LIBERALISMO E CONFLITTO
Mi è capitato di recente di trovare sul sito www.reset.it un articolo di Corrado Ocone che tratta della ben nota discussione intercorsa tra Croce ed Einaudi a proposito del concetto di libertà confrontato con il “principio morale” e con quello “economico”, ovverosia con una nozione di essa declinata “politicamente” rispetto a quella più attinente al libero mercato inteso nel senso smithiano del termine. Ocone, però, nel suo articolo afferma di voler partire, questa volta, dal tema del conflitto per vedere come i due importanti pensatori lo hanno considerato. Così scrive, in proposito, il filosofo meridionale:
<< Su questo aspetto specifico, non c’è stata, fra Croce ed Einaudi, polemica o discussione: entrambi ritenevano infatti che l’ideale liberale fosse imprescindibile dalla lotta fra gli individui e i gruppi. Essi però giungevano a questa consapevolezza da vie diverse. […]Le fonti del pensiero economico e politico di Einaudi, e quindi anche della sua idea della positività del conflitto, o quanto meno di un conflitto regolato, sono molto diverse da quelle di Croce. Si può senza dubbio dire che, per quest’ultimo, l’idea di conflitto trovava una sua ragion d’essere nell’accettazione, seppure con molti e importanti distinguo, della logica dialettica di Hegel. Anzi, della dialettica e in genere del pensiero di Hegel il filosofo napoletano tendeva a esaltare proprio gli aspetti conflittualistici rifiutando i momenti in cui il movimento dialettico sembrava ai suoi occhi chiudersi>>.
In effetti nel pensiero di Hegel è presente quell’opposizione che è stata espressa in maniera sintetica e divulgativa da Engels nei termini di un metodo, quello dialettico, che contraddiceva, nei fatti e in linea di principio, ogni pretesa di costruire una sintesi sistematica e conclusiva del sapere e della storia. “Metodo versus sistema”: qualcuno ha deriso come semplicistica questa engelsiana riduzione delle complicatissime problematiche presenti nella filosofia del gigante svevo, però questa formula coglie certamente molte questioni importanti. Non possiamo, qui, sviluppare temi che richiederebbero un lavoro e un impegno di ben altro genere e mi limiterò ad osservare che Croce non trovava convincente la tesi della necessità del cominciamento della Scienza della Logica con l’essere puro ed astratto, ma si sbagliava: la coscienza teoretica nel suo primo sorgere coglie ciò che appare esterno ad essa fenomenologicamente come un qui e un ora dileguantesi e logicamente come un qualcosa di vuoto e indeterminato che oscilla tra l’esser presente e il “nulla”. Nel momento in cui viene meno la forza che sostiene una posizione di valore la quale è la causa che permette al “qualcosa” di assumere la forma di un essere determinato noi vediamo questo “qualcosa” scivolare provvisoriamente in quella condizione che La Grassa definisce “assenza”. Questa situazione di svuotamento dell’astratto essere è in realtà la potenzialità di ogni sviluppo, svolgimento e processo che nell’intrecciarsi di relazioni con altre potenzialità dà luogo al concreto, comunque esso possa apparire, sotto forma di un oggetto (evento) materiale o ideale, pensato od esteso. Questo emergere delle cose dalle persone che le sostengono ma non le creano è necessariamente il risultato di un conflitto, di un gioco di forze in cui si produce una situazione per la quale , come scriveva lo studente Hegel in un suo quaderno, “ogni contraddizione produce una modificazione”.
Ma tornando all’articolo di Ocone leggiamo:
<< È in quest’ordine di idee, tutto filosofico, che si colloca perciò il liberalismo crociano: esso è la filosofia della modernità, che aborre ogni idea di compiutezza o perfezione ed è necessariamente pluralistica e conflittuale>>.
L’autore dell’articolo sviluppa alcune osservazioni su Hegel e Croce che preferiamo tralasciare perché ci sembra più utile introdurre subito le sue considerazioni su Einaudi a partire da alcune citazioni:
<<Il saggio di Mill sulla libertà, scrive Einaudi, offre «la giustificazione logica del diritto al dissenso e la dimostrazione della utilità sociale e spirituale della lotta». E aggiunge: «È necessario rileggere la dimostrazione che il Mill dà dei seguenti immortali principî: “La verità può diventare norma di azione solo quando a ognuno sia lasciata amplissima libertà di contraddirla e di confutarla. – È doloroso costringere un’opinione al silenzio, perché questa opinione potrebbe essere vera. – Le opinioni erronee contengono sovente un germe di verità. – Le verità non contraddette finiscono per essere ricevute dalla comune degli uomini come articoli di fede, senza alcuna comprensione del loro fondamento razionale. – La verità, divenuta dogma, non esercita più efficacia miglioratrice sul carattere e sulla condotta degli uomini”»>>.
Intersecando queste affermazioni con alcune riflessioni di Croce, Ocone così continua:
<<La verità vive appunto, per dirla con Croce, in un processo dialettico di opposizione e distinzione, vive come movimento e attività, non nella stasi di ciò che va realizzato una volta per sempre. Né la condizione di verità o libertà raggiunta può considerarsi mai non condizionata da rischi e pericoli ulteriori; e solo attraverso la lotta e nuovi conflitti essa può essere conservata>>.
Segue un’altra citazione di Einaudi:
«Un’idea, un modo di vita, che tutti accolgono, non val più di nulla… l’idea nasce dal contrasto. Se nessuno vi dice che avete torto, voi non sapete più di possedere la verità».
In Einaudi è presente la consapevolezza che negli animi umani si scontrano due tendenze: una indirizzata verso “quello che rifugge dai contrasti, dalle lotte di uomini, di partiti, di idee, e desidera la tranquillità, la concordia, la unità degli spiriti, anche se ottenuta col ferro e col sangue” e un’altra che si riconosce nell’« ideale di uno Stato, il quale si astiene dall’imporre agli uomini una foggia di vita … lo Stato limite; lo Stato il quale impone limiti alla violenza fisica, al predominio di un uomo sugli altri, di una classe sulle altre, il quale cerca di dare agli uomini le opportunità più uniformemente distribuite per partire verso mete diversissime o lontanissime le une dalle altre. L’impero della legge come condizione per l’anarchia degli spiriti».
E così la lotta e il conflitto non sono pertinenti ai soli rapporti interindividuali o tra gruppi sociali perché sono presenti anche all’interno di ognuno di noi con la conseguenza che, scrive Einaudi, alla fine deve prevalere:
«lo scetticismo invincibile, anzi quasi la ripugnanza fisica, per le provvidenze che vengono dal di fuori, per il benessere voluto procurare agli operai con leggi, con regolamenti, col collettivismo, col paternalismo, con l’intermediazione degli sfaccendati politici pronti a risolvere i conflitti con l’arbitrato, con la competenza, con la divisione del tanto a metà; e la simpatia viva per gli sforzi di coloro i quali vogliono elevarsi da sé e in questo sforzo, lottano, cadono, si rialzano, imparando, a proprie spese a vincere e a perfezionarsi».
Così che, commenta Ocone: <<gli uomini sono realisticamente un nesso inscindibile di pulsioni positive e negative, che non solo non è possibile risolvere (pena la creazione di danni e tragedie incommensurabili), ma che non è nemmeno auspicabile che sia risolto in modo definitivo (si può dire, sempre in linguaggio hegeliano, che, se ciò accadesse, verrebbe meno il momento del «negativo» che mette in moto la dialettica e si interromperebbe in conseguenza il movimento della storia e della vita). Gli uomini, inoltre, come aveva già messo in chiaro Kant (ma già prima di lui un Hobbes), sono fra di loro in un rapporto di «socievole insocievolezza»: né si autoisolano dalla comunità, come vorrebbe l’astrazione dell’individuo agente razionalmente o dell’homo oeconomicus di un certo (pseudo) liberalismo individualistico, né aderiscono a essa: il rapporto fra individuo e comunità è anch’esso dialettico>>.
Comunque, giustamente, Ocone mette in evidenza come Einaudi provasse una certa, relativa, simpatia per un certo socialismo “moraleggiante” e/o “liberale” mentre si dichiarava apertamente antimarxista. Scrive Einaudi: “Il socialismo scientifico e il collettivismo russo, in quanto schemi di organizzazione della società o tentativi di applicare praticamente quegli schemi, non mi interessano. Sono al di sotto del niente.” Il motivo principale del suo atteggiamento, secondo quanto mi pare di avere capito, sta nell’impronta neoclassica radicale dell’economista italiano che lo portava a vedere nel liberismo economico solo una astrazione teorica dottrinaria a cui si opponeva altrettanto astrattamente il monopolio (od oligopolio) pubblico o privato; la sua visione si limitava – seppure a partire da un approccio pragmatico e “realistico” – alla pura sfera orizzontale del mercato fondata sull’eguaglianza dei contraenti e sulla giustizia commutativa. Il mercato verrebbe a manifestarsi, in questa ottica, come libero gioco di volontà individuali attribuite a persone indipendenti e in grado di scegliere autonomamente. La libertà, al contrario di quanto pensava Croce che la vedeva crescere a partire dall’alto come “religione morale”, nascerebbe nella sfera mercantile come compimento dell’ eguaglianza, giustizia ed indipendenza generate nel processo di formazione di quell’ordine esteso e spontaneo catallàttico (1) che coincide con l’inizio della modernità. In Einaudi è assente il concetto di capitalismo, ovvero di modo di produzione e di formazione sociale capitalistica, perché egli vede solo liberi possessori di merci, intese come beni utili e/o fattori di produzione, e rimuove totalmente il fatto storico che sono esistiti ed esistono coloro che posseggono i mezzi di produzione ed altri che sono costretti a vendere la loro forza lavoro per procurarsi i mezzi per la propria sussistenza. Le presenza di numerose condizioni sociali intermedie con i rapporti relativi non modifica la centralità di questa distinzione decisiva che ha fondato la società moderna. Dalla bottega artigiana allargata con lavoranti salariati si è passati successivamente alla manifattura, alla fabbrica ottocentesca e poi alle imprese sempre più grandi e articolate; si sono sperimentate varie forme di organizzazione dei mercati, di proprietà e potere di disposizione, di statalizzazione e dirigismo statuale. Sulla base di quel sopra citato rapporto sociale primario e fondativo, le formazioni sociali attuali – tutte (salvo presunte eccezioni) capitalistiche, anche se con alcune differenti caratteristiche sistemiche – costituitesi prima e dopo la dissoluzione del comunismo storico novecentesco e il fallimento della pianificazione centralizzata , non possono ormai più prescindere dalla presenza strutturale del libero mercato, da un consistente sviluppo di istituzioni creditizie e finanziarie, da una organizzazione imprenditoriale diffusa e dinamica e da uno stato compatto, efficace e, possibilmente, efficiente. E’ interessante, comunque, la lettura che Ocone ci dà della prospettiva einaudiana rispetto alla teoria dell’equilibrio neoclassica ortodossa. In attesa di eventuali chiarimenti di La Grassa in proposito provo a riportare questo passo dell’articolo:
<<Ogni società, così come ogni persona, tende all’equilibrio fra le forze che la attraversano. L’equilibrio liberale non può essere né assoluto equilibrio, che è la situazione tipica dei regimi dittatoriali o variamente perfezionistici, né l’assoluto disequilibrio dell’anarchia, con il quale se mai si realizzasse non ci sarebbe nemmeno più una società o uno Stato. Si tratta di un equilibrio instabile, sempre minacciato, sempre da riconquistare ma anche sempre necessariamente, almeno in parte, da perdere (il negativo è in questo senso, hegelianamente, il momento vitale). È equilibrio fra equilibrio e disequilibrio. E infatti, scrive Einaudi, «è preferibile l’equilibrio ottenuto attraverso le discussioni e le lotte a quello imposto da una forza esteriore» perché «nella lotta e nella discussione si impara a misurare la forza dell’avversario, a conoscerne le ragioni, a penetrare nel funzionamento del congegno che fa vivere ambo i contendenti». E ancora: «perché l’equilibrio duri, è necessario che esso sia minacciato a ogni istante di non durare … L’equilibrio consiste in una successione di continui mai interrotti perfezionamenti attraverso oscillazioni, le quali attribuiscono la vittoria ora a questa, ora a quella delle forze contrastanti>>.
Certamente l’Einaudi commentato da Ocone mette l’accento su una dinamica che è il risultato della interazione tra pratiche di individui sociali liberi di scegliere; questa interrelazione conflittuale rappresenta il motore della dialettica tra equilibrio e disequilibrio e delle ”oscillazioni” che sono il risultato della lotta tra “forze contrastanti” sempre viste, però, come “individualità” fondamentalmente simili ed omogenee. L’atomismo sociale e l’individualismo metodologico impliciti in questa visione impediscono però ad Einaudi di comprendere il momento strutturale oggettivo che La Grassa cerca di tematizzare e sviluppare a partire dall’ ipotesi provvisoria del “flusso squilibrante”. La capacità di introdurre l’elemento storico, che è sempre presente nell’approccio analitico del pensatore veneto, e di seguito la dimensione spazio-temporale nel suo complesso risulta poi indispensabile per rendere conto della razionalità strategica che presiede al conflitto e alla lotta per la supremazia con periodiche stabilizzazioni del quadro sociale che derivano dalla dinamica fondamentale. Il flusso squilibrante è anche fondamento ontologico e come tale dà luogo a concrezioni e a forme istituzionali relativamente persistenti in cui i rapporti sociali vengono così a reificarsi e coagularsi, per un periodo più o meno lungo, in una determinata fase storica.
(1)catallàttico agg. [der. del gr. καταλλάττω «scambiare»] (pl. m. -ci). – Di società in cui la vita economica è basata sullo scambio di beni e servizî. [Vocabolario Treccani on line]
Mauro Tozzato 13.11.2015