VOGLIAMO RIPARTIRE, CIOE’ RICOMINCIARE A PENSARE?, di GLG

Nel flusso del Tempo

 

Nel flusso del Tempo

Nel flusso del tempo, P. Audia

1. Se in futuro si volesse praticare una politica con orientamento di massima anticapitalistico e non semplicemente antiegemonico – che nella fase attuale, non brevissima, dovrà ritenere quasi completamente la nostra attenzione – sarà indispensabile formulare quella che va indicata, approssimativamente, come teoria sociale dello sviluppo ineguale dei capitalismi (al plurale). Il comunismo d’antan si è esaurito perché il vecchio marxismo si è di fatto suicidato. Il campo del dibattito teorico – che definirei, nel contempo, ideologico – è stato al momento nuovamente occupato principalmente dall’individualismo liberale, cui si contrappone al massimo il sedicente comunitarismo. Entrambi si presentano in numerosissime varianti, che non è mia intenzione trattare in specifico, ma il cui affrontamento mi sembra sostanzialmente interno ad un campo teorico-ideologico favorevole all’egemonia dei gruppi sociali attualmente dominanti (decisori). E’ quindi uno scontro che non mette minimamente in pericolo una formazione sociale ancora da definirsi capitalistica (per quanto il termine cominci a far acqua per la sua genericità).

Secondo la mia opinione, il marxismo d’un tempo – non certo quello degenerato dei pochi filosofastri rimasti a professarlo per meglio insozzarlo – aveva avuto il grande merito di fuoriuscire, con il suo discorso sulle classi, dal campo suddetto nel tentativo di contrapporsi effettivamente ai dominanti capitalistici. Tuttavia, tutta centrata sul concetto di modo di produzione e credendo di aver trovato il bandolo della matassa con l’indicazione dello sfruttamento – il valore dei beni sarebbe costituito dal lavoro speso per produrli, di cui una parte è il pluslavoro (quindi plusvalore) estratto al lavoro salariato (forza lavoro in quanto merce) – tale teoria aveva pensato una dinamica di sistema, che avrebbe condotto al raggruppamento tendenziale dell’intera società (addirittura mondiale) in due classi: al vertice, un gruppo sempre più ristretto di proprietari capitalisti (ormai avulsi dalla produzione e divenuti rentier) e, alla base, un raggruppamento sempre più vasto di lavoratori salariati. Questi ultimi, pur stratificati in diversi livelli quanto a collocazione gerarchica e tipologia lavorativa (direttiva od esecutiva), avrebbero tuttavia costituito un gruppo in via di unificazione e compattamento: il corpo dei produttori “dal dirigente all’ultimo giornaliero” (Marx), quello che ho più volte indicato quale lavoratore collettivo cooperativo, autentico soggetto deputato – del tutto oggettivamente, per intrinseco antagonismo – al rivoluzionamento della società capitalistica, al rovesciamento del potere del suo ristretto gruppo dominante.

La dinamica della società del capitale (così definita con molta approssimazione) è andata in direzione del tutto imprevista da Marx e, ancor più, dal marxismo (prevalentemente economicistico) successivo. I vari raggruppamenti sociali non si sono affatto riunificati, nemmeno come tendenza, nei due fondamentali appena considerati; si sono al contrario moltiplicati, dando vita a multilaterali rapporti tra gruppi sempre più numerosi. La formazione sociale mondiale, coinvolta senza dubbio in misura crescente nel mulinello della produzione di merci di tipo capitalistico, è rimasta suddivisa in tante formazioni particolari (in ultima analisi, paesi o gruppi di paesi) in sviluppo appunto ineguale e con periodici passaggi, turbolenti e caratterizzati da contrapposizioni violente multiple, dalla dominanza centrale di una di esse a quella di un’altra. L’ultimo passaggio è avvenuto dall’Inghilterra agli USA nel corso di circa un secolo; e anche più se si considera l’intermezzo del “campo socialista” e dell’URSS. Il “fuoco di artiglieria” costituito dalla crescente produzione e scambio delle merci non ha condotto, come pensava Marx, ad una unificazione del globo, bensì solo al collegamento tra le sue varie aree, al cui interno sono certamente avvenuti notevoli mutamenti della strutturazione sociale, non tali però da omogeneizzarle, dal renderle parti di un unico ed omologato sistema di relazioni capitalistiche mondiali.

Se anche concentriamo lo sguardo, con “visione occidentocentrica” sempre più insoddisfacente, su quella che ho definito molte volte formazione sociale dei funzionari (privati) del capitale, notiamo una segmentazione crescente, una moltiplicazione dei gruppi sociali, una loro sempre più complicata “classificazione” che non va affatto nella direzione delle due classi fondamentali pensate dal marxismo. Non potendo più giungere ad una semplificazione – mediante la dinamica supposta in base alla teoria dello sfruttamento (valore/plusvalore, ecc.) – i critici anticapitalistici si sono buttati su una semplificazione ancora peggiore, più rudimentale e superficiale: la presunta omologazione dei modelli di consumo nelle società a capitalismo avanzato. Questa visione deriva in fondo dalla preminenza del lato della domanda, sostenuta dalle teorie economiche dei dominanti: neoliberismo e neokeynesismo, avversari di tipologia antitetico-polare.

La tesi dell’omologazione sociale tramite consumismo è il versante sociologico delle teorie economiche in questione; tanto superficiale la sociologia quanto lo è l’economia. Naturalmente sto parlando dell’oggi perché sia il vecchio liberismo che il vecchio keynesismo – per non parlare della sociologia à la Weber – avevano tutt’altra grandezza; oggi sono però degradati ad empirismo spicciolo, a meschine tecniche di politica economica e di controllo sociale che (mal) amministrano il miserabile “esistente” dei capitalismi detti avanzati; sia tessendone l’apologia sia formulando critiche roboanti nella forma e moderate (e del tutto inconsistenti) nella sostanza.

2. Non si può però rispondere semplicemente rispolverando “il suicida”, il vecchio marxismo che ormai, del resto, appare perfino ridicolo nei dibattiti promossi da piccoli gruppetti di aficionados, che oltretutto non so cosa abbiano di marxista data la povertà e sterilità delle loro accese discussioni e dei loro assilli problematici. Deve semmai essere ripreso lo spirito di Marx; non ci si può certo limitare al micragnoso liberalesimo, cioè all’individualità fondante la struttura delle relazioni sociali (tra presunti “eguali”), né ripiegare semplicemente sulla comunità o sulla Nazione, ecc. Credo che il discorso delle classi sia sempre rilevante; ma comprendendo che la dinamica capitalistica non semplifica la classificazione, anzi la complica sempre più. E non parlerei quindi più troppo spesso di “classi”; bensì, più genericamente al momento, di gruppi e raggruppamenti sociali.

Non credo sia possibile, nella presente fase storica, fornire nulla più che un’indicazione assai vaga, come quella contenuta nella dizione: teoria sociale dello sviluppo ineguale dei capitalismi (non del capitalismo). Lo sviluppo ineguale vuol segnalare sia la disomogeneità e la non omologazione delle diverse aree della formazione sociale mondiale, sia il modificarsi delle loro relazioni e rapporti di forza nel corso di periodi (policentrici) di lotta per la supremazia, che in genere implicano il trapasso dalla predominanza di una di queste aree (finora sempre un paese, una nazione) a quella di un’altra. Il riferimento al sociale intende segnalare che, in questo tipo di sviluppo e di alternarsi di fasi poli e monocentriche, mutano le relazioni tra i vari gruppi sociali per null’affatto unificati e compattati in due classi nettamente contrapposte e antagonistiche, così come pensava Marx. E’ vero che è limitativo riferirsi – come siamo spesso costretti a fare attualmente – alla semplice lotta tra paesi, nazioni, etnie, religioni, ecc.; e tuttavia non ha più senso restringere il nostro angolo di visuale alle due classi in lotta per la trasformazione sociale (per di più in una determinata e deterministica direzione: il comunismo, e addirittura su scala mondiale).

In attesa di individuare (e chissà se e quando sarà possibile) una teoria sufficientemente unitaria e compatta della (ultra)diversificata formazione sociale globale – e riferendosi per il momento a quella sua parte che è la formazione dei funzionari del capitale e per non più dei prossimi 20-30 anni – fisserei l’attenzione, del tutto provvisoriamente, su due obiettivi di analisi: le funzioni e i livelli di reddito. Le prime individuano soprattutto la segmentazione (orizzontale) di detta formazione sociale; i secondi la dividono (verticalmente) in più strati, indicando inoltre quali contengono il maggior numero di individui (gli strati “bassi” o “inferiori”) e quali il minor numero (strati “superiori”). La dinamica oggettiva della riproduzione capitalistica complessifica (anzi complica) la società, moltiplicando sia funzioni che livelli di reddito; diversamente però da quello che pensano certi anticapitalisti scolastici, in certi periodi la differenza tra strati superiori e inferiori si accentua, in altri si attenua.

In certi periodi, il modello della società è, come suol dirsi, a botte, con ampliamento quindi degli strati intermedi; in altri è a piramide poiché si impoveriscono gli strati medio-bassi e si arricchiscono quelli medio-alti. In mancanza di un’adeguata teoria della riproduzione capitalistica – che non può più essere quella semplicistica della tradizione marxista più economicistica – è difficile spingersi oltre queste notazioni di “buon senso”. Ne riconosco esplicitamente il limite, per così dire, sociologistico; e tuttavia ritengo necessario compiere questi primi passi al fine di liberarsi di quella nefasta idea di un movimento della società oggettivamente dicotomico, che ha illuso i comunisti circa la semplicità di una rivoluzione mondiale ormai prossima a compiersi, condannandoli alla sconfitta e ad una sopravvivenza ormai simile a quella degli anarchici.

Se il movimento effettivo – non semplicemente economico, ma sociale in senso complessivo – è invece teso alla differenziazione della strutturazione in gruppi, solo la politica, in quanto attività conflittuale cosciente e costruttiva di carattere strategico, può ridurre la complessità (la complicatezza), conducendo al riunirsi di tali gruppi in un certo numero di “alleanze” dotate di unità di intenti trasformativi. Non si può però lasciare tale movimento alla sua spontaneità; si tratterebbe di un comportamento impolitico, che conduce alla disgregazione con ulteriore accentuazione di quella moltiplicazione dei gruppi sociali che è il portato oggettivo della riproduzione capitalistica. In questo senso sono e resto sostanzialmente leninista, più ancora che marxista; non però fermandomi al leninismo di un secolo fa, non pensando all’organizzazione come all’avanguardia di una “classe in sé rivoluzionaria”.

Se non c’è alcuna unificazione mediante dinamica oggettiva della riproduzione del capitale, il “leninismo” deve divenire ancora più radicale e sgradevole. Questo si deve sapere, se ne deve prendere coscienza; poiché non si potrà, in certi casi, non passare per duri e disincantati (pur se so che così non è) e senz’altro per “poco democratici” (perché invece così deve essere). Si tratta di scegliere: si vuol tentare di ricostruire – tramite analisi oggettiva della nostra situazione odierna – le condizioni soggettive di una qualche trasformazione o si vuol restare a chiacchierare su come dovrebbe essere buono e morale l’uomo? Quello nuovo, ovviamente, che forse tra mille anni nascerà; almeno così ci assicurano “alcuni”, che “pensano in grande”, all’Umanità, di fronte alla quale gli individui sono meno che pidocchi. Loro pensano ai secoli, forse ai millenni. Noi siamo più limitati; pensiamo qui ed ora, a pochissimi decenni al massimo. E sappiamo di essere pochi, squinternati, isolati. E tuttavia non siamo né cinici né degli illusi. Non abbiamo l’intenzione di passare per “grandi pensatori”, che anticipano e preparano il “radioso futuro” di questo povero animale appartenente al genere homo. Viene detto anche sapiens sapiens. Forse lo era fino ad un secolo fa circa; adesso è solo un genere animale, che conta al suo interno una schiera di ultramediocri pseudointellettuali vanitosi e meschini, solo in grado di diffondere illusioni per difendere dei dominanti (decisori) sempre più putrefatti, marci.