Un accordo globale vincolante sul cambiamento climatico rimarrà vago[Traduzione di Redazione da: A Binding Global Agreement on Climate Change Will Remain Elusive | Stratfor]

Styled_logo

Styled_logoUn accordo globale vincolante sul cambiamento climatico rimarrà vago

[Traduzione di Redazione da: A Binding Global Agreement on Climate Change Will Remain Elusive | Stratfor]

Sommario

Pianificare un significativo accordo legale globale in occasione del vertice delle Nazioni Unite sul clima a Parigi alla fine del 2015 non sarà facile. Ogni paese ha le sue priorità; per alcuni, imporre vincoli sulla crescita economica, limitando le emissioni di gas serra, è un fallimento politico. Per altri, orientarsi verso le fonti di energia rinnovabili e limitare alcuni rischi ambientali – come lo smog e l’innalzamento del livello del mare – è una priorità assoluta. Il vertice delle Nazioni Unite sul clima 2014 a Lima, in Perù, ha contribuito a mantenere un certo slancio verso un accordo sul clima in vista della riunione di Parigi, ma se un accordo si raggiungerà, sarà annacquato e mancherà di misure esecutive concrete.

Analisi

I paesi che hanno partecipato nel 2011 al vertice sul clima di Durban, in Sud Africa, hanno firmato un patto per raggiungere un accordo legale che sarebbe stato firmato in occasione del vertice di Parigi nel 2015 ed entrato in vigore nel 2020. In linea di massima, l’accordo richiederebbe che i paesi sviluppati – quelli con le maggiori emissioni pro capite – sopportino il peso maggiore del costo dell’accordo sul clima, mentre i paesi in via di sviluppo dovrebbero adottare misure più deboli (o addirittura nessuna misura), in riconoscimento della loro incapacità di permettersi fonti energetiche alternative più costose. Secondo l’accordo previsto, i paesi sviluppati dovrebbero fornire sostegno finanziario ai paesi in via di sviluppo per aiutarli a raggiungere i loro obiettivi, in particolare ai paesi più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico.

Il 14 dicembre 2014, i negoziatori di 196 paesi hanno concluso il vertice delle Nazioni Unite sul clima a Lima – una sorta di prova generale per il vertice del dicembre 2015 a Parigi. Il vertice di Lima ha prodotto una bozza generica di accordo che gli organizzatori sperano venga firmato a Parigi. Tuttavia, il Vertice di Lima è stato anche un segnale delle difficoltà che possono ostacolare la stesura di un trattato sul clima significativo e giuridicamente vincolante a Parigi.

Gli organizzatori del vertice e altri soggetti in favore di un accordo avevano sperato che i partecipanti sarebbero stati d’accordo su una bozza di trattato, protocollo o altro documento che avrebbe dovuto includere direttive forti e contromisure specifiche, ma questo non è accaduto. La proposta di accordo formulata a Lima comprende formule verbali notevolmente edulcorate. La mancanza di un accordo costruttivo significa che raggiungere un accordo completo e robusto sul clima sarà difficile, se non impossibile, quando i paesi si incontreranno di nuovo tra 12 mesi. Molte delle lamentele e dei punti di vista divergenti che esistono renderà i paesi riluttanti ad accettare accordi che percepiscono essere in conflitto con i propri interessi nazionali.

I punti in esame dopo il vertice di Lima sono simili a quelli già considerati nei summit precedenti. I paesi sviluppati saranno comunque chiamati a fare la maggior parte del lavoro per limitare le emissioni e ad adottare altre misure per combattere il cambiamento climatico, e molti paesi sviluppati saranno chiamati a fornire assistenza finanziaria ai paesi in via di sviluppo. Tuttavia, due modifiche importanti sollevano interrogativi circa l’impatto dell’accordo.

In primo luogo, ogni paese dovrà presentare il proprio piano, con relativi obiettivi e traguardi per contrastare il cambiamento climatico, entro il 31 marzo 2015. Ciò significa che l’accordo finale rifletterà le politiche e gli obiettivi nazionali invece di un approccio cooperativo concordato in precedenza. Permettere a ciascun paese di definire i propri obiettivi aumenta la probabilità di arrivare alla firma di un accordo, ma significa anche che gli obiettivi effettivi sulle emissioni varieranno considerevolmente da paese a paese, limitando potenzialmente gli effetti del trattato. I paesi con politiche ambientali relativamente blande continueranno probabilmente a mantenere questa strategia, e molti paesi in via di sviluppo, tra cui alcuni dei più grandi inquinatori del mondo, come l’India, stabiliranno probabilmente degli obiettivi facilmente raggiungibili che non minaccino il loro sviluppo. Di conseguenza, le misure avranno un impatto limitato sulla riduzione delle emissioni globali.

In secondo luogo – e forse cosa più importante – l’accordo sembra non sarà giuridicamente vincolante, né sarà previsto un concreto meccanismo di imposizione o controllo. Questo significa che c’è il rischio che i paesi non rispettino i loro impegni se le misure intraprese cominceranno a compromettere le loro economie.

Interessi contrastanti e cambiamenti climatici

L’impatto del cambiamento climatico non è diventato abbastanza forte da renderlo una questione nazionale più importante delle politiche economiche, militari o di altri punti chiave per la maggior parte dei paesi. Così, se pure i vari paesi adotteranno alcune misure al riguardo, con ogni probabilità non metteranno i loro altri interessi nazionali in pericolo. Come per molti accordi multilaterali o bilaterali – che si tratti di un trattato sul clima o di emendamenti ai trattati della UE – i paesi cercheranno di mettere i loro interessi nazionali al di sopra di ogni altra cosa.

Gli stati sono spesso riluttanti a firmare accordi legalmente vincolanti – come ha reso evidente la titubanza degli Stati Uniti a firmare la Convenzione delle Nazioni Unite sulla Legge del Mare, un patto già firmato dalla maggior parte del mondo (che si affida agli Stati Uniti per mantenere la sicurezza marittima). Nessun paese sa quali sfide la sua economia o la sua società si troveranno ad affrontare nel 2025, quindi la firma di un accordo giuridicamente vincolante che limiti il consumo di carbone o le emissioni di gas serra stabilendo obiettivi certi per gli standard delle energie rinnovabili nel 2025 riduce la capacità dei paesi di contrastare i problemi che non possono predire con sufficiente certezza. Questo è il motivo per cui fissare un obiettivo è in una certa misura sostenibile ma renderlo forte e vincolante diventa problematico.

Se le sfide economiche del futuro sono imprevedibili, lo sono anche gli effetti del cambiamento climatico. La comunità scientifica concorda ampiamente sul fatto che il clima del pianeta sta cambiando e che l’attività umana ne è una delle cause, ma rimangono significative incertezze circa l’esatta entità degli effetti riconducibili all’uomo sul cambiamento climatico e circa la gravità complessiva del fenomeno, soprattutto a livello regionale. Questo rende difficile per i singoli paesi emanare norme ambientali destinate a combattere o limitare gli effetti del cambiamento climatico nei prossimi 20 o 30 anni. Fare analisi di costi e benefici delle decisioni in materia di politica climatica è difficile in queste circostanze, ed è più sicuro prendere decisioni sulla base dei vincoli economici già noti delle politiche ambientali piuttosto che sui vaghi effetti futuri del cambiamento climatico.

Inoltre, i danni causati dai cambiamenti climatici colpiranno inizialmente aree specifiche. Ad esempio, l’aumento del livello del mare sta attualmente interessando Kiribati e altre nazioni insulari. Altrove nel mondo, alcuni paesi hanno ottenuto benefici dal cambiamento climatico. In Canada, Russia e altri paesi dai climi freddi stanno aumentando le aree adatte all’agricoltura, mentre anche le rotte marittime artiche si stanno aprendo. Le conseguenze dei cambiamenti climatici si materializzeranno lentamente nel tempo.

Poiché gli sviluppi futuri sono divergenti, arrivare a un accordo epocale sul clima ottenendo il consenso di quasi 200 paesi è difficile; questo genere di accordi è sempre stato problematico, anche su piccola scala. Ad esempio, quando l’Unione Europea ha proposto le sue iniziative sul clima per il 2020 e il 2030, concordare per gli Stati membri una politica comune si è rivelato difficile e ha portato a un indebolimento degli obiettivi comuni dichiarati. Sebbene i paesi europei abbiano firmato un accordo sul clima nel mese di ottobre, alcuni oppositori, come la Polonia, sono stati in grado di trasformare l’accordo finale in un compromesso. Anche l’Europa – l’unica area al mondo dove esiste una sensibilità sociale abbastanza forte da limitare le emissioni globali di gas a effetto serra – ha lottato per equilibrare gli interessi di ogni nazione con le preoccupazioni climatiche, arrivando a definire degli obiettivi più labili di quelli che alcuni paesi avevano sperato.

Malgrado gli Stati Uniti abbiano fornito degli obiettivi precisi per i loro livelli di emissioni nel 2030 quando hanno firmato un accordo con la Cina nel mese di novembre, Pechino era ovviamente riluttante ad accettare un accordo che specificamente dichiarasse il livello di riduzione delle emissioni e ha invece optato per impegni più vaghi. Questo dimostra che sebbene la Cina, il più grande emettitore di gas serra al mondo, abbia fatto degli standard ambientali una priorità, non vuole mettere a repentaglio il suo benessere economico. La Cina è disposta solo a fare quanto basta per limitare gli effetti sociali dei cambiamenti climatici nel paese. (il bando di Pechino delle centrali elettriche a carbone per ridurre l’inquinamento atmosferico della città ne è un esempio). La strategia dell’India è molto simile.

I potenziali effetti di un accordo

Per i paesi in via di sviluppo, gli effetti dell’accordo sul clima saranno piuttosto limitati. Mentre probabilmente la maggior parte dei paesi presenterà obiettivi abbastanza facili da raggiungere, la verità è che la maggior parte dei paesi in via di sviluppo – in particolare quelli africani – saranno ancora in via di sviluppo tra una decina d’anni. A meno che essi non stiano vivendo alcune delle conseguenze più pesanti del cambiamento climatico, i loro governi privilegeranno lo sviluppo economico alle protezioni ambientali. Sosterranno che, poiché il mondo sviluppato è stato costruito sull’impiego dilagante di combustibili fossili, anche loro dovrebbero essere autorizzati a fare lo stesso. Questo non significa però che le fonti di energia nei paesi in via di sviiluppo non saranno più pulite. Il carbone è destinato a rimanere una priorità, perché è diffusamente disponibile a prezzi convenienti (anche se questa situazione potrebbe cambiare), ma le nuove tecnologie e gli aiuti dai paesi sviluppati renderanno le centrali elettriche dei paesi in via di sviluppo molto più efficienti, con emissioni inferiori rispetto alle medie storiche.

In qualsiasi tipo di accordo sul clima, che sia debole o stringente, le economie sviluppate devono farsi carico della maggior parte dei tagli alle emissioni. Questo significa sostanzialmente stabilire volontariamente restrizioni sull’uso di combustibili fossili – o spostarsi gradualmente dal carbone verso combustibili fossili più puliti e fonti rinnovabili – e finanziare progetti per i paesi in via di sviluppo. Tuttavia, a partire dal 2020 – quando è previsto che l’accordo sul clima entrerà in vigore – gran parte del mondo sviluppato, tra cui il Giappone e l’Europa, dovrà affrontare il declino demografico. Le conseguenze economiche associate a tale declino porteranno i paesi a ripensare le loro strategie, soprattutto se hanno cominciato a fare scelte energetiche più costose – anche se per allora il costo delle fonti energetiche alternative, come le energie rinnovabili, potrebbe diventare più competitivo rispetto ai combustibili fossili.

Come il protocollo di Kyoto – il primo accordo internazionale vincolante sulle emissioni – ha dimostrato, devono essere fatti dei sostanziali compromessi per raggiungere un accordo che tutti possano accettare. Sebbene il protocollo di Kyoto possa essere considerato un successo, nel senso che molti paesi hanno raggiunto i loro obiettivi, esso ha fallito nell’ottenere un rallentamento delle emissioni globali e non prevedeva una effettiva esecuzione dei suoi impegni. In ultima analisi, la politica del cambiamento climatico può essere vista come una variante del classico dilemma del prigioniero. Nessun singolo paese può influire da solo sui livelli delle emissioni globali, e quindi ridurre unilateralmente le emissioni non ha senso a meno che non lo faccia anche il resto del mondo. Ciononostante i paesi in via di sviluppo – tra cui sette degli otto paesi più popolosi del mondo – potrebbero incrementare a dismisura il loro consumo di energia pro-capite durante la loro crescita economica. Mentre gli obiettivi del vertice di Parigi 2015 sul clima possono avere delle buone intenzioni, i risultati saranno in gran parte inefficaci.