammatica-di-guerra.html
[4] La Grassa ‘Due passi in Marx.’ Il Poligrafo pag. 126
[5] La Grassa ‘L’altra strada.’ Mimesis editore pag. 59
[6] La Grassa ‘L’altra strada.’ Mimesis editore pag. 57
[7] La Grassa ‘L’altra strada.’ Mimesis editore pag. 57
[8] La Grassa ‘‘Oltre l’orizzonte’ Besa pag. 51-52
[9] La Grassa ‘‘Oltre l’orizzonte’ Besa pag. 99-100