ROBINSON E TARZAN: DA DOVE SI SAREBBERO DOVUTE PRENDERE LE MOSSE? di GLG
Karl Marx chiamava robinsonate quegli esempi, epistemologicamente artificiosi e inutilmente romanzati, dai quali gli economisti della sua epoca prendevano le mosse per giustificare alcune loro teoresi sull’evoluzione della vita associata e sulle regole ad essa immanenti. “Il singolo ed isolato pescatore e cacciatore”, per esempio, da cui Smith e Ricardo inferiscono le leggi sociali dell’economia moderna “appartengono a quelle invenzioni prive di fantasia, che sono le robinsonate del XVIII secolo…” . Robinson Crusoe, il personaggio del romanzo di Defoe, naufragato su un’isola deserta, ricostruisce istintivamente, sulle spiagge di Agua Buena, in quasi perfetta “individualitudine” (mi si passi il neologismo ridicolizzante), eccetto che per la compagnia di un indigeno da lui chiamato Venerdì (come quello che manca agli economisti), quei rapporti sociali di cui era socialmente creatura prima di andare alla deriva e toccare quello sconosciuto lembo di terra. Per i padri della triste scienza però non è determinate il bagaglio di conoscenze che Robinson si porta dietro in questo naufragio, insieme ad una parte dell’oggettistica della civiltà da cui proviene (orologio, libro mastro, penna e calamaio), tutti elementi che lo rendono un perfetto rappresentante della borghesia inglese del ‘700, con delle strutture mentali ed organizzative già formate. Ciò che conta per essi è che, pur in una situazione d’isolamento, il superstite rimetta in moto, spontaneamente, i meccanismi della società capitalistica, deducendone perciò che i suoi principi debbano crescere in armonia con la natura. Questo farà dire a Marx, nella Miseria della filosofia, che “gli economisti hanno uno strano modo di procedere. Per essi ci sono soltanto due specie di istituzioni, quelle artificiali e quelle naturali. Le istituzioni feudali sono artificiali, quelle borghesi sono naturali. In questo assomigliano ai teologi, che anch’essi pongono due specie di religione. Tutte le religioni che non sono la loro, sono invenzioni degli uomini, mentre la propria religione emana da Dio. Così di storia ce n’è stata, ma non ce n’è più”. Ma più corretto e coerente, scrive, invece, La Grassa, in questo intervento, sarebbe stato, per l’economica dominante, partire da ben altro caso, al fine di capire fino in fondo come si evolve il comportamento di un uomo privo di socialità e cultura in un ambiente non insediato da suoi simili. E se come punto zero si prendesse un soggetto alla Tarzan, il quale, seppur umano, non ha mai avuto contatti con la sua specie vivendo, da quando era in fasce, nel bel mezzo della giungla, quali caratteristiche sarebbero emerse? Certamente, non quelle del cittadino inglese sradicato dal suo contesto all’ora del thè che tiene la contabilità di se stesso anche su un atollo. Buona Lettura (G. Petrosillo)
ROBINSON E TARZAN: DA DOVE SI SAREBBERO DOVUTE PRENDERE LE MOSSE?
di GLG
Desidero spendere due parole intorno alle concezioni, affermatesi soprattutto a partire dal XVIII secolo; e che ancor oggi, tutto sommato, fanno parte del liber(al)ismo. Seguirò però un percorso tutto particolare, non proprio filosofico. Semmai discuterò la scelta dell’economia politica, fin dalla sua effettiva nascita con Adam Smith, scelta però del tutto fissata nei suoi canoni definitivi dall’economia neoclassica (o marginalistica). Tutti conoscono bene la questione del Robinson (Crusoe, eroe del romanzo di Defoe), che secondo questa concezione è il fulcro del formarsi della società a partire dai bisogni individuali, il cui soddisfacimento trova limiti nella scarsità dei mezzi a disposizione per essere adibiti ad usi alternativi, fra cui bisogna scegliere.
Da qui sviluppi enormi delle teorie fondate su questo primo passo, con grande sfoggio di matematiche, ecc. In tale concezione, sembrano decisive le scelte prese dai diversi individui componenti la società; e le cui relazioni si stabiliscono progressivamente nello scambio dei beni da ognuno d’essi prodotti, scambio che verrà poi reso più facile, e “lubrificato”, dall’utilizzazione dell’“equivalente generale”, il denaro, nelle sue varie figure monetarie. E sempre da qui si sviluppa poi tutta la tematica della competizione (mercantile) dei vari Robinson, ognuno dei quali si specializza nella produzione di uno dei beni di cui si avverte il bisogno; e infine se li scambiano. Di conseguenza, la produzione (e offerta) dei beni trova il suo impulso iniziale (dunque la causa) nel bisogno, da cui discende la domanda e il consumo che trainano tutto il resto della sfera economica: produttiva e quella che fornisce il mezzo liquido “lubrificante”.
Lo scambio (di merci) è al centro di tutto, con i suoi annessi competitivi; dunque, allora, è pure fondamentale per questa competizione la strumentazione tecnologica, mediante la quale si abbassano i costi di produzione e quindi i prezzi. E’ sempre lo strumento in primo piano, pur se mosso da questa competizione mercantile (concorrenza). Non mi sembra sia così. In realtà, è il conflitto (“territoriale”, ma nel senso ormai lato e sempre più ampio che prende tale termine man mano che la società umana si sviluppa) ad essere al primo posto, la vera causa del mutare dei rapporti sociali fra gli uomini. Niente più studio del Robinson con i suoi bisogni e i mezzi limitati per soddisfarli. Meglio andare a Von Clausevitz, Sun Tzu e via dicendo. Nella lotta, condotta in base a strategie razionali e non certamente improvvisata alla carlona, si stabiliscono i rapporti sociali e le loro più o meno radicali trasformazioni d’epoca in epoca.
Tuttavia – se proprio si vuole a tutti i costi trovare l’“eroe” individuale isolato da cui prendere le mosse per immaginare il formarsi del complesso societario – non ha senso partire da Robinson, bensì da Tarzan. Certo, la vicenda di Tarzan è di fine ‘800, quella di Robinson della seconda metà ‘600. L’economia neoclassica nasce nel 1870 (Walras, Menger, Jevons) e resta sempre attaccata a Robinson o giù di lì. Errore madornale. Non potevano correggerlo i fondatori del marginalismo (sono venuti prima); ma almeno nel ‘900 questo sarebbe stato possibile. Bisognava sostituire Tarzan a Robinson; ma ci sarebbero mai riusciti? Questo mio saggetto, uno sfizio in fondo, intende comunque dimostrare il non senso del riferimento a Robinson; mentre con Tarzan ci sarebbe almeno stato un minor grado di “irrealtà”.
2. Vediamo brevemente chi è l’eroe dei romanzi di Edgar Rice Burroughs. Sempre un naufragio all’origine della storia. E sempre degli inglesi in primo piano; anzi due appartenenti alla nobiltà. Essi vengono sbattuti in un’isola per l’ammutinamento dell’equipaggio della nave su cui viaggiavano. Un’isola con folte foreste abitate da varie specie animali, dalla tigre (regina della foresta) ad una folta tribù di scimmie particolarmente aggressive, comandata dal feroce Kerchak, in cui si trova Kala (una scimmia sul tenero femminile), che ha perso da poco lo scimmiottino suo figlio. I due esseri umani, grazie alla loro superiore intelligenza, anche semplicemente strumentale, costruiscono una capanna dalla quale escono in determinate ore del giorno per procurarsi il cibo, ma possono trincerarvisi in modo perfettamente difendibile da ogni assalto animale. La donna è indebolita, malata, dà infine alla luce un bimbo; quando questi ha un anno, la madre muore. Il marito è affranto, si scorda di mettere in moto i meccanismi di difesa e, nella notte, la pestifera tribù scimmiesca penetra nella capanna e il feroce Kerchak lo uccide. Sarebbe ucciso anche il neonato se Kala non avvertisse – in senso veramente materno – lo spontaneo bisogno di difenderlo e addirittura di adottarlo al posto del figlio morto; con l’avversione del compagno Tublat, che tenterà più volte di far del male a Tarzan (questi poi, “da grande”, lo ucciderà e alla fine ucciderà anche Kerchak venendo dichiarato “Re delle scimmie”).
Dall’adozione del bimbo di un anno da parte di Kala inizia la vera storia del sedicente uomo/scimmia, che viene chiamato in un’ipotetica lingua animale Tarzan. Questi cresce credendosi figlio della scimmia, ma sempre in sordo antagonismo con il “patrigno”, che avverte la sua diversità ed è geloso dell’enorme affetto della “sua femmina”, tuttavia capace di difendere il “figlio” più e più volte dalla selvaggia ira paterna. Tarzan avverte una diversità rispetto a quelli che crede suoi simili, ma non se la spiega. Torna spesso nella capanna dei genitori (di cui non conosce l’esistenza), rimasta intatta perché nulla v’era che interessasse a degli animali privi di ragione e di abilità strumentale. Egli trova lì un coltello. Sintomatico no? Sempre uno strumento difensivo/offensivo come la tibia dell’ominide in “Odissea nello spazio”. E sempre si pone in luce come possa usarlo al meglio (una bestia della sua tribù non avrebbe potuto) per la “maneggevolezza” della…… sua mano, che si muove, si articola, ha capacità prensili più “evolute” di quelle della mano scimmiesca. Tuttavia, egli trova anche libri, diari (scritti a mano dai genitori); e comincia a fissarsi sulla scrittura come sui disegni, impadronendosi pian piano di un linguaggio che non è quello animale. Solo scritto però, non ancora parlato. Per parlarlo dovrà arrivare un’altra nave che porterà esseri umani e darà una svolta alla storia.
3. Pensate bene all’intelligenza di questa indicazione. Lentamente, con fatica, Tarzan riesce ad afferrare il senso di quanto vede vergato con segni strani (le parole) e con disegni. Non riesce però bene ad inquadrare il posto che ha questo senso nello spazio/tempo della sua vita nella tribù scimmiesca e nell’ambiente “naturale” in cui questa si svolge. Non sa nemmeno come si possa comunicare a voce quel senso e scambiarsi impressioni e pensieri (che nella sua testa cominciano a fiorire) con altri esseri; egli conosce soltanto quelli della tribù di scimmie e degli altri animali della foresta. Con questi bisogna continuare nello scambio di suoni gutturali e inarticolati, di gesti con parti del corpo, ecc. Solo quando incontrerà altri animali come lui, già facenti parte di una società in qualche modo evoluta, imparerà l’uso di quei segni anche nell’articolazione dei suoni ad essi associati; imparerà il senso del linguaggio parlato.
L’odioso, micragnoso Robinson, sa invece già tutto. Non sente il bisogno di comunicare con nessuno. Solo gli farà comodo incontrare lo schiavetto cui darà il nome di Venerdì. A lui basta centellinare le sue forze per procurarsi il massimo possibile con il minimo sforzo possibile. L’economia neoclassica lo prende come l’emblema stesso del comportamento razionale in quanto puro portato, per lei, della singola individualità. Invece, Robinson si trova isolato per vicenda eccezionale, ma esce da un preciso contesto sociale, è un portato esclusivo di quel contesto. Non può esistere un Robinson se non come concentrato della mentalità e cultura formatasi con l’ormai avvenuta trasformazione integrale del feudalesimo in società capitalistica. Pensare al comportamento del Robinson, trarne tutte le presunte leggi del “consumatore” razionale che, con le sue scelte, mette in moto anche il procacciamento dei beni, cioè la loro produzione, è la più grossa banalità, vero supremo salto nell’assurdo della mentalità tipica di certa economia; una pretesa scienza, tutta intrisa di ideologia pesante e mistificatoria.
Ed è solo dopo aver tratto dal comportamento di questo “concentrato sociale”, preso per individuo, tutte le “leggi fondamentali” dell’“homo oeconomicus”, che la pretesa “economica” (appunto un nome ridicolo per scimmiottare quello della fisica, della chimica, ecc.) fa il salto alla società in quanto incontro tra i vari Robinson, prima saldi nella loro individualità. Ed è solo allora che nella testa di simili “scienziati” si forma il mercato come interazione tra questi “individui razionali”. E l’unica “imperfezione scoperta” da un premio Nobel per l’economia (Simon) – sbagliando completamente per scarsa attitudine all’astrazione teorica, cardine di ogni pensiero scientifico – è che la loro razionalità è limitata perché il Robinson non può conoscere bene tutte le variabili in gioco, da prendere in considerazione con la sua razionalità. Bravo il “furbo”! E’ come se criticassimo Galilei per aver individuato le leggi del moto rettilineo uniforme, non tenendo conto degli “attriti” che sempre ci sono. Un bello scienziato! E una “giusta” attribuzione del Nobel! E del resto, altri “furboni” come Coase e più tardi Williamson hanno considerato l’impresa – struttura organizzativa complessa – come se fosse in fondo riconducibile ad una rete mercantile. Un bell’uso della “Ragione”, non c’è che dire.
Tarzan no, ha un DNA (allora sconosciuto) diverso da quello della scimmia da cui spesso si dice derivi l’uomo. E’ però inserito in un mondo di scimmie; avverte la sua differenza, ma non si orienta, è a volte perplesso, diremmo oggi. Impara quei segni scritti che trova nei libri e diari dei genitori, di cui non sa l’esistenza (si crede puro figlio di scimmie), ma non può parlare quel linguaggio perché manca il rapporto sociale di tipo umano. I ragionamenti che può fare sono proprio quelli del vero “primo uomo” da prendersi singolarmente, individualmente. E quindi il suo comportamento indica con precisione laddove l’individuo (INDIVIDUO) del tipo homo sapiens sapiens si distacca da quello degli altri animali. Da qui il liber(al)ismo, tanto innamorato dell’individualismo, della libertà di ogni singolo essere umano, avrebbe dovuto prendere le mosse. Non da quello stronzo di Robinson, un risultato del più puro egoismo ed egocentrismo della società (SOCIETA’) capitalistica.
4. Quello di Tarzan è dunque il vero “salto” in uno spazio diverso, con un senso della temporalità diverso. E allora seguiamolo, ma solo per cenni, nella sua crescita. Per certi versi egli usa l’istinto animale (quello detto tale, non so se propriamente; non sono in grado di deciderlo). Quando insegue una preda – in genere pure lui, come ogni altro animale, per nutrirsi – procede avvertendo da dove tira il vento e posizionandosi in modo che il suo odore non arrivi ad essa, altrimenti quella fugge a gambe levate. Inoltre, spesso non tocca terra; procede per aria passando di albero in albero utilizzando le liane. Sa però tendere le trappole, sa attendere un tempo considerevole affinché maturino condizioni più favorevoli. Considera assai meglio i rispettivi rapporti di forza; affronta la prima volta la tigre in modo “ingenuo”, ne viene ferito e a momenti ci rimette la pelle, ma impara bene la lezione e poi si ritrae sempre da scontri troppo diretti fin quando questa non è invecchiata. A quel punto è lei che non tiene conto del suo indebolirsi e Tarzan, usando anche dello strumento coltello trovato anni prima nella capanna, la uccide. Insomma, fa uso dell’“istinto”, ma anche di un pensiero che si articola in modo nettamente più complesso rispetto agli altri animali.
Ho voluto consentirmi questo sfizio su Tarzan solo per mostrare il limite e una qualche “ingenuità” dell’economica liberale e, credo, in generale di tutta questa corrente di pensiero. Tuttavia, l’homo sapiens sapiens non nasce come singolo individuo che poi scopre la sua socievole umanità….. quando comunque entra in contatto con un gruppo di individui già socializzati (e sempre appartenenti alla nuova società capitalistica ben affermata, visto che la vicenda si snoda a fine secolo XIX). L’ipotesi è quella di una serie di mutazioni genetiche che, alla fine, hanno “sparato” il “colpo giusto”: la nascita dell’uomo da noi conosciuto e tanto esaltato o vituperato a seconda del carattere e dell’umore di chi lo prende in considerazione.
In ogni caso, questa specie umana, detta evoluta e dotata di quello che chiamiamo pensiero o ragione, ecc. è nata già come gruppo sociale, forse all’inizio ancora come orda. Non esiste un individuo isolato, bensì un insieme associato di singolarità, certamente all’inizio assai poco dotate di vera individualità salvo quella dei loro corpi animali. Per quanto primitivi, per quanto fondati su una iniziale probabile scarsa differenziazione dei singoli membri dell’orda, esiste comunque questa; e dunque, pur se embrionali e poco afferrabili, sussistono già dei rapporti sociali tra questi singoli. Ognuno di loro non è semplicemente un individuo, ma un condensato di tali rapporti e della comune, per quanto rozza e primitiva, visione del mondo che essi si formano nella loro vita associata.
5. In definitiva, quindi, voi capite perché – pur essendo arrivato alla conclusione di gravi manchevolezze nel marxismo; conclusione cui giungo con il ben noto “senno di poi” – ritengo che da questa concezione devo tuttavia partire per una pur radicale revisione della teoria della società (in particolare di quella capitalistica, anzi di QUELLE CAPITALISTICHE). In Marx esiste da subito il rapporto sociale, la sua indagine da lì parte. Leggete quanto scritto già nella Prefazione: “Qui si tratta delle ‘persone’ soltanto in quanto sono la ‘personificazione di categorie economiche, incarnazione di determinati rapporti e di determinati interessi di classi.’ Il mio punto di vista………. può meno che mai rendere il singolo responsabile di rapporti dei quali esso rimane socialmente creatura, per quanto soggettivamente possa elevarsi al di sopra di essi”. E’ chiaro, falsificatori del pensiero di Marx, falsificazione cui si sono dedicati non solo gli antimarxisti ma pure alcuni arroganti “sessantottardi ultrarivoluzionari” che hanno poi figliato e oggi “nipotato” altri ancora peggiori?!
Come vedete, in Marx l’essere umano d’ultima specie è soprattutto una personificazione (un condensato) di rapporti sociali; ma è ovvio che possiede pure caratteristiche individuali, e sempre più durante la millenaria evoluzione della società umana. Quindi nessuno scandalo per la necessità di difendere alcuni “bastioni” dell’individualità di questi esseri sociali. Nessun desiderio che si torni tutti alle casacche maoiste o alla presa in giro della rotazione delle mansioni con un Ciu-en-lai che si fa vedere per cinque minuti a porre una pietra nella lastricazione della strada, mentre non si è potuto mostrare nessun manovale mentre impartisce ordini in una riunione del Consiglio di amministrazione di una grande impresa; e ancor meno si è potuto mostrare un elettricista che svolge lezioni di fisica quantistica. Basta con questa vergogna dell’umiliazione delle prerogative e capacità individuali. Siamo diversi e in modi diversi, come diceva Marx, possiamo “elevarci soggettivamente al di sopra dei rapporti di cui siamo socialmente creature”! E queste differenze individuali vanno difese da ignobili appiattimenti dei mediocri, o anche semplicemente di chi ha avuto minori possibilità. E’ così, i rapporti sociali creano individui d’alto valore intellettuale e morale e dei mediocri, conformisti, abituati alla routine! E allora, vogliamo invertire il portato della dinamica dei rapporti sociali, vili del ’68 e seguenti, che poi avete fatto carriera e avete però figliato dei “mostri”, oggi dediti ad impestare il nostro ambiente?!
Difendiamo le nostre prerogative individuali, ma proprio perché esse sono differenze nate nell’ambito di singole condensazioni dei rapporti sociali. Mai è esistito il singolo individuo della specie umana al di fuori del rapporto sociale. Da qui si deve partire anche quando si vogliano valutare, difendere, proteggere, ecc. le differenze individuali. Comunque, questo mio breve sfizio voleva solo dimostrare che, se proprio ci volessimo intestardire nel costruire i rapporti interazionali della società a partire da un singolo, è necessario riferirsi a Tarzan, non a Robinson. Quest’ultimo è già una “creatura di rapporti sociali”; e per di più, guardate bene, nemmeno “si eleva al di sopra dei rapporti di cui è socialmente creatura”. No, vi rimane dentro con tutta la sua micragnosità di “homo oeconomicus”. E gli sciocchi che hanno creduto di aggiungervi ulteriori elementi “umani” hanno solo pensato come quei banaloni che dicessero: ma non ci sono le leggi del moto rettilineo uniforme, ci sono gli attriti. Sì, gli attriti delle vostre sinapsi neuroniche ingarbugliate per la vostra cretinaggine!
Tarzan è – sia pure soltanto nella supposizione di un evento del tutto particolare: ammutinamento dell’equipaggio e abbandono dei due coniugi in un’isola deserta – un individuo isolato della specie umana (frutto cioè di una mutazione genetica) che vive in mezzo ad esseri animali delle specie “precedenti”. E quella genialata del linguaggio scritto che riesce ad apprendere e anche usare in quella forma, ma che poi deve imparare a parlare quando arrivano altri esseri umani, è molto bella e significativa. Prima di tutto il rapporto sociale, che ci rende “sue creature”. Poi la nostra diversità e capacità – DIFFERENTE DA INDIVIDUO A INDIVIDUO – di riuscire talvolta ad “ergerci al di sopra del rapporto di cui siamo creature”.
Meditate gente, meditate!