Che ci fa l’Islamic State (IS) in Libia? Perché non lo chiediamo agli USA. images (3) di Luigi Longo

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Se ci minacciate, se ci destabilizzerete, ci sarà                                                                              confusione. […] Questo è ciò che accadrà.                                                                                     Avrete l’immigrazione, migliaia di persone                                                                                      invaderanno l’Europa dalla Libia […] ci sarà                                                                                una jihad di fronte a voi, nel Mediterraneo […] ”.

                                                                                                                      Mu’ammar Gheddafi*

 

 

 

1.La lotta ai movimenti islamici fondamentalisti (AL Qaida e IS sono tra i più noti e usati) è lo strumento cardine che amalgama la comunità internazionale per combattere chi mette in discussione la sicurezza dei popoli e delle nazioni: è la cosiddetta “Guerra al terrore”, salvo poi verificarne la strumentalità in funzione del conflitto strategico delle potenze mondiali in declino (USA) e in ascesa ( soprattutto Russia e Cina).

L’ONU si mobilita con il suo Consiglio di Sicurezza per affrontare questo grave pericolo per la sicurezza, la pace e la democrazia mondiale. << La forza militare non è sufficiente– Si parla della sfida lanciata dall’Isis e da Al Qaida, che, ha detto Obama, “è una sfida per il mondo intero, non solo per l’America”. La forza militare non è però sufficiente, ha affermato il presidente americano. E’ necessario sconfiggere anche la propaganda, contrastare i terroristi che online “fanno il lavaggio del cervello” ai giovani musulmani. E il mondo islamico si deve mobilitare: “Schieratevi nella lotta contro gli estremisti”, ha detto il presidente rivolgendosi ai leader musulmani[…] Mosca non si chiama fuori- L’azione contro l’Isis sotto la guida Onu potrebbe avvalersi anche della partecipazione della Russia. Il rappresentante permanente all’Onu, Vitali Ciurkin, non ha escluso la partecipazione di Mosca a un eventuale coalizione internazionale contro lo Stato islamico, in particolare garantendo un blocco navale per impedire l’arrivo di forniture di armi ai terroristi . Lo riferisce la Tass, dopo la riunione straordinaria di ieri sera del Consiglio di sicurezza Onu sull’emergenza libica >> (1).

Voglio solo ricordare, en passant, che le forniture di armi ai terroristi sono effettuate dalle stesse nazioni che formeranno il suddetto blocco navale: è il teatro dell’assurdo!

I miliziani del fondamentalismo islamico (soprattutto l’IS) vogliono addirittura creare uno Stato Islamico che confligge con l’Occidente nella stupida logica di contrapposizione tra la cultura Occidentale (la Civiltà) e la cultura Orientale ( la Barbarie) così come viene rappresentata, in maniera pseudoscientifica, da Samuel P. Huntington e da studiosi arabi e dell’islam (2). Ovviamente la logica di contrapposizione Occidente/Oriente è antitetica polare ( per usare una categoria lucacciana) per mantenere gli assetti di dominio degli agenti strategici dominanti delle varie potenze egemoni nelle diverse fasi storiche mondiali.

Si parla dell’ instaurazione di un nuovo califfato << da parte dei cosiddetti mujahidin – vale a dire “impegnati in uno sforzo gradito a Dio” – dell’area di confine tra Siria e Iraq, quelli che di solito i media definiscono i “jihadisti” di un autoproclamato Islamic State in Iraq and Levant (ISIL), pubblicata il 30 giugno scorso, è stata rapidamente diffusa provocando commenti di ogni genere: nella stragrande maggioranza dei casi, ahimè, del tutto fuori luogo.[ corsivo mio] L’ISIL, che a sottolineare il carattere universalistico della sua scelta ha contestualmente espunto dalla sua sigla statale le lettere I ed L che indicavano rispettivamente l’Iraq e il non troppo ben definito “Levante”, è da oggi in poi nelle intenzioni dei suoi promotori e sostenitori soltanto IS, Islamic State: esso dovrebbe pertanto raccogliere tutti i fedeli musulmani del mondo e ricostituire l’umma, la comunità musulmana nel suo complesso …>> (3).

Il fondamentalismo islamico non è più concepito come “frangia impazzita” di un vasto movimento << che costituisce la moderna militanza islamica. Le loro rivendicazioni sono politiche ma articolate in termini religiosi e fanno riferimento a una visione del mondo religiosa. Il movimento affonda le proprie radici in contingenze sociali, economiche e politiche >>, ma è visto come il portabandiera e <<[…] il loro linguaggio è oggi l’idioma dominante nel moderno attivismo politico islamico. Il loro svilito, violento, nichilistico millenarismo antirazionale è diventato l’ideologia standard cui aspirano i giovani musulmani arrabbiati. Questa è una tragedia. >> (4). La citata tragedia è un capolavoro degli agenti strategici pre-dominanti del conflitto mondiale (in primis degli USA in quanto potenza mondiale egemone che si vede minacciata dal formarsi di nuove potenze mondiali), ma anche degli agenti strategici sub-dominanti delle diverse aree occidentali e orientali ( per esempio l’Europa, il Vicino e Medio Oriente, l’Africa) che configureranno nella fase policentrica, tramite le zone di influenza, i poli delle potenze mondiali in lotta per la supremazia mondiale, quegli stessi agenti strategici che hanno agevolato e avallato ( se non creato in alcuni casi) il costituirsi delle frange “impazzite” del fondamentalismo islamico per le proprie strategie di conflitto per l’egemonia mondiale (5). La “Guerra al terrore” è il velo che serve per nascondere le strategie di conflitto che la fase multipolare, ormai lentamente ma decisamente avviatasi, impone. << “È un dato di fatto – scrive un ex ambasciatore arabo accreditato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna – che gli Stati Uniti abbiano stipulato delle alleanze coi Fratelli Musulmani per buttar fuori i Sovietici dall’Afghanistan; e che, da allora, non abbiano cessato di far la corte alla corrente islamista, favorendone la propagazione nei paesi d’obbedienza islamica. Seguendo le orme del loro grande alleato americano, la maggior parte degli Stati occidentali ha adottato, nei confronti della nebulosa integralista, un atteggiamento che va dalla benevola neutralità alla deliberata connivenza”. L’uso tattico del cosiddetto integralismo o fondamentalismo islamico da parte occidentale non ebbe inizio però nell’Afghanistan del 1979, quando – come ricorda in From the Shadows l’ex direttore della CIA Robert Gates – già sei mesi prima dell’intervento sovietico i servizi speciali statunitensi cominciarono ad aiutare i guerriglieri afghani.

Esso risale agli anni Cinquanta e Sessanta, allorché Gran Bretagna e Stati Uniti, individuato nell’Egitto nasseriano il principale ostacolo all’egemonia occidentale nel Mediterraneo, fornirono ai Fratelli Musulmani un sostegno discreto ma accertato. È emblematico il caso di un genero del fondatore del movimento, Sa’id Ramadan, che “prese parte alla creazione di un importante centro islamico a Monaco in Germania, intorno al quale si costituì una federazione ad ampio raggio”. Sa’id Ramadan, che ricevette finanziamenti e istruzioni dall’agente della CIA Bob Dreher, nel 1961 espose il proprio progetto d’azione ad Arthur Schlesinger Jr., consigliere del neoeletto presidente John F. Kennedy. “Quando il nemico è armato di un’ideologia totalitaria e dispone di reggimenti di fedeli devoti, – scriveva Ramadan – coloro che sono schierati su posizioni politiche opposte devono contrastarlo sul piano dell’azione popolare e l’essenza della loro tattica deve consistere in una fede contraria e in una devozione contraria. Solo delle forze popolari, genuinamente coinvolte e genuinamente reagenti per conto proprio, possono far fronte alla minaccia d’infiltrazione del comunismo”.[ corsivo mio].

L’uso strumentale dei movimenti islamisti funzionali alla strategia atlantica non terminò con il ritiro dell’Armata Rossa dall’Afghanistan. Il patrocinio fornito dall’Amministrazione Clinton al separatismo bosniaco ed a quello kosovaro, l’appoggio statunitense e britannico al terrorismo wahhabita nel Caucaso, il sostegno ufficiale di Brzezinski ai movimenti fondamentalisti armati in Asia centrale, gli interventi a favore delle bande sovversive in Libia ed in Siria sono gli episodi successivi di una guerra contro l’Eurasia in cui gli USA e i loro alleati si avvalgono della collaborazione islamista.>> (6).

Si sa che gli USA non amano un ordine mondiale multipolare, ma amano un mondo a loro immagine e somiglianza, democraticamente e civilmente costruito, e che, a tal fine scatenano guerre e usano tutti i mezzi per difendere e ri-creare su basi storicamente date un nuovo ordine mondiale. La guerra è un prolungamento della politica con altri mezzi, << La guerra non è dunque solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi. >> (7), può cambiare modalità, strumenti, strategie, eserciti, tecniche, eccetera, ma resta l’ultima istanza nel definire la potenza mondiale egemone, la storia questo insegna.

 

 

 

  1. Lo storico del colonialismo italiano, Angelo Del Boca, in una intervista ( Il governo irresponsabile in “Il Manifesto del 17/2/2015), alla domanda << Come mai tanta arroganza e miopia del governo italiano in questa fase della crisi mondiale? >>, così risponde:<< È perché, in modo scellerato, manca una politica estera, una vera diplomazia italiana. Renzi dice chela Libia è uno «Stato fallito». E chi l’ha fatto fallire se non la guerra del 2011 voluta a tutti i costidalla Francia di Sarkozy? [ corsivo mio] Dimenticano che con quella guerra fuggirono milioni di lavoratori migrantie di libici, dei quali ora un milione è in Egitto e 600mila in Tunisia. Voglio ricordare che quando gliaerei della Nato bombardavano la Libia nel marzo del 2011, io ammonivo<< la Libia diventerà una nuova Somalia >>. È quello che è accaduto.>>.

La leader del Front National francese, Marine Le Pen, in una intervista (Nessuna guerra, l’Europa chiuda le frontiere in “la Repubblica” del 19/2/2015), alla domanda << Nel 2011 la Francia ha guidato l’intervento contro il regime di Tripoli. È stato un errore? >>, così risponde:<< Non è stata la Francia ma il presidente di allora, Sarkozy, consigliato da Bernard-Henri Levy, e con il sostegno del partito socialista.[ corsivo mio] L’intervento di quattro anni fa ha provocato degli squilibri geopolitici di cui vediamo oggi le conseguenze. È stato un gigantesco errore strategico da parte di Sarkozy, e di chi l’ha appoggiato >>.

Ma davvero la Francia, insieme all’Inghilterra (lasciamo perdere il ruolo infame dell’Italia sotto la regia di Giorgio Napolitano), nel 2011 ha deciso di eliminare Mu’ammar Gheddafi e buttare nel caos una nazione come la Libia? Ma davvero Mu’ammar Gheddafi è stato assassinato perché era un feroce dittatore che appoggiava il terrorismo internazionale e che era in conflitto con un nano politico come Nicolas Sarkozy?

E’ fuorviante pensare ad un ruolo decisivo della Francia nella drammatica vicenda della Libia e nella barbara uccisione di Mu’ammar Gheddafi, un uomo capace di grande leadership.

Angelo Del Boca e Marine Le Pen non colgono l’aspetto fondamentale e decisivo dei fatti libici del 2011. Essi vedono i processi economicistici della Francia ( interessi di imprese, risorse energetiche, finanziamenti occulti, eccetera) ma non vedono i processi strategici della potenza imperiale USA che impongono una fase del caos mirata ad un attacco deciso alla Russia ( primavera araba, Siria, Ucraina, Iran, accordo Russia-Cina-Iran, eccetera) e alla Cina (ridimensionamento della politica di penetrazione e di espansione in Africa). Insomma un attacco duro e pericoloso per indebolire quelli che potrebbero essere i punti di forza delle nuove potenze che aspirano a competere con l’egemonia USA non solo a livello di specifiche aree geografiche ma sopratutto a livello mondiale.

Gli USA nel 2011, tramite la Francia e l’Inghilterra ( che avevano ed hanno interessi economici e di accaparramento di risorse energetiche), l’Italia ( che oltre a perdere i suoi interessi economici ed energetici (8) doveva e deve svolgere il ruolo di nazione-spazio di infrastruttura militare a disposizione dei comandi USA e USA-NATO) e i miliziani dell’IS (9), hanno dato la stura alla disintegrazione di una nazione e di un popolo come la Libia.

Mu’ammar Gheddafi è stato eliminato per ragioni evidenti e precise: per aver portato la Libia ad essere una nazione superando le divisioni tribali; per averla fatta diventare la nazione sovrana più importante dell’Africa; per aver costruito una strategia di sviluppo non dipendente soltanto dalle risorse energetiche; per le sue azioni politiche ed economiche intraprese in Medio Oriente; per il ruolo svolto nella costruzione dell’Unione Africana ( gli stati uniti d’Africa) con obiettivi strategici di autodeterminazione e di costruzione di un polo geopolitico sovrano come il continente africano, con una sua moneta, un fondo monetario africano, una banca centrale africana; per il suo anticolonialismo. (10)

 

 

 

  1. Perchèl’IS, in questa fase storica sta scorazzando, creando disordine, drammi umani e distruzioni territoriali attaccando tutte le aree e i Paesi del Vicino e Medio Oriente che hanno relazioni sociali con la Russia e la Cina? Qual è il ruolo che l’IS sta svolgendo per ora in Libia? E’ uno strumento per risolvere la divisione interna di quello che resta della Libia (il fronte laico del nasseriano Generale Haftar e del governo di Tobrouk e quello islamista del governo di Tripoli) (11)? E’ una minaccia terroristica (attraverso il controllo dei flussi migratori e la gestione delle risorse energetiche) all’Europa, meglio, agli Stati europei, per orientarli sempre di più verso l’Occidente e rallentare le relazioni con l’Oriente? E’ un vettore per affermare la potenza regionale ( la Turchia?) più utile e flessibile in questa area diventata centrale per le strategie USA?

E’ tempo di uscire dall’egemonia degli USA, ad iniziare dalle istituzioni internazionali come l’ONU, perché gli USA, non accettando né il loro declino né un mondo multipolare, sono la potenza più pericolosa per la stabilità mondiale.

 

*La citazione scelta come epigrafe è tratta da:

Intervista a Mu’ammar Gheddafi apparsa su “Le Journal du Dimanche” del 5 marzo 2011 e ripresa da diversi quotidiani italiani.

 

 

 

NOTE

 

 

 

1.Redazione Tiscali, Libia, per il Consiglio di Sicurezza la soluzione è politica, www.tiscali.it, 19 febbraio 2015;

2.Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano, 2000;

3.Sulla aleatorietà e sulla difficoltà della costruzione di uno stato islamico, Franco Cardini, Una restaurazione del Califfato?, 6 luglio 2014 e Idem, l’Islam nel XXI secolo, 27 luglio 2014, www.francocardini.net ;

4.Jason Burke, Al Qaeda. La vera storia, Feltrinelli, Milano, pp.17-18;

5.Sono arrivato a questa convinzione dopo la ri-lettura di Edward W. Said, Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, Feltrinelli, Milano, 1999;

6.Claudio Mutti, Islamismo contro Islam?, www.eurasia-rivista.org, 20 novembre 2012;

7.Clausewitz, Della guerra, Mondadori, Milano, 2011, pag.38;

  1. Interessi pesanti per la disastrata economia italiana: il gas e il petrolio (l’ENI ha avuto una diminuzione da un milione e mezzo di barili prodotti in Libia ogni giorno a 150 mila), le commesse per le nostre imprese e gli investimenti nel nostro sistema economico. Per esempio, in Puglia,il Centro Studi regionale della Confartigianato afferma che << […] le aziende della provincia di Bari esportano verso il Paese nordafricano beni per 8,7 milioni di euro. Pari al 48,3 per cento del totale delle esportazioni pugliesi verso la Libia. Seguono le province di Lecce con 5,4 milioni, pari al 30 per cento dei 18 milioni complessivi; Brindisi con un milione 400mila euro, pari al 7,8 per cento; Barletta-Andria-Trani con un milione 100mila euro (6,1 per cento); Foggia con 800mila euro (4,4 per cento). Chiude Taranto, già parecchio ridimensionata a causa dell’involuzione dell’Ilva, con 600 mila euro (3,3 per cento) […]I dati elaborati […]consentono di comprendere come la situazione generatasi nel Nordafrica abbia ripercussioni dirette anche sulla nostra economia regionale. Quest’ulteriore fronte si apre in un momento in cui le imprese pugliesi sono già duramente provate dalla restrizione ai commerci con la Russia, in forza delle sanzioni applicate a seguito della crisi ucraina. La situazione internazionale – osserva – è tale da causare una battuta d’arresto proprio per alcuni tra i flussi più corposi dell’export pugliese. Con i consumi interni ormai al lumicino, questa congiuntura rappresenta un pericolo concreto anche dal punto di vista economico >>,www.confartigianatopuglia.com;

9. << Sono gli stessi che nel 2011 – spalleggiati in tutto e per tutto da Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e poi anche dall’Italia – hanno compiuto la cosiddetta “primavera araba”. Queste persone che oggi rappresentano uno “spauracchio” venivano descritti nel 2011 come coloro che stavano portando in Libia la democrazia. Costoro, più o meno nell’ordine di un milione di persone armate fino ai denti, si stanno ora contrapponendo gli uni agli altri per guadagnare quanto più potere possibile. Oggi si parla tanto di Isis, ma in Libia esiste da tempo una miriade di sigle riconducibili tutte all’islamismo fondamentalista. La bandiera nera di al Qaeda è stata issata nei giorni in cui veniva ucciso Gheddafi: durante la rivolta sventolava sul Palazzo di Giustizia di Bengasi e sulla città di Derna, dove era stato istituito un Califfato. Nel tempo queste forze non hanno fatto altro che radicalizzarsi >> in Paolo Sensini-Federico Cenci, “La primavera araba” ha portato l’Isis in Libia, www.zenit.org, 17 febbraio 2015;

10.Oltre ai lavori dello storico Angelo Del Boca, si veda la buona sintesi di Arturo Varvelli, Gheddafi e l’Unione Africana: legittimità internazionale, influenza regionale e sviluppo interno, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, www.ispionline.it, luglio 2009;

11.Per una sintesi della frammentazione sociale della Libia si veda Marco Di Liddo-Gabriele Iacovino, Analisi delle possibili soluzioni alla crisi in Libia, Centro Studi Internazionali, www.cesi-italia.org, febbraio 2015.