Le rivoluzioni reazionarie
Le rivoluzioni non sono pranzi di gala ma possono rivelarsi balli del potere per vecchi patriziati disponibili a riciclarsi o nuove élite arrembanti, il cui obiettivo non è di rovesciare il mondo ma scalzare i precedenti gruppi dominanti, possibilmente per fare anche peggio di questi. Grandi o piccoli spostamenti di campo nell’arena geopolitica, verso la potenza più forte o più assertiva, che giustificano migliaia e migliaia di morti (i quali spesso vanno con le loro gambe al mattatoio intonando cori patriottici). Sono finiti i tempi in cui le avanguardie della classe operaia, quasi sempre esterne al proletariato ma sinceramente preoccupate del benessere nazionale , puntavano alla conquista del Palazzo per sovvertire l’ordine costituito e impiantarne uno diverso. Tentativi miseramente falliti ma pur sempre apprezzabili e, almeno inizialmente, anche genuini (ciò non significa che anche i nostri “eroi” non fossero spregiudicati nell’approfittare delle contraddizioni altrui, pensate a Lenin ed al treno piombato messogli a disposizione del Kaiser, quando decise di rientrare in Russia). Purtroppo, la Storia non sa che farse delle buone intenzioni che, peraltro, lastricano da sempre le vie dell’inferno. La gran parte delle rivoluzioni odierne, poggianti su apparati teorici disegnati da trotzkisti passati dalla parte del nemico, si rivelano meri colpi di Stato per inglobare aree più vaste della scacchiera planetaria nel patto occidentale, il cui dominus principale è l’America. Si chiamano rivoluzioni colorate o di velluto ma sono putsch in piena regola. Oggi la rivoluzione è diventata una forma di reazione, forse la peggiore, ed i rivoluzionari incalliti puri imbroglioni di professione al servizio dello strapotere statunitense, seppur in relativa decadenza. E’ quanto successo in Ucraina, soltanto per citare un esempio recente. Ma tutti gli anni ’90 sono stati costellati da questi pseudo rivolgimenti popolari, soprattutto nell’ex “cimitero” del socialismo (ir)realizzato, dove i sogni di democrazia e di libertà sono divenuti incubi di miseria e di terrore, l’habitat naturale di oligarchie bestiali e predatrici. Come racconta un’ ex barba finta dell’Urss, dopo il tracollo sovietico, in accordo con i vincitori statunitensi, si organizzarono regime change in tutto l’Est Europa. Questi erano i trofei che gli americani pretendevano per la vittoria sull’avversario, nonostante le rassicurazioni date ai vari Gobraciov e soci traditori. Senza questo lavoro sporco svolto dal KGB, in smobilitazione forzata, dalle sue residenture nei Paesi satelliti e dalle stesse Intelligence autoctone orientali, nessun movimento popolare avrebbe raggiunto i suoi obiettivi (cioè gli scopi di chi li guidava, non certo quelli della gente). Afferma, appunto, l’agente sovietico di cui vi parlavo poc’anzi, come riportato nel testo di Koktin, “A un passo dall’apocalisse”, che le contestazioni pseudodemocratiche deflagrate nei paesi del Patto di Varsavia e dell’Unione sovietica, ormai in via di sbriciolamento, furono innescate da loro, c’erano loro, i servizi, alla testa di ogni corteo o manifestazione. Lavoravano di concerto coi nuovi padroni occidentali. Non tutti gli 007 cedettero ai conquistatori. Putin, per citare uno dei più famosi, scelse ben altra strada (lo possiamo dire almeno col senno di poi, anche se il fatto che si sia “salvato” certifica comunque di suoi piccoli e necessari voltafaccia che lo hanno preservato da sorte meschina, magari toccata a colleghi più ortodossi e inflessibili di lui). Così va il mondo, il “poppppolo” non conta quasi mai niente, ci mette il sangue e l’ardore ma mai il cervello. Questo per dire che tocca agli strateghi saper leggere le situazioni per avvantaggiarsene, con molto sangue freddo e consapevolezza dei propri compiti, cavalcando e direzionando il malcontento sociale verso orizzonti di liberazione nazionale o, anche, di schiavitù coloniale (esiste pure questa opzione, infatti). La funzione di questi decisori o aspiranti tali può essere, pertanto, positiva (la preservazione o il recupero di sovranità e la difesa delle prerogative statali) oppure negativa (la svendita del proprio paese a terzi esterni per goderne solo privatamente o corporativamente). Un paese che cade nelle mani dei primi è destinato a soffrire e a gioire, per delle ottime ragioni, uno Stato che cade preda dei secondi è destinato solo a patire.