INCERTEZZA STRATEGICA? di Giellegi, 23 sett. ‘14

LAGRA2

 

 

Alla caduta del “polo socialista” (Urss in testa) si diffuse, per un tempo assai breve, la convinzione che si sarebbe andati incontro ad una sorta di tripolarismo (imperfetto per la riconosciuta supremazia degli Usa): tale paese più Germania e Giappone in crescita. Alcuni, in specie marxisti economicisti, pensarono addirittura ad una predominanza del Giappone nel XXI secolo, grazie al vantaggio acquisito nell’ambito della “matura” industria automobilistica, tipica della seconda rivoluzione industriale nel mentre avanzava la terza, in cui gli Stati Uniti si apprestavano alla solita netta superiorità. Il Giappone entrò subito in una dodecennale (e più) stagnazione e la Germania fu assai “timida” e poi fermata definitivamente nei suoi tentativi di espansione ad “est” dall’aggressione Usa alla Serbia (1999), coadiuvata da un miserrimo governo italiano, gestito dai “traditori ex piciisti”, incapace persino di conquistare un modesto posto da “servitore qualificato”.

Il XXI secolo si aprì vedendo la netta preponderanza degli Stati Uniti, ma con la rimessa in carreggiata della Russia e la progressione della Cina, soprattutto in campo economico. Si cominciò ad intravvedere un tendenziale multipolarismo, ancora assai imperfetto. Per un paio d’anni, dopo l’attentato alle “due torri” e il lancio del primo grande nemico “di tutti”, il “terrorismo” di Al Qaeda (ampiamente costruito e finanziato dai vertici arabi più asserviti agli Usa), ci fu una sorta di “alleanza” contro di esso cui presero parte tutti i paesi aspiranti alla “potenza” (quindi anche Russia e Cina) con alla testa gli Usa ancora saldamente centrali. Con l’aggressione statunitense all’Irak nel 2003 tale poco solida alleanza svanì e prese avvio la sorda conflittualità multipolare, che condusse infine alla s-regolazione del sistema – di cui si decantava scioccamente e solo “economicisticamente” la globalizzazione mercantile – con inizio di un’epoca storica simile a quella dell’“imperialismo” (sfociato poi nel policentrismo aperto) di fine ottocento; nel 2008 sopravvenne una “crisi” di tendenziale stagnazione come quella del periodo 1873-96.

Siamo così entrati in una fase che non vedrà boom, né sviluppi generalizzati, ma depressione, ripresine in alcune parti del sistema, possibili tendenze deflazionistiche anche dei prezzi. Nel contempo continuerà un intenso processo di innovazioni tecnologiche e di prodotto, con tentativi di reperire nuove fonti di energia, ecc.; più o meno, appunto, come si verificò allora nella fase di crescente multipolarismo e di relativo declino inglese. In fasi come questa vanno profondamente ristrutturandosi i rapporti di forza tra paesi e aree diverse, con creazione di filiere di subordinazione tra alcune potenze in rafforzamento e l’emergere di subpotenze (“regionali”), di “maggiordomi” e di più vasti stuoli di “camerieri”, “sguatteri”, “lavapiatti”, e via dicendo.

L’avvio di questa nuova fase ha creato negli Stati Uniti l’esigenza di una altrettanto nuova strategia, certamente più incerta e pericolosa della precedente, che sembrava ormai accreditata e di possibile lunga durata. Con l’amministrazione Obama la nuova strategia è venuta in aperta evidenza, ma senz’altro con incertezze e molte opposizioni, data anche una buona dose di sua aleatorietà. In pratica, si è deciso di sbaraccare tutti quei regimi, pur amici (e stabilmente amici) del tipo di quello egiziano ma perfino di quello libico, che al “volgo” poteva apparire in sostanza critico della predominanza statunitense. E forse lo era anche, ma con l’occhio rivolto a vecchi equilibri che vedevano, ad es., in Medioriente, la funzione decisiva di Israele. La vecchia situazione creava – agli Usa e all’Europa ad essi subordinata – forti ostilità con paesi tipo l’Iran, una poco sicura alleanza con la Turchia di Erdogan, una maggiore stabilità e influenza russa sul “regime” siriano, ecc.

Si è deciso di rimettere in discussione ogni equilibrio nel tentativo di scombinare giochi ormai ossificatisi e che portavano gradualmente al rafforzarsi di certe subpotenze regionali (tipo appunto Iran e Turchia) con possibile miglioramento dei loro rapporti soprattutto con l’aspirante potenza russa, in predicato per tornare ad essere un polo di conflitto maggiore con gli Usa; e situata per di più ai confini di una zona nevralgica posta in continuità con l’Europa, area più che rilevante da tenere sempre sotto stretto controllo statunitense. E’ precisamente questo gioco di crescente squilibrio che è in atto negli ultimi 5-6 anni, con risultati che sembrano opinabili; tanto da far sorgere appunto la speranza in alcuni ambienti (statunitensi ma con propaggini in Europa) di poter tornare alla strategia precedente, neutralizzando la Russia per altra via e non creandole difficoltà nette ai suoi confini, con ciò dando maggiore forza ai gruppi dirigenti russi tesi a riconquistare una posizione di potenza di primo piano, in antagonismo con gli Usa.

Siamo esattamente nel pieno sviluppo di questa fase e di questa strategia; la situazione è sufficientemente confusa, almeno mi pare, per restare estremamente vigili senza al momento formulare precise predizioni sul prossimo evolvere degli eventi. Avanziamo alcune ipotesi, una serie di “ci sembra”, e agiamo di conseguenza; senza tuttavia sposare convinzioni definitive.